La Teoria di Olduvai è stata definita inconcepibile, assurda, pericolosa, fine a se stessa e causa del suo stesso insuccesso. Ciononostante, ve la propongo come una teoria induttiva basata sui dati riferiti all’energia e alla popolazione mondiali e su ciò che ho osservato durante gli ultimi trent’anni in una cinquantina di nazioni su tutti i continenti ad eccezione dell’Antartide. Si basa anche sulla mia esperienza nell’ingegneria elettrotecnica e sulla gestione dei sistemi energetici, sul mio hobby dell’antropologia e dell’archeologia e su una vita di letture riferite a vari campi.
La teoria viene definita dal rapporto tra la produzione e l’uso mondiali di energia e la popolazione globale. I dettagli sono calcolati. La teoria è semplice. Essa afferma che l’aspettativa di vita della Civiltà Industriale è inferiore o uguale a 100 anni: 1930-2030.
La produzione mondiale pro-capite di energia nel periodo compreso tra il 1945 e il 1973 è cresciuta a rotta di collo, al tasso del 3,45% all’anno. Poi, tra il 1973 e il picco massimo del 1979, ha rallentato fino a un irrilevante 0,64% annuo. Quindi, all’improvviso e per la prima volta nella storia, la produzione di energia pro-capite ha iniziato un declino a lungo termine dello 0,33% tra il 1979 e il 1999. La Teoria di Olduvai spiega il picco del 1979 e il successivo declino. Più precisamente, afferma che la produzione pro-capite di energia ritornerà al suo valore del 1930 entro il 2030, individuando così in 100 anni o meno la durata della vita della Civiltà Industriale.
Se ciò dovesse verificarsi, una grande quantità di fattori potrebbero essere citati come “cause” del collasso. Però, io credo che il collasso sarà fortemente correlato a una “epidemia” di blackout permanenti delle reti elettriche ad alta tensione, che toccherà il mondo intero. In breve: «Quando l’elettricità se ne va, siete tornati al Medio Evo. E l’Età della Pietra è dietro l’angolo».
Certo, la Teoria di Olduvai può rivelarsi sbagliata. Ma, fino ad ora, non può essere esclusa osservando i dati storici riferiti alla produzione di energia e alla popolazione.
1. Introduzione
«Il collasso, se e quando si ripresenterà, questa volta sarà globale. Non è più possibile che collassi una nazione sola. La civilizzazione mondiale si disgregherà nel suo complesso. I competitori che si evolvono allo stesso modo, collassano in modo simile.»
Joseph A. Tainter, 1988
La Teoria di Olduvai, basata su dati, afferma che la speranza di vita della Civiltà Industriale è pari o inferiore a 100 anni. Dovremo seguire la teoria dalle sue più antiche radici, che affondano nella filosofia greca, per giungere a stimati scienziati del XX secolo. Questo approccio è utile perché, sebbene la teoria sia semplice da capire, per la maggior parte delle persone è difficile da accettare in quanto sgradevole — esattamente come è stata per me.
La Teoria di Olduvai non riguarda né la geologia né la paleontologia della Gola di Olduvai. Non è neppure una teoria prescrittiva. Piuttosto, tenta semplicemente di spiegare i dati storici mondiali riferiti alla produzione (e all’uso) di energia e alla popolazione in termini di eccesso e collasso. Ho scelto il nome “Olduvai” poiché (1) è un nome noto, (2) ci sono stato, (3) la sua sonorità è lugubre e inquietante, e (4) è una buona metafora per lo “stile di vita dell’Età della Pietra”. Infatti, lo stile di vita di Olduvai era (ed è ancora) uno stile di vita sostenibile – localista, tribale e solare – e, che sia un bene o un male, i nostri antenati lo hanno praticato per milioni di anni.
Non c’è dubbio che il picco e il declino della Civiltà Industriale, se si verificheranno, saranno dovuti a una complessa serie di cause, quali la sovrappopolazione, l’esaurimento delle risorse non rinnovabili e la guerra per le risorse stesse. Detto questo, la Teoria di Olduvay usa un solo sistema di misurazione, così come definito dalla “Legge di White”. ma ora si presenta con una variante – l’elettricità.
La maggior parte della mia esperienza nel campo dell’industria riguarda le reti elettriche e i sistemi di gestione dell’energia (EMS) che le controllano. L’elettricità non è una fonte primaria di energia, quanto piuttosto un “vettore di energia”: non ha massa, si sposta ad una velocità prossima a quella della luce e, per ogni scopo pratico, non può essere immagazzinata. Inoltre, i sistemi elettrici sono costosi, complessi, avidi di combustibile, inquinanti e richiedono di essere operativi e soggetti a manutenzione ventiquattro ore al giorno, per sette giorni la settimana, per cinquantadue settimane l’anno. Un altro problema è che diamo per scontata la disponibilità di elettricità. Basta premere un interruttore e le cose funzionano. In breve: l’elettricità è la quint’essenza dello “stile di vita moderno”, ma gli stessi sistemi elettrici sono esigenti, pericolosi e delicati. Tutto ciò suggerisce che dei blackout permanenti saranno strettamente correlati al collasso della Civiltà Industriale – il cosiddetto “dirupo di Olduvai”, del quale si parla poco oltre.
