Chi ha scritto il primo vangelo cristiano? Quale dei quattro canonici è il più antico? Penso che non si riuscirà mai a dare una risposta certa a queste domande, in quanto nessuna copia dei vangeli canonici scritta prima del IV secolo ci è giunta integra.
La storia che viene fuori dai quattro canonici è, certo, abbastanza frammentaria, formata da brevi episodi, a volte nemmeno concordi, ma in complesso possiamo dire che narra di un predicatore, anche mago e guaritore, con un carattere miracoloso delle sue azioni, che pur predicando l’amore per il prossimo e per Dio, viene tradito,e crocifisso.
Leggendo il libro dello storico Ambrogio Donini, Breve storia delle religioni, si coglie una strana ed intrigante correlazione che l’autore fa tra la storia evangelica ed un episodio, narrato nelle Vite di Plutarco, riguardante un re spartano vissuto tre secoli prima. Si tratta di una storia ben conosciuta ma è di grande interesse l’interpretazione di questo autore.
Leggiamo direttamente dal Capitolo: Aspetti religiosi delle grandi rivolte di schiavi, Paragrafo: “Cancella i nostri debiti”.
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In Matteo (VI,12) leggiamo:“Cancella i nostri debiti, come noi li abbiamo cancellati ai nostri debitori”, con una terminologia che riflette più da vicino alcune rivendicazioni di carattere sociale; ma nel vangelo attribuito a Luca (XI,4) la parola debiti, che pure nel linguaggio greco dell’epoca aveva già acquistato un senso aggiuntivo di carattere moralistico, viene corretta in “Perdona i nostri peccati, come noi li perdoniamo a quelli che hanno peccato verso di noi”.
L’assimilazione tra i due termini si trova anche prima, specialmente nel giudaismo. Ma ad essa hanno certamente concorso elementi di origine sociale, a partire dal momento in cui l’insolvenza del debitore si è tradotta nella perdita della libertà; cosa, del resto, che si è protratta sin quasi ai giorni nostri. Negli inni dei Veda, oltre che nelle parti più antiche del Vecchio Testamento, una delle cause più frequenti di schiavitù, accanto alla guerra, è quella per debiti. Il figlio doveva vendersi per restituire le somme o i beni presi in prestito dal padre; ai tempi di Budda, sei secoli prima dell’era cristiana, tale pratica era comunemente osservata in tutta l’India. Presso i greci e i romani, questa forma di schiavitù assunse proporzioni ancora più rilevanti.
Basti ricordare che quando Caio Mario, impegnato nella difficile guerra contro i Cimbri, chiese a Roma, nel 105 a.C., che venissero promossi nuovi reclutamenti di truppe, e i pretori si rivolsero ai signorotti dell’Asia Minore, alleati di Roma, il re Nicomede di Bitinia fece rispondere che la cosa non era possibile, perché “quasi tutti i suoi sudditi erano stati ridotti in schiavitù dai percettori di tasse romani per insolvenza fiscale”!
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Dalla fine della guerra del Peloponneso in poi, per oltre tre secoli,la parola d’ordine della remissione dei debiti, associata a quella della ridistribuzione delle terre,aveva spesso risuonato nel mondo mediterraneo, sia in oriente che in occidente, ispirando tentativi di rivolta tra i contadini e gli artigiani impoveriti. Le due rivendicazioni appaiono già accoppiate in Demostene e in Isocrate, sin dal IV secolo a.C., e riecheggiano ancora in Plutarco, all’alba della nuova era.
Quest’ultimo ci riporta anzi, in una delle sue Vite, un episodio singolarmente affine, nelle sue ripercussioni religiose, al dramma della passione e morte di Cristo.
È il caso di Cleomene III, re di Sparta, che nel corso del III secolo a.C. aveva proposto di far “cancellare i debiti, ridistribuire le terre ed emancipare gli iloti”. Cacciato dai suoi, si rifugiò ad Alessandria d’Egitto, organizzò una rivolta contro Tolomeo IV e di fronte al fallimento di quest’ultima impresa, si diede la morte.
