L’ampio lavoro del Dott. Papi dedicato a una questione tanto importante quale quella delle origini, e del successivo sviluppo, del cristianesimo, è davvero molto interessante, anche per la vastità e l’oculatezza della bibliografia, che presenta quanto di meglio si possa chiedere per una panoramica sulla faccia non ufficiale di una storia che mi pare si stia recentemente sempre più rivoluzionando, grazie principalmente a una serie di studi di “confine” come questo (affiancati naturalmente da ricerche più “ufficiali”, come quelle, ad esempio, del citato Jesus Seminar, cui si deve il massimo contributo all’approfondimento dei testi di Nag Hammadi, ed all’apporto che essi possono dare a una nuova interpretazione della storia delle origini del cristianesimo).
Ma andiamo alle questioni che ho trovato più interessanti, cominciando dal supposto “templarismo” di Francesco. Personalmente il livello, il numero e la qualità di analogie e di indizi che il Papi propone per argomentare la tesi, mi appaiono tali da consentire di andare ben oltre la prudenza, e modestia, eccessive che l’autore esibisce nel suo lavoro, che non può rimanere confinato nel mondo fumoso del verosimile, ma ha tutti i titoli per divenire una seria pista di indagine.
Trovo inoltre assai significativa la sequenza di indizi documentali che il Papi trova a favore della predatazione della Sindone rispetto all’analisi al C14. In particolare, la citazione dell’Inno della Perla, stupendamente commentato da un’altra pietra miliare qual è il testo dello Jonas, potrebbe essere più che un indizio, se non fosse per qualche dubbio che vado subito a illustrare. Il primo, è inerente una carenza nel testo proposto da Jonas – che non è da imputarsi ovviamente a sua trascuratezza, bensì alla precoce scomparsa di colui che può, a ragione, essere ritenuto il massimo studioso delle tematiche gnostiche. Il Jonas ha fatto davvero un ottimo lavoro, ma il suo testo è abbondantemente superato dagli scritti di Nag Hammadi, con particolare riferimento al Vangelo di Filippo che, purtroppo, il Jonas non ha fatto in tempo a leggere e che limita anche la sua capacità di approfondire l’interpretazione del Vangelo di Verità (testo che, invece, sia pure in extremis, Jonas riesce a visionare e a commentare proprio nel volume citato da Papi).
Il problema è la funzione dell’ immagine. Sebbene il paragone adottato da Papi sia ineccepibile, e sembri davvero una perfetta descrizione della Sindone, la funzione dell’immagine è una metafora centrale nella gnosi, senza la quale lo stesso concetto di gnosi cristiana non ha motivo di essere. Per capirlo è sufficiente leggere (con estrema attenzione) il Vangelo di Filippo (io l’ho letto nella traduzione di Moraldi, e consiglio di prescindere dall’introduzione del curatore che svia il lettore non facendogli cogliere la profondità di questo documento). L’immagine, nella gnosi ma anche nell’Inno alla Perla, è l’antitesi della materia, è la sostanza immateriale e nascosta del mondo, che gli arconti (o comunque i generatori di menzogna) cercano di nascondere all’uomo, soverchiandolo con una serie di controimmagini materiali. Queste deviano la percezione della sostanza metafisica della realtà, e “pilotano” l’uomo verso il male e gli eletti lontano dalla Luce. Ovviamente è una descrizione sintetica, carente da svariati punti di vista, ma l’ho proposta solo per dire che l’immagine è una metafora che difficilmente potrebbe nascondere un fatto di per sé del tutto marginale, se non addirittura del tutto assente nella gnosi cristiana, quale la resurrezione, e di conseguenza la Sindone. Il Vangelo di Filippo critica infatti aspramente il concetto di resurrezione corporea successiva alla morte, e gli oppone la resurrezione o rinascita dell’Uomo Nuovo attraverso il cammino gnostico di ricongiunzione al Padre.
Insomma, testi profondi (esoterici) come la Perla, o meglio come il Vangelo di Filippo, non credo avrebbero cripticamente voluto alludere a un oggetto materiale, in fondo poi inessenziale per la gnosi, come il telo sindonico, celandone il riferimento dietro a un concetto viceversa assolutamente centrale quale quello della detta “immagine”. A meno che, naturalmente, l’oggetto non rivelasse una metafora di secondo livello molto più importante della prima apparente chiave di lettura, ovvero, pertinente a un livello di conoscenza superiore a quello ottenibile con la lettura diretta del testo. Mi spiego. I livelli interpretativi dei testi gnostici (un po’ come la Divina Commedia di Dante), sono 7 (12 secondo altre interpretazioni), vedi ad esempio la Pistis Sophia. Per passare dall’uno all’altro è necessario trovare una chiave simbolico-interpretativa in un punto particolare del testo (di solito il simbolo fondamentale), che indica la base per ricostruire il livello successivo a partire dal medesimo testo o documento (anche pittorico: vedi il Mosaico di Otranto, e la spiegazione che se ne tenta in Episteme N. 5). I primi tre livelli sono oggettivi e riconoscibili anche dai non eletti, i successivi rientrano nella sfera dei misteri, e come tali sono conoscibili solo dagli eletti, con una analisi soggettiva e sicuramente segreta, vale a dire non divulgabile.