Questo articolo supporta e accompagna la presentazione per diapositive dal titolo “La Teoria di Olduvai: una guida illustrata” (si veda Duncan, 2000c).
La Civiltà Industriale è visualizzata sotto forma di curva dell’impiego mondiale pro-capite di energia (ê). La “aspettativa di vita” (cioè la “durata”) della Civiltà Industriale è definita come il tempo (in anni) compreso tra il punto in cui ê raggiunge per la prima volta il 30% del suo valore di picco e il punto di uscita corrispondente, nel quale ê ritorna allo stesso valore (figura 4). L’aspetto nuovo è che la Teoria di Olduvai è ora mirata sui sempre maggiori problemi che si hanno a livello globale con le reti elettriche ad alta tensione.
Civiltà e Kilowatt pronti all’uso: Sebbene i combustibili fossili siano molto importanti, è l’elettricità la forma di energia fondamentale, a livello utente, della Civiltà Industriale. Per determinare la sua importanza, è essenziale distinguere tra l’energia primaria impiegata per produrre elettricità e l’energia primaria impiegata per tutti gli altri usi (quelli che non richiedono elettricità, quale la generazione di lavoro e calore). Considerate quanto segue. Si stima che nel 1999 il 42% dell’energia primaria mondiale sia stata impiegata per produrre elettricità. Questa quantità è paragonabile con il contributo del petrolio a tutti gli impieghi a livello di utenza; il contributo del gas è stato del 18%, quello del carbone un mero 1%. Inoltre: quando si richiede energia di qualità, l’importanza dell’elettricità diviene molto, MOLTO chiara. Per esempio, se si desidera riscaldare un ambiente, allora 1 joule (J) di carbone equivale a 1 J di elettricità. Però, se si desidera alimentare un televisore, allora 1 J di elettricità “equivale” a 3 J di carbone! Quindi, se dovete preoccuparvi per l’energia, non perdete il vostro sonno pensando al petrolio, al gas o al carbone. Preoccupatevi per l’interruttore della corrente che sta sulla parete!
2. Energia e civiltà
Se gli altri fattori rimangono costanti, la cultura si evolve col crescere della disponibilità di energia pro-capite o col crescere dell’efficienza dei mezzi atti a impiegarla. Possiamo ora seguire la storia dello sviluppo culturale da questo punto di vista.
Leslie White, 1949 “La legge di White�?
Il petrolio è liquido, colmo di energia e facilmente trasportabile. È la più importante fonte primaria di energia per la Società Industriale (ma non la più importante a livello utente!). Abbiamo sviluppato un nuovo metodo di modellazione e simulazione e lo abbiamo usato per effettuare una serie di cinque previsioni riferite alla produzione mondiale di petrolio, una nuova previsione ogni anno. La figura 1 mostra i risultati principali della nostra previsione più recente, la quinta. (Duncan, 2000b)
Figura 1. Produzione petrolifera mondiale, dei Paesi OPEC, e dei Paesi Non-OPEC
Note: (1) Si prevede che la produzione petrolifera mondiale raggiunga il proprio massimo nel 2006. (2) Il sorpasso dei Paesi OPEC nei confronti dei Paesi Non-Opec si verificherà nel 2008. (3) Il tasso di produzione petrolifera delle nazioni OPEC tra il 1985 e il 1999 è cresciuto 9,33 volte più di quello delle nazioni Non-OPEC.
La figura 1 mostra i dati storici della produzione petrolifera nel periodo 1960-1999 e le nostre previsioni per il periodo 2000-2040. Si noti che il tasso di crescita della produttività petrolifera è rallentato tra il 1960 e il 1999 (curva 1). In dettaglio: il tasso medio di crescita nel periodo 1960-1973 consisteva in un martellante 6,65% all’anno. Poi, nel periodo 1973-1979, la crescita ha rallentato all’1,49% all’anno. Quindi, dal 1979 al 1999, ha rallentato ulteriormente fino ad un glaciale 0,75% all’anno. Andando oltre il periodo storico, la nostra quinta previsione predice che la produzione petrolifera mondiale raggiungerà il suo picco massimo nel 2006. Quindi, dal suo picco del 2006 al 2040, la produzione petrolifera mondiale scenderà del 58,8%, un calo medio del 2,45% all’anno in un periodo di 34 anni.
Si prevede che il sorpasso dei Paesi OPEC rispetto a quelli Non-OPEC avverrà nel 2008 (figura 1, curve 2 e 3). Questo sorpasso dividerà il mondo in due: una parte caratterizzata da un’eccedenza di petrolio, l’altra senza petrolio. La quinta previsione presenta il seguente scenario. (1) A partire dal 2008, gli 11 Paesi OPEC produrranno oltre il 50% di tutto il petrolio mondiale. (2) Da quel momento in poi, l’OPEC controllerà quasi il 100% di tutte le esportazioni petrolifere. (3) La BP Amoco, nel 2000, indica che le “riserve provate�? dell’OPEC costituiscono il 77,6% delle riserve totali mondiali. (4) La produzione OPEC dal 1985 al 1999 è cresciuta ad un forte tasso medio del 3,46% annuo. Per contro, la produzione Non-OPEC è cresciuta di un misero 0,37% nello stesso periodo di 14 anni.