Prima di uccidersi aveva convocato dodici fra i suoi amici e sostenitori per una specie di “ultima cena”: aveva deplorato di essere stato tradito e aveva invitato tutti a desistere da una lotta inutile, come farà Gesù sul Getsemani.
Il suo cadavere era stato inchiodato a una croce e il popolino, profondamente colpito dalla sua tragica fine e da tutta una serie di eventi straordinari che si erano verificati dopo la sua crocifissione, aveva gridato al miracolo e lo aveva proclamato “figlio degli dèi”.
(* Riporto il passo estratto dal racconto di Plutarco: “… dopo non molti giorni coloro che facevano la guardia al corpo di Cleomene confitto in croce, gli videro avvolto alla testa un gran serpente che gli copriva la faccia, talché nessun uccello mangiacarne gli si accostava, onde cadde superstizione nel petto del re e paura: le donne cominciarono a fare sacrifizi di espiazione, quasi fosse morta una persona cara a Dio, e di condizione non umana.
E gli Alessandrini venendo in quel luogo porgevano preghiere a Cleomene, chiamandolo figliuolo degli Dèi…
avendo osservato questo fenomeno, gli antichi hanno sempre associato il serpente agli eroi.”
E non credo ci siano lettori che non abbiano mai visto l’associazione croce-serpente riferita al dio cristiano.)
Ci sono proprio tutti gli elementi che caratterizzano la storia evangelica.
Poi Donini aggiunge una postilla per giustificare come questa storia possa essere arrivata presso gli ebrei: “Va aggiunto, a questo proposito, che fra gli spartani e gli ebrei esistevano rapporti abbastanza stretti…non si può escludere che la storia della “passione” di Cleomene III abbia lasciato tracce nell’immaginazione popolare in terra di Palestina.”
In altra parte del suo libro, questo storico ci dice, però, che: “Non è facile abituarsi a pensare che Giudaismo e Cristianesimo non rappresentino due momenti di una stessa religione, di cui l’una evolve ideologicamente e cronologicamente nell’altra, ma costituiscono due religioni diverse.”
Quindi pur pensando che ebraismo e cristianesimo siano religioni diverse*, egli pensa che comunque la storia evangelica sia stata costruita in ambito ebraico.
(* Infatti da altra parte ci riferisce che: “ E’ ancora più difficile accettare l’idea che tra la religione del popolo ebraico e la religione cristiana i rapporti sono assai meno stretti che non tra il cristianesimo e i culti di salvezza, o di “mistero”, nati negli ultimi secoli dell’età antica in seno al paganesimo greco romano”, ed egiziano, mi verrebbe da aggiungere.)
È difficile stabilire se l’ipotesi di Donini ha un fondamento, ma a noi poco interessa, perché ci basta sapere che l’episodio, se vero, è avvenuto ad Alessandria d’Egitto, e anche se non vero l’importante è che se ne conservasse la mitica memoria.
Diverse considerazioni, da me espresse nel capitolo Il Gesù della Storia di KRST, rafforzano l’idea che la storia di Cleomene possa essere stata utilizzata in ambito non proprio ebraico, ma in un gruppo con influssi ebraici quale fu, appunto, la setta dei Terapeuti di Alessandria.
Dobbiamo infatti tener presente quanto ci dice Eusebio citando Filone di Alessandria (I secolo):
SE II,17,11-12: “«Hanno anche opere di antichi scrittori, fondatori della loro setta (quindi antecedenti al I secolo), che hanno lasciato molte tracce della loro sapienza in forma allegorica; di queste fanno uso come di modelli, per imitare il loro modo di vivere». Queste cose sembrano essere state dette da un uomo che li ha sentiti di persona spiegare le loro Sacre Scritture; ed è molto verosimile che quelle opere degli antichi, che egli dice essere da loro possedute, siano i Vangeli, gli scritti degli apostoli…“
Ovvero Filone riferiva che alcune opere dei Terapeuti, naturalmente intrise di riferimenti vetero testamentari, scritte in termini allegorici, erano state utilizzate per scrivere delle storie sfociate nel racconto evangelico, se non vogliamo credere che il primo vangelo fosse già presente fra le loro opere.