Tornando alla Sindone, se ci si limita a nascondere un oggetto reale, pur dal valore simbolico che tradizionalmente gli viene affidato (prova della resurrezione, ma per Papi è esattamente il contrario), dietro l’Inno della Perla, credo che si faccia un passo indietro e non in avanti, che non è conciliabile con l’evoluzione interpretativa dei livelli successivi di occultamento della verità nei testi gnostici. Nego, quindi, che possa esserci questo legame? Assolutamente no, potrebbe esserci, ma allora avrebbe un significato che deve andare necessariamente ben oltre quello della semplice documentazione materiale dell’avvenuta resurrezione. In altre parole, l’unico livello successivo alla funzione dell'”immagine” come metafora delle verità nascoste, non può essere una “prova” della resurrezione, ma deve essere una chiave per percepire le “immagini” successive. O meglio, se dietro l’Inno alla Perla c’è davvero la Sindone, allora la sua funzione deve andare ben oltre quella che comunemente le si attribuisce: essa deve essere una chiave di accesso ai livelli di conoscenza superiore, cioè ai misteri del quarto livello. Infatti alla lettura semplice e diretta del testo, si aggiunge la lettura metaforica dell’immagine che apre l’accesso al terzo livello di lettura, che è ancora collocato nel mondo dell’uomo, e quindi del pensabile. La presenza della Sindone nella Perla si situerebbe nel terzo livello interpretativo, che prelude al quarto, passando nelle sfere non aperte all’uomo, misteriche.
Secondo il mio parere, il mistero della Sindone potrebbe allora essere, a questo punto, una possibile chiave di accesso al “mondo dell’immagine”, che gli gnostici dicevano dovesse rimanere celato ai non eletti. La risposta al simbolo sindonico non sarebbe allora di tipo fisico e materiale, ma necessariamente metafisico e spirituale: una sorta di porta verso una dimensione superiore che l’eletto, che ha già percorso i primi tre livelli, può aprire per arrivare al Logos. In tutto il discorso prescindo dalla gnosi templare, che ci porterebbe lontano, ma che ritengo sia anch’essa intimamente legata a tale contesto.
Concludo questa prima parte dicendo che quella di Papi possa essere una pista, in prospettiva, feconda di inattesi sviluppi, e, nella persuasione che possa essere utile per i lettori avere a disposizione la versione integrale dell’Inno alla Perla (ripeto, documento centrale per la tesi di Papi, ma che pare. l’autore abbia letto nel libro di Jonas che, come ho notato dalla copia che posseggo, è stato però tagliato e privato di alcune parti essenziali, quali la descrizione dettagliata della fattura dell'”abito” gnostico, che il Papi congettura possa essere la Sindone), lo allego qui integralmente. Credo infatti che solo la lettura diretta del testo completo possa essere utile per decidere se la descrizione del vestito, assente nel testo di Jonas, richiami oppure no elementi sindonici, attenuando come ritengo l’effetto della similitudine (ma posso ovviamente sbagliarmi).
Per comodità stralcio il solo Inno alla Perla, ma sottolineo anche un altro episodio emblematico degli Atti apocrifi di Tommaso in cui esso è contenuto: quello della “camera nuziale” (elemento dal valore altissimo per la gnosi come si osserva anche nel Vangelo di Filippo). Nella camera nuziale Gesù risorto parla agli sposi figlio del re che ospita Tommaso, e viene confuso dai due sposi con Tommaso, ma non solo per la somiglianza fisica tra i due. Questa “confusione” ha un valore simbolico altissimo, che è quello stesso dell’immagine, e dell’immedesimazione dello gnostico con il Logos-Cristo.
Inno della perla dell’apostolo Giuda nel paese degli Indiani
- 1 Quand’ero un piccolo fanciullo dimoravo nel mio regno, nella casa di mio padre
- 2 lieto della ricchezza e del fasto dei miei nutritori.
- 3 Dall’Oriente, nostra casa, i miei genitori mi equipaggiarono e mi mandarono,
- 4 dalla ricchezza del nostro tesoro attinsero abbondantemente allestendomi un carico
- 5 grande, ma leggero, ch’io stesso potevo portare:
- 6 oro di Beth-Ellaye [delle terre di Ellaye] e argento della grande Gazak
- 7 rubini d’India e agate di Beth-Kashan [delle terre di Kashan],
- 8 mi provvidero di diamante che può frantumare il ferro.
- 9 Mi tolsero la veste scintillante che nel loro amore mi avevano fatto
- 10 e la toga purpurea, misurata e tessuta sulla mia statura.