I modelli di previsione petrolifera, il programma per eseguirli e una guida utente sono disponibili gratuitamente presso www.halcyon.com. (Duncan, 2000a)
Il picco della produzione petrolifera mondiale (2006) e il sorpasso dei Paesi OPEC nei confronti di quelli Non-OPEC (2008) sono importanti per lo “schema di Olduvai�?, discusso più avanti. Ma, prima, diamo un’occhiata al rapporto tra la produzione petrolifera e la popolazione mondiali. La figura 2 mostra i dati storici.
Figura 2. Produzione petrolifera pro-capite media mondiale: 1920-1999
Note: (1) La produzione petrolifera pro-capite media annuale (ô) è cresciuta in modo esponenziale tra il 1920 e il 1973. (2) Dopo, il tasso di crescita medio è stato prossimo allo zero dal 1973 fino al picco massimo, raggiunto nel 1979. (3) Quindi, dal picco del 1979 al 1999, ô è calato fortemente, in media dell’1,20 annuo. (4) Risposta tipica: «Non lo sapevo!» (5) Le vignette enfatizzano come il petrolio sia di gran lunga la più importante fonte di energia primaria per i trasporti (circa il 95% del petrolio prodotto nel 1999 è stato impiegato per i trasporti).
La figura 2 mostra a produzione petrolifera pro-capite media annuale nel periodo 1920-1999. La curva rappresenta il rapporto tra la produzione petrolifera mondiale (O) e la popolazione mondiale (Pop): cioè ô = O/(Pop) in barili pro-capite all’anno (cioè b/c/anno). Si noti che ô è cresciuto in modo esponenziale dal 1920 al 1973. Dopo, la crescita è stata quasi impercettibile dal 1973 fino al picco massimo del 1979. Alla fine, dal picco del 1979 al 1999, ô è calato ad un tasso medio dell’1,20% all’anno (cioè dai 5,50 b/c del 1979 ai 4,32 b/c del 1999). “Stai scherzando!�?
Il picco del 1979 e il declino della produzione petrolifera mondiale pro-capite sono mostrati a pagina 11 di BP Amoco (2000), www.bpamoco.com. Da non perdere.
Ultima riga: sebbene la produzione petrolifera mondiale (O) sia cresciuta con un tasso medio dello 0,75% all’anno nel periodo 1979-1999 (figura 1), la popolazione mondiale (Pop) è cresciuta ancora più in fretta. Per questo, la produzione petrolifera mondiale pro-capite (ô) si è ridotta ad un tasso medio dell’1,20% all’anno durante i venti anni compresi tra il 1979 e il 1999 (figura 2).
Gli obiettivi principali di questo studio, come già detto, consistono nel descrivere, discutere e testare la Teoria di Olduvai della Civiltà Industriale nei confronti dei dati storici. Applicando la Legge di White, la nostra unità di misura (cioè il nostro indicatore) è il rapporto tra la produzione energetica totale mondiale (E) e la popolazione mondiale (Pop): cioè ê = E/(Pop). La figura 3 mostra ê durante il periodo storico.
Figura 3. Produzione energetica mondiale pro-capite: 1920-1999
Note: (1) La produzione energetica mondiale pro-capite (ê) è cresciuta in modo significativo dal 1920 fino al suo picco massimo, raggiunto nel 1979. (2) Dal picco del 1979 al 1999, ê si è ridotto ad un tasso medio dello 0,33% all’anno. Questa tendenza al ribasso costituisce il “pendìo di Olduvai�?, discusso più avanti. (3) Le vignette enfatizzano che la condizione sine qua non dello “stile di vita moderno�? è la disponibilità di energia elettrica per gli utenti finali, non gli idrocarburi.
Si osservi come varia ê nella figura 3. In dettaglio: dal 1920 al 1945 ê è cresciuta moderatamente ad una media dello 0,69% all’anno. Quindi, dal 1975 al 1973, è cresciuta al torrido passo del 3,45% all’anno. Dopo, dal 1973 al picco del 1979, la crescita ha rallentato allo 0,64% all’anno. Ma successivamente, all’improvviso e per la prima volta nella storia, ê ha cominciato un declino sul lungo periodo che si estende dal 1979 al 1999. Questo periodo ventennale è chiamato “pendio di Olduvai�?, il primo dei tre periodi discendenti nello “schema di Olduvai�?.
Ultima riga: Sebbene la produzione mondiale di energia (E) sia cresciuta ad un tasso medio dell’1,34% all’anno nel periodo 1979-1999, la popolazione mondiale (Pop) è cresciuta ancora più in fretta. Così, la produzione energetica pro-capite (ê) è scesa ad un tasso medio dello 0,33% durante quel ventennio (figura 3). Si veda la Legge di White, all’inizio di questa sezione.