E che i vangeli fossero opere allegoriche oggi appare chiaro dalla decodifica che è possibile derivare dalla teologica solare eliopolitana. (Si veda il mio precedente articolo su Academia.edu I Vangeli erano (e sono) racconti allegorici.)
I Terapeuti di Alessandria nacquero, probabilmente, in seguito all’arrivo di maghi e guaritori provenienti dall’India, monaci dell’Ordine di Theravada detti Theraputra o Theraputta, che si fusero con una setta Giudea Essena. Il carattere di medico e guaritore assegnato a Gesù deriverebbe dalle caratteristiche degli adepti di questa setta. (* Naturalmente mi riferisco al carattere e agli attributi descrittivi del personaggio letterario Gesù, che, sotto questo punto di vista di guaritore, potrebbe essere stato plasmato anche su un personaggio reale. Ma questa è un’altra storia.)
Possiamo a questo punto tentare di fare delle ipotesi su come l’autore del primo vangelo abbia assemblato gli elementi a sua disposizione.
Sulla base del racconto che gli Alessandrini ancora conservavano di Cleomene III, egli, memore anche dello schiavismo endemico del paese di origine della sua setta, mise insieme:
- l’allegoria solare, derivante dalla religione di Serapide allora dominante ad Alessandria;
- contaminata e rinnovata dalla nuova religione Mitraica, derivante dall’antica religione Mazdea penetrata fino in India, rinata dopo la scoperta della precessione degli equinozi;
- il miraggio di una nuova vita dopo la morte, nel nuovo mondo che sarebbe sorto dall’Apocalisse alla fine dell’Era dei Pesci, o dopo mille anni dalla fine dell’Era dell’Ariete;
- l’antica mitologia (midrash) conservata nella tradizione ebraica;
- la vita e il destino dell’antico propugnatore di cancellare i debiti, ridistribuire le terre ed emancipare gli schiavi e i derelitti, tradito e crocifisso, ma ancora vivo nel ricordo alessandrino
per creare la favola della vita di Cristo, “lo stesso eroe che è stato cantato, solo con molto più genio, nei poemi su Bacco, su Osiride, su Ercole o su Adone”, come lo definisce Charles François Dupuis.
Naturalmente la morte di Cristo è dettata principalmente dal sacrificio propiziatorio ma mi sembra alquanto plausibile che per cancellare i debiti dell’umanità si evocasse il sacrificio di chi si era battuto per quello scopo, utilizzando lo stesso mezzo con cui fu martirizzato quell’eroe.
Solo che, se nella storia Cleomene III si suicidò e poi fu crocifisso, chi adattò quella storia in ambito ebraico pensò bene che fosse il traditore a suicidarsi e che la crocifissione risultasse il mezzo per espletare il sacrificio di espiazione necessario per la remissione dei peccati (debiti).
E, bisogna dirlo, fece un ottimo lavoro, visto che a duemila anni di distanza c’è ancora chi piange per la sua morte allegorica.
Pier Tulip
Pier Tulip si è laureato in Fisica a Napoli e ha insegnato questa materia nelle scuole superiori. Da diverso tempo si occupa di ricerche su argomenti di tipo esoterico. Dopo aver pubblicato il libro RUM MOLH, una biografia romanzata del Principe napoletano alchimista e massone Raimondo de’ Sangro, ha rivolto la sua attenzione alla genesi del Cristianesimo, con il libro KRST, perché risultati ottenuti nella precedente ricerca indicavano una possibile commistione del cristianesimo con la religione egizia. Per contattare Pier Tulip: pier.tulip@gmail.com