Nello spazio profondo c’è una inaspettata abbondanza di antimateria. A catturarla i sofisticati strumentii del cacciatore di antimateria Nasa Alpha magnetic spectrometer (Ams), un laboratorio agganciato all’Iss come una scialuppa di salvataggio. “Esiste più antimateria di quanto ci aspettavamo – commenta a caldo Roberto Battiston, presidente dell’Asi e vice responsabile di Ams -. Le misure di Ams sono un indizio dell’esistenza di nuovi fenomeni fisici, la cui natura dev’essere ulteriormente chiarita”
di Davide Patitucci
Nello spazio profondo c’è una inaspettata abbondanza di antimateria. La notizia arriva dalla Stazione spaziale internazionale (Iss), continuamente investita insieme al nostro Pianeta da un flusso di particelle provenienti dai più lontani recessi dell’universo, i raggi cosmici, che trascinano come fiumi ciò che incontrano nel loro cammino. A catturarla i sofisticati strumenti, alcuni dei quali realizzati dagli studiosi dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), del cacciatore di antimateria Nasa Alpha magnetic spectrometer (Ams), un laboratorio agganciato all’Iss come una scialuppa di salvataggio, grazie a una delle ultime missioni delle navicelle spaziali Shuttle con a bordo l’astronauta italiano Roberto Vittori.
“Esiste più antimateria di quanto ci aspettavamo – commenta a caldo Roberto Battiston, presidente dell’Asi e vice responsabile di Ams -. Le misure di Ams sono un indizio dell’esistenza di nuovi fenomeni fisici, la cui natura dev’essere ulteriormente chiarita”. Gli studiosi che al Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston hanno analizzato i 41 miliardi di raggi cosmici raccolti negli ultimi 30 mesi da Ams, vogliono vederci più chiaro. Perché le particelle che continuano a colpire, anche in questo momento, i suoi strumenti sono come messaggi in bottiglia cosmici, contenenti preziose informazioni su eventi lontani nello spazio e nel tempo. Eventi spesso caratterizzati da energie elevatissime, impossibili da replicare persino al Cern di Ginevra, dove opera il più potente acceleratore di particelle del mondo. E talvolta circondati da mistero. Come nel caso dell’intangibile materia oscura, che permea un quarto dell’universo, tenendo insieme ammassi di galassie che altrimenti si disgregherebbero, e sulla quale, come suggerisce il nome stesso, sappiamo ancora ben poco.
Gli scienziati di Ams sospettano che proprio l’eccesso di antimateria, sotto forma di positroni – controparte speculare degli elettroni, con cui abbiamo imparato a familiarizzare anche sulla Terra, sfruttandoli nella diagnostica per immagini attraverso la Pet (tomografia ad emissione di positroni), – possa essere la firma dell’inafferrabile materia oscura.
Un’ipotesi avanzata in due articoli, sia il primo che il secondo appena pubblicati sulle “Physical review letters”. “Questo risultato rappresenta un importante passo avanti nello studio di un fenomeno, l’eccesso di positroni, che era stato rilevato per la prima volta dall’esperimento spaziale Pamela, e che oggi viene misurato da Ams con una precisione e un’estensione senza precedenti – afferma Fernando Ferroni, presidente dell’Infn -. La sinergia tra Infn, Asi e industria italiana coglie con il nuovo risultato di Ams un frutto importante, migliorando significativamente la conoscenza di un fenomeno che presenta ancora risvolti misteriosi, e quindi con potenzialità di nuove scoperte”.
In base alle attuali teorie, infatti, i raggi cosmici possono produrre antimateria scontrandosi con le polveri interstellari, ma solo in quantità limitata e mostrando una brusca decrescita all’aumentare dell’energia in gioco. Il numero di positroni osservati da Ams, invece, aumenta rapidamente una volta superati gli otto miliardi di elettronvolt, (l’elettronvolt in fisica delle particelle rappresenta l’unità di misura dell’energia). I nuovi dati dimostrano che, a differenza di ciò che accade nel mondo delle basse energie, quello in cui viviamo fatto di materia, ad energie molto più elevate il rapporto tra antimateria e materia è quasi paragonabile. Nel cosmo devono, pertanto, esistere altre sorgenti di antimateria, uniformemente distribuite, ma ancora sconosciute.
Due le ipotesi sul tappeto: la possibilità che a generare positroni in grande quantità siano state delle pulsar, stelle di neutroni molto dense che emettono radiazioni a intervalli regolari o, come sospettano, e in un certo senso sperano, gli scienziati, collisioni ad alte energie tra particelle di materia oscura. “I nuovi risultati di Ams mostrano inequivocabilmente che una nuova fonte di positroni è attiva nella galassia – commenta entusiasta Paolo Zuccon, fisico del Mit -. Non sappiamo ancora se questi positroni provengono da collisioni di materia oscura, o da sorgenti astrofisiche come le pulsar – precisa lo studioso -, ma sono in corso delle misure da parte di Ams che potrebbero aiutarci a discriminare tra le due ipotesi. La materia oscura è lì fuori, solo non sappiamo ancora cosa sia. Ams è in grado di far luce sulle sue caratteristiche. Noi adesso ne stiamo vedendo qualche traccia – conclude Zuccon -, ed è nelle nostre possibilità dire se questa traccia è vera”.