Riconoscimenti: Per quel che ne so, bisogna dare credito a Robert Romer (1985) per essere stato il primo a pubblicare il dato del periodo del picco nella produzione energetica mondiale pro-capite (ê) dal 1900 al 1983. Egli pose correttamente il picco nel 1979, seguito da un netto declino fino al 1983, l’ultimo anno per il quale disponeva dei dati. Bisogna dare credito anche a John Gibbons, et al. (1989) per aver pubblicato un grafico di ê per il periodo 1950-1985. Gibbons, et al. posero il picco nel 1973 ma, curiosamente, in nessuno degli studi citati si fa mai menzione dell’importanza del picco e del declino della produzione energetica mondiale pro-capite.
Il picco del 1979 e il declino della produzione energetica mondiale pro-capite (ê) è mostrato a pagina 40 di BP Amoco (2000), www.bpamoco.com. Dateci un’occhiata.
3. Evoluzione di un’idea
Come sarebbe gloriosa la società se uomini e donne si comportassero come i milioni di cellule di un embrione in via di sviluppo.
Hans Spemann, 1938
Il seme della Teoria di Olduvai è stato piantato molto tempo fa. per esempio, il poeta greco Pindaro (c. 522-438 a.C.) scrisse, «Che accade quando scende la notte? Il destino ha scritto che dobbiamo correre verso la fine?» (Eiseley, 1970)
Lo studioso arabo Ibn Khaldun (1332-1406) considerava la “solidarietà di gruppo�? il requisito primario della civiltà. «La civiltà ha bisogno dei valori tribali per sopravvivere, ma proprio quei valori vengono distrutti dalla civiltà. Specificamente, la civiltà urbana distrugge i valori tribali con i piaceri che indeboliscono i legami familiari e sociali e con i desideri artificiali rivolti verso nuovi tipi di cucina, nuove mode nell’abbigliamento, case più ampie e altre novità della vita di città». (Weatherford, 1994)
Joseph Granvill nel 1665 osservò che, sebbene le macchine che impiegavano l’energia rendessero la vita più facile, generavano anche dipendenza. «Per esempio, se vengono stimolate esigenze artificiali, le risorse devono essere consumate a una velocità sempre crescente». (Eiseley, 1970)
Ma, per quel che ne so, è stato l’avventuriero e scrittore americano Washington Irving (1783-1859) che per primo si accorse che la civiltà potrebbe collassare rapidamente.
Le nazioni stanno rapidamente perdendo le proprie specificità nazionali. Il sempre maggiore contatto reciproco, lo scambio di mode e l’uniformità di opinioni dovuta alla diffusione della letteratura stanno distruggendo velocemente quelle particolarità specifiche che prevalevano in precedenza. Nel tempo, ci ritroveremo a essere null’altro che un solo popolo, a meno che un ritorno alla barbarie ci getti nuovamente nel caos. (Irving, 1822)
Il primo cenno che ho trovato circa la probabilità che la Civiltà collassi per tornare a una condizione primitiva, proviene dal biologo e matematico Alfred Lotka.
La specie umana, considerata secondo una prospettiva ampia, come un’unità che comprende anche i suoi accessori economici ed industriali, ha rapidamente e radicalmente modificato le sue caratteristiche durante l’epoca nella quale si è sviluppata la nostra vita. In questo senso, siamo molto più lontani dall’equilibrio – un fatto che ha il massimo significato pratico, dal momento che implica che prima di noi c’è stato un periodo di adattamento a condizioni di equilibrio; sarebbe un ottimista estremo colui il quale si aspettasse che tale adattamento possa essere raggiunto senza lavoro e senza sforzo. Mentre, visto dall’esterno, un tale improvviso declino potrebbe apparire in accordo con la giustizia eterna dal momento che cinicamente i guadagni bilancerebbero le perdite, in prima persona sarebbe percepito come una catastrofe immane. I nostri discendenti, se questo dovesse essere il loro destino, troverebbero ben poco sollievo ai propri mali nel sapere che noi abbiamo condotto la nostra vita nell’abbondanza e nei piaceri. (Lotka, 1925)
Il matematico Norbert Wiener (1894-1964) nel 1950 scrisse che il meglio che possiamo sperare dal ruolo del progresso è che «i nostri tentativi di andare avanti di fronte a necessità schiaccianti possano avere l’effetto catartico della tragedia greca».
Le risorse dell’America sembravano inesauribili nel 1500. In ogni caso, l’esistenza di nuove terre incoraggiava un atteggiamento non molto diverso da quello della festa del Cappellaio Matto in Alice nel Paese delle Meraviglie. Quando il te e i dolci erano finiti in un posto, la cosa più ovvia e naturale era spostarsi ed occupare il posto vicino. Col passare del tempo, la tavola da te dell’America ha rivelato di non essere inesauribile. Ciò che molti di noi non riescono a comprendere è che gli ultimi quattrocento anni sono un periodo molto speciale nella storia del mondo. Ciò è in parte dovuto ad un incremento delle comunicazioni, ma anche a un accresciuto controllo sulla natura che, in un pianeta limitato come la Terra, potrebbe rivelarsi, a lungo termine, un’accresciuta schiavitù nei confronti della natura. (Wiener, 1950)
Charles Galton Darwin scrisse nel 1953:
«La quinta rivoluzione si verificherà quando avremo speso le riserve di carbone e petrolio che si sono accumulate nella Terra durante centinaia di milioni di anni. C’è da sperare che prima di allora saranno state sviluppate altre fonti energetiche ma, senza considerare [qui] i dettagli, è ovvio che ci saranno grandi differenze nello stile di vita. Che si trovi o meno un sostituto adatto per i combustibili attuali, non c’è dubbio che si verificherà un grande cambiamento nello stile di vita. Questo cambiamento può opportunamente essere chiamato una “rivoluzione�?, ma è diverso da tutte quelle precedenti per il fatto che non è probabile che porti a una crescita della popolazione, quanto piuttosto al contrario». (Darwin, 1953)
Fred Hoyle nel 1964 la mise giù dura.