- 11 Fecero con me un contratto e lo scrissero nel mio cuore affinché non fosse dimenticato:
- 12 “Se tu discenderai in Egitto e porterai la perla
- 13 che è in mezzo al mare attorno al serpente sibilante,
- 14 tu indosserai la tua veste scintillante e la tua toga di cui ti allieti
- 15 e con tuo fratello, il più vicino alla nostra autorità, sarai erede del nostro regno”.
- 16 Io lasciai l’Oriente e discesi, accompagnato da due custodi,
- 17 lungo la strada pericolosa e difficile ed io ero molto giovane per percorrerla.
- 18 Attraversai le frontiere di Maishan punto d’incontro dei commercianti dell’Oriente,
- 19 raggiunsi la terra di Babel e attraversai le mura di Sarbug,
- 20 discesi in Egitto e i miei compagni si allontanarono da me.
- 21 Andai diritto dal serpente e mi fermai presso la sua dimora
- 22 nell’attesa che si appisolasse e dormisse per portargli via la perla.
- 23 Allorché fui unico e solo, divenni estraneo alla mia famiglia,
- 24 vidi laggiù un orientale, uno della mia stirpe, un uomo libero,
- 25 un giovane gentile e amabile figlio di venditori d’olio;
- 26 mi si avvicinò, si unì a me, ed io ne feci il mio intimo amico, un collega,
- 27 con il quale spartire la mia merce.
- 28 Lo misi in guardia contro gli Egiziani, contro quanti sono in comunione con l’impuro;
- 29 indossai le loro vesti affinché non mi avessero in avversione
- 30 essendo giunto dall’estero per prendere la perla e aizzare il serpente contro di me.
- 31 Ma in un modo o in un altro essi si accorsero ch’io non ero un loro compatriota,
- 32 dimorarono con me slealmente e mi diedero a mangiare il loro cibo.
- 33 Io dimenticai che ero figlio di re, e fui al servizio del loro re.
- 34 Dimenticai la perla per la quale ero stato inviato dai miei genitori
- 35 e a motivo del peso delle loro oppressioni giacqui in un sonno profondo.
- 36 Ma di tutte queste cose che mi accaddero si accorsero i miei genitori ed erano afflitti per me.
- 37 Nel nostro regno fu fatto un proclama affinché tutti venissero alla nostra porta
- 38 re e prìncipi dei Parti e tutti i dignitari dell’Oriente.
- 39 In mio favore scrissero un piano affinché non fossi lasciato in Egitto.
- 40 Mi scrissero una lettera ed ogni dignitario la sottoscrisse:
- 41 “Da tuo padre, re dei re, e da tua madre, signora dell’Oriente,
- 42 da tuo fratello, nostro secondo, a te nostro figlio, che sei in Egitto, salute!
- 43 Su, alzati, dal tuo sonno e ascolta le parole della nostra lettera!
- 44 Ricordati che sei figlio di re! Considera la schiavitù a cui sei sottoposto!
- 45 Ricordati della perla, per la quale tu fosti inviato in Egitto!
- 46 Pensa alla tua veste e ricordati della tua magnifica toga
- 47 che porterai e che ti adornerà. Il tuo nome fu letto nella lista degli eroi
- 48 e con tuo fratello, nostro viceré, tu sarai nel nostro regno!”.
- 49 La mia lettera è una lettera che il re ha sigillato con la sua destra
- 50 per custodirla dai malvagi, dai figli di Babel, e dai selvaggi demoni di Sarbug.
- 51 Essa volò nelle sembianze di un’aquila, re di tutti gli uccelli,
- 52 volò e si affiancò a me e divenne tutto un discorso.
- 53 Alla sua voce e al suono del suo rumore io partii e mi destai dal sonno.
- 54 La afferrai e la baciai e presi a leggerla:
- 55 conformi a quanto è segnato in cuor mio erano le parole della mia lettera.
- 56 Mi ricordai che i miei genitori erano re e la nobiltà dei miei natali affermò la sua natura.
- 57 Mi ricordai della perla, per la quale ero stato mandato in Egitto,
- 58 e incominciai a incantare il terribile serpente sibilante.
- 59 Lo costrinsi a dormire e lo cullai nel suo assopimento pronunciando su di lui il nome di mio padre
- 60 e il nome del nostro secondo e quello di mia madre, regina dell’Oriente.
- 61 Afferrai la perla e mi volsi per ritornare a casa di mio padre.
- 62 Mi tolsi la loro sordida e immonda veste e la lasciai nel loro paese,
- 63 e subito ripresi la via del ritorno verso la luce di casa nostra, l’Oriente.
- 64 La mia lettera, la mia destatrice, trovai davanti a me sul cammino
- 65 e come essa mi destò con la sua voce così la sua luce mi guidava.
- 66 Essa che abita nel palazzo con la sua forma irradiò la sua luce davanti a me,
- 67 con la sua voce e con la sua guida mi spinse ad accelerare il passo,
- 68 e con il suo amore mi sospinse.
- 69 Procedendo, passai da Sarbug, lasciai Babel