«Si è spesso detto che, se la specie umana non riuscirà a farcela qui sulla Terra, qualche altra specie porterà avanti la corsa. Nel senso dello sviluppare l’intelligenza, questa affermazione non è corretta. Abbiamo, o avremo presto, esaurito i prerequisiti fisici per quanto riguarda questo pianeta. Una volta esauriti il carbone, il petrolio, i giacimenti ad alta concentrazione di metalli, nessuna specie per quanto competente potrà compiere la lunga scalata dalle condizioni primitive ad una tecnologia di alto livello. Quest’arma ha un solo colpo. Se falliamo, questo sistema planetario fallisce, per quanto riguarda l’intelligenza. Lo stesso varrà per gli altri sistemi planetari. Su ciascuno di essi ci sarà una, ed una sola, possibilità.» (Hoyle, 1964)
4. Modelli del mondo, ecc.
Forse il male più diffuso è la visione Occidentale dell’uomo e della natura. Tra di noi, è diffusa la convinzione che l’uomo sia distinto dalla natura, superiore ad essa; ancor più, l’evoluzione è un processo per creare l’uomo e porlo all’apice della piramide cosmica. Egli vede la Terra come un tesoro che può saccheggiare a piacere. E, in effetti, il comportamento delle genti Occidentali, in modo particolarmente evidente a partire dall’avvento della Rivoluzione Industriale, fornisce una prova incontrovertibile a favore di questa asserzione.
Ian McHarg, 1971
Jay Forrester del MIT nel 1970 mise insieme un modello del mondo «per comprendere le opzioni disponibili per l’umanità nel momento in cui le società entrano nella fase di transizione tra crescita ed equilibrio».
Che accade quando la crescita si avvicina a dei limiti fissi e viene costretta a dare spazio ad una qualche forma di equilibrio? Ci sono possibilità di scelta di fronte a noi che conducano a futuri alternativi? La crescita esponenziale non continua per sempre. La crescita della popolazione e dell’industrializzazione si arresteranno. Se l’uomo non mette in atto azioni consapevoli per limitare la popolazione e l’investimento dei capitali, le forze implicite nel sistema naturale e sociale diverranno sufficientemente forti per limitare la crescita. La domanda riguarda solo il quando e il come, non il se, la crescita si arresterà. (Forrester, 1971)
Il comportamento di base del modello del mondo di Forrester era quello dell’eccesso e del collasso. Le proiezioni secondo questo modello prevedevano un picco dello standard materiale della vita (MSL) nel 1990 e un suo successivo declino protratto fino al 2100. Inoltre, misurata secondo il MSL (cioè secondo i punti di ingresso e uscita al 30%), l’aspettativa di vita della Civiltà Industriale era di circa 210 anni. (Forrester, 1971, figura 4-2). Forrester ricorse a un modello del mondo per effettuare ricerche sulle politiche (cioè sulle “azioni conscie�?) sociali da attuare per passare ad uno schema sostenibile.
Nei nostri sistemi sociali non ci sono utopie. Nessuna modalità di comportamento sostenibile è libera da pressioni e tensioni. Sviluppare le modalità più promettenti richiede sforzi e dedizione finalizzati ad un futuro a lungo termine, che l’uomo può non essere in grado di reggere. La nostra maggiore sfida attuale è la gestione della transizione dalla crescita all’equilibrio. Le società industriali hanno dietro di sé lunghe tradizioni che hanno incoraggiato e premiato la crescita. Il folklore e le storie che narrano del successo, predicano la crescita e l’espansione. Ma crescita ed espansione non sono il percorso del futuro. (ibid., 1971)
Forrester scoprì che la sostenibilità poteva essere ottenuta nel modello quando venivano applicate contemporaneamente nel 1970 le seguenti cinque politiche sociali:
* Riduzione dell’impiego di risorse naturali del 75%
* Riduzione dell’inquinamento del 50%
* Riduzione dell’investimento di capitali del 40%
* Riduzione della produzione alimentare del 20%
* Riduzione della natalità del 30% (ibid., 1971)
I critici (in massima parte economisti) sostennero che tali politiche erano sogni non realistici. Per fortuna, la squadra che lavorava al progetto stava completando proprio allora uno studio biennale usando il più globale modello “Mondo 3�?. Anch’essi ricercavano politiche sociali che potessero ottenere la sostenibilità in un modello del mondo. Ad ogni modo, anche l’applicazione di riferimento del modello “Mondo 3�? (come quella di Forrester nel 1971) diede come esito la previsione di un eccesso e di un collasso del sistema mondiale.
Ecco l’applicazione di riferimento del modello “Mondo 3�?.
Tanto la popolazione (Pop) quanto la produzione industriale pro-capite (IOPC) crescono oltre i livelli di sostenibilità e subito dopo iniziano a calare. La causa del loro declino è riconducibile all’esaurimento delle risorse non rinnovabili. (Meadows, et al, 1972, Figure 35)
L’applicazione di riferimento del modello “Mondo 3�? (1972, vedi sopra) prevedeva che la produzione industriale pro-capite (IOPC) avrebbe raggiunto il suo massimo nel 2013 per poi calare rapidamente fino al 2100. Inoltre, la durata della Civiltà Industriale (misurata secondo i punti di ingresso e uscita dell’IOPC al 30%)risultò essere di 105 anni.
Ho presentato per la prima volta in pubblico la Teoria di Olduvai nel 1989.
L’ampio dipanarsi della storia umana può essere diviso in tre fasi.
La prima fase, quella preindustriale, è stato un periodo di equilibrio molto lungo, durante il quale la semplicità degli attrezzi e la debolezza delle macchine limitavano la crescita economica.
La seconda fase, quella industriale, è un periodo molto breve di non equilibrio che ha preso il via con forza esplosiva quando nuove e potenti macchine permisero di alzare temporaneamente tutti i limiti alla crescita.
La terza fase, quella de-industriale, è subito successiva. Durante questa fase le economie industriali subiranno un declino verso un nuovo periodo di equilibrio, limitato dall’esaurimento delle risorse non rinnovabili e dal protrarsi del deterioramento dell’ambiente naturale. (Duncan, 1989)
Nel 1992, vent’anni dopo il primo studio con il “Mondo 3�?, i membri della squadra ricalibrarono il modello con gli ultimi dati disponibili e lo usarono per “vedere un futuro sostenibile�?. Ma…
Tutto ciò che il “Mondo 3�? ci ha detto finora è che il modello, che descrive il “mondo reale�?, ha una forte tendenza all’eccesso e al collasso. Infatti, nelle migliaia di diverse impostazioni dei dati che abbiamo provato nel corso degli anni, l’eccesso e il collasso sono stati di gran lunga il risultato più frequente. (Meadows, et al., 1992)
L’applicazione di riferimento aggiornata del modello “Mondo 3�?, infatti, ha fornito quasi esattamente gli stessi risultati che fornì nel 1972! Per esempio: la produzione industriale pro-capite (IOPC) ha raggiunto il suo picco massimo nel 2014 (contro il 2013 della versione del 1972) e la durata della Civiltà Industriale è risultata essere di 102 anni (contro i 104 della versione del 1972).
Lo scrittore australiano Reg Morrison, analogamente, prevede che l’eccesso e il collasso sono la meta verso la quale l’umanità è indirizzata. Nel suo scenario (cioè non in un modello formale), la popolazione mondiale cresce fino a circa 7 miliardi nel 2036. Da lì, essa crolla a 3,2 miliardi nel 2090 — una perdita media di 71,4 milioni di persone all’anno (sottraendo le nascite alle morti) per 54 anni.
Data la forma attuale del grafico che rappresenta l’andamento della popolazione umana, quegli indicatori comunicano anche un messaggio più rilevante e, dal nostro punto di vista, minaccioso: il ciclo umano delle pestilenze segue giusto il percorso demograficamente normale del culmine e del collasso. Non solo i nostri geni sono riusciti a nasconderci che non siamo altro che tipici mammiferi e che siamo quindi vulnerabili a tutti i consueti controlli e bilanciamenti dell’evoluzione, ma hanno anche fatto in modo di vincolarci in modo così saldo al ciclo delle pestilenze da sembrare quasi che siano stati fatti apposta. Gaia funziona come un orologio svizzero. (Morrison, 1999)
Le discussioni che seguono mostrano che molti professionisti rispettabili hanno raggiunto conclusioni coerenti con la Teoria di Olduvai, sulla quale ora ci concentreremo.
5. La Teoria di Olduvai: 1930-2030
«Il sistema immunitario della Terra, per così dire, ha riconosciuto la presenza della specie umana e sta cominciando a provvedere. La Terra sta tentando di liberarsi del parassita umano.»
Richard Preston, 1994
La Teoria di Olduvai, da prendere in considerazione, afferma che l’aspettativa di vita della Civiltà Industriale è inferiore o uguale a cent’anni, secondo le misurazioni della produzione media di energia pro-capite annuale: ê = E/(Pop). La Civiltà Industriale qui definita, ebbe inizio nel 1930 e si prevede che termini nel o prima del 2030. I nostri obiettivi principali, in questa sezione, sono tre: (1) discutere la Teoria di Olduvai per il periodo 1930-2030, (2) identificare gli eventi importanti legati all’energia verificatisi durante lo stesso periodo, e (3) evidenziare che Civiltà Industriale = Civiltà Elettrica = stile di vita “moderno�?. La figura 4 rappresenta la Teoria di Olduvai.
Figura 4. La Teoria di Olduvai: 1930-2030
Note: (1) 1930 => la Civiltà Industriale ebbe inizio quando (ê) raggiunse il 30% del suo valore massimo. (2) 1979 => ê raggiunse il valore massimo di 11.15 boe/c. (3) 1999 => la fine del petrolio a buon mercato. (4) 2000 => Inizio della “Guerra Santa�? di Gerusalemme. (5) 2006 => picco previsto per la produzione mondiale di petrolio (figura 1, in questo articolo). (6) 2008 => il sorpasso dei Paesi OPEC rispetto a quelli Non-OPEC (figura 1). (7) 2012 => blackout permanenti si verificano in tutto il mondo. (8) 2030 => la Civiltà Industriale ha termine quando ê ritorna al suo valore del 1930. (9) Si osservi che si sono tre periodi nel declino rappresentato dallo schema di Olduvai: il pendio, lo slittamento e il precipizio, ognuno più ripido del precedente. (10) Le vignette evidenziano che nella Civiltà Industriale l’elettricità è la forma di energia essenziale per l’utente finale.
La figura 4 mostra la curva di Olduvai completa dal 1930 al 2030. I dati storici comprendono il periodo dal 1930 al 1999 e i valori ipotizzati quelli dal 2000 al 2030. Questi cento anni sono denominati “Civiltà Industriale�?. La curva e gli eventi, nel loro insieme, costituiscono lo “schema di Olduvai�?. Si osservi che la curva nel suo complesso è caratterizzata da una forma periodica, cioè del tipo eccesso e collasso. Otto eventi energetici chiave definiscono lo schema di Olduvay.
Gli otto eventi: il primo evento, nel 1930 (si veda la Nota 1, Figura 4) segna l’inizio della Civiltà Industriale, quando ê ha raggiunto i 3,32 boe/c. Questo è il “punto d’ingresso al 30%�?, un modo standard per definire la durata di un impulso. Il secondo evento, nel 1979 (Nota 2) segna il picco massimo della produzione energetica mondiale pro-capite in corrispondenza del quale ê raggiunse gli 11,15 boe/c. Il terzo evento, nel 1999 (Nota 3), segna la fine del petrolio a buon mercato. Il quarto evento, il 28 settembre del 2000 (Nota 4), segna l’esplodere della violenza in Medio Oriente, cioè la “Guerra Santa�? di Gerusalemme. Inoltre, la “Guerra Santa�? di Gerusalemme segna la fine del “pendio�? di Olduvai, nel corso del quale ê è sceso dello 0,33% all’anno tra il 1979 e il 1999.
Successivamente, nella figura 4, sono raffigurati i periodi futuri dello schema di Olduvai. Lo “scivolamento�? di Olduvai, il primo dei periodi futuri, comincia nel 2000 con l’escalation bellica in Medio Oriente. Il quinto evento, nel 2006 (Nota 5), segna il picco massimo nella produzione petrolifera mondiale (figura 1, in questo articolo). Il sesto evento, nel 2008 (Nota 6), segna il superamento dei Paesi OPEC rispetto ai Paesi Non-OPEC, per il quale le 11 nazioni OPEC produrranno il 51% del petrolio complessivo mondiale e controlleranno quasi il 100% delle esportazioni mondiali di petrolio. Il 2011 segna la fine dello “scivolamento�? di Olduvai, periodo compreso tra il 2000 e il 2011 durante il quale ê cala dello 0,67%.
Il “precipizio�? è l’ultimo periodo dello schema di Olduvai. Esso ha inizio con il settimo evento, nel 2012 (Note 7), quando una “epidemia�? di blackout permanenti si diffonde nel mondo intero, cioè si susseguono ondate di parziali cedimenti e blackout temporanei, alle quali segue il cedimento delle reti elettriche. L’ottavo evento, nel 2030 (Nota 8), segna la caduta della produzione (uso) di energia pro-capite mondiale ai livelli del 1930 (figura 4). Questo è il punto di uscita al 30% corrispondente a quello in cui la Civiltà Industriale ebbe inizio. Il tasso medio di declino di ê è del 5,44% annuo nel periodo compreso tra il 2012 e il 2030.
“La mano scrive, quindi passa oltre�?. L’affidabilità elettrica in calo è una realtà attuale.
Le carenze energetiche in California e altrove sono il prodotto del lungo boom economico della nazione, dell’uso di computer avidi di energia, della crescita della popolazione e del rallentamento nella costruzione di nuove centrali elettriche insieme alla deregolamentazione del mercato. Poiché la queste carenze minacciano di diffondersi verso est nei prossimi pochi anni, sempre più Americani potrebbero trovarsi a dover affrontare un problema di equilibrio nel conflitto di vecchia data tra energia e ambiente che farebbero meglio ad evitare: se costruire più centrali o avere a che fare con i “mal di testa�? e gli inconvenienti economici di forniture energetiche inadeguate. (Carlton, 2000)
L’industria elettrica ha pure esaurito quasi tutta la capacità di generazione esistente, sia questa una centrale a carbone, un impianto nucleare o una diga. L’industria elettrica ha già reagito a questa carenza. Sono già stati commissionati ordini per una massiccia quantità di nuove centrali alimentate a gas. Ma queste nuove centrali alimentate a gas richiedono una incredibile quantità di combustibile. La necessità immediata di una tanto maggior disponibilità, semplicemente, non esiste. (Simmons, 2000)
Come abbiamo evidenziato, la Civiltà Industriale deve molto all’elettricità. Ovvero: nel 1999, l’elettricità ha fornito all’utente finale il 45% dell’energia mondiale, contro il 39% del petrolio (il principale combustibile fossile). Eppure, la piccola differenza del 3% maschera le reali dimensioni del problema, poiché non evidenzia la qualità delle diverse forme di energia a livello utente. Con tante scuse a George Orwell e alla Seconda Legge della Termodinamica – “Tutti i joule di energia si equivalgono. Ma alcuni sono più uguali degli altri�?. Così, se volete solo farvi un caffè, 1 joule di energia ricavata direttamente dal petrolio funziona altrettanto bene che 1 joule di energia elettrica. Ma, se volete accendere il vostro computer, allora 1 joule di elettricità vale tanto quanto 3 joule di energia ricavata direttamente dal petrolio. Quindi, il rapporto tra l’importanza dell’elettricità e quella del petrolio per la Società Industriale non è di 42:39, ma più vicino a qualcosa come 99:1. Un rapporto simile si applica all’elettricità nei confronti del gas e all’elettricità nei confronti del carbone.
Domanda: dove si verificherà la moria sottintesa dalla Teoria di Olduvai? Risposta: ovunque. Ma le grandi città, ovviamente, saranno i posti più pericolosi nei quali risiedere quando le reti elettriche cederanno. Lì ci saranno milioni di persone densamente impacchettate in altissimi palazzi, circondati da distese di asfalto e cemento: niente elettricità, niente lavoro e niente cibo. Per questo le aree urbane si spopoleranno rapidamente al cedere delle reti elettriche. Nei fatti, abbiamo già mappato le zone a rischio (si veda, per esempo, Living Earth, 1996.) Specificamente: le grandi città si evidenziano come punti giallo arancio sui mosaici (cioè sulle immagini) della Terra di notte inviate dai satelliti della NASA. Queste luci planetarie gridano “attenzione!�?, “allarme!�? e “pericolo!�?. Città come Los Angeles e New York, Londra e Parigi, Bombay e Hong Kong e altre simili sono tutte punti caldi [che dire di Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova, Palermo… solo per citarne alcune – N.d.T.].
6. Sommario e conclusioni
La teoria della civilizzazione parte dalla filosofia greca verso il 500 a.C. per giungere a una quantità di rispettabili scienziati del XX secolo. Per esempio, l’applicazione di riferimento di due modelli di simulazione del mondo, negli anni ‘70, indicava l’aspettativa di vita della civiltà in un periodo compreso tra i 100 e i 200 anni. La Teoria di Olduvai viene specificamente definita come il rapporto tra l’energia prodotta a livello mondiale e la popolazione, sempre a livello mondiale. Essa afferma che l’aspettativa di vita della Civiltà Industriale è pari o inferiore a 100 anni: dal 1930 al 2030. La teoria è stata verificata in riferimento ai dati storici del periodo compreso tra il 1920 e il 1999.
Sebbene tutte le fonti primarie di energia siano importanti, la Teoria di Olduvai postula che l’elettricità costituisca la quint’essenza della Civiltà Industriale. La produzione energetica pro-capite è cresciuta fortemente dal 1949 al suo picco massimo nel 1979. Quindi, dal 1979 al 1999, per la prima volta nella storia è calata ad un tasso dello 0,33% all’anno (il “pendio�? di Olduvai, figura 4). Secondo lo schema di Olduvai, tra il 2000 e il 2011, la produzione energetica pro-capite mondiale calerà di circa lo 0,70% all’anno (lo “scivolamento�?). Verso il 2012 si verificherà una serie di blackout elettrici permanenti a livello globale. Questi blackout, insieme ad altri fattori, faranno cadere la produzione energetica fino a raggiungere, nel 2030, i 3,32 barili di petrolio equivalente pro-capite all’anno, lo stesso valore del 1930. Il tasso di declino nel periodo compreso tra il 2012 e il 2030 è del 5,44% all’anno (il “precipizio�? di Olduvai). Così, per definizione, la durata della Civiltà Industriale è inferiore o uguale a cent’anni.
Lo “scivolamento�? di Olduvai del periodo 2001-2011 (figura 4) può ricordare la “Grande Depressione�? del decennio 1929-1939: disoccupati, poveri e senza tetto in coda in attesa di sussidi e assistenza. Per quanto riguarda il “dirupo�? di Olduvai tra il 2012 e il 2030, non conosco alcun precedente simile nella storia umana.
I governi hanno perso rispettabilità. Le organizzazioni mondiali sono inefficaci. Il neo-tribalismo si fa strada impetuosamente. La popolazione supera i sei miliardi di persone e continua a crescere. Il riscaldamento globale e virus sempre più aggressivi fanno notizia. L’affidabilità delle reti elettriche sta crollando. E nel momento in cui manca l’energia, si ritorna al Medio Evo.
Nel 1979 conclusi: «Se Dio ha creato la Terra perché gli umani la abitassero, allora l’ha creata perché fosse adatta allo stile di vita dell’Età della Pietra».
Fonte: oilcrash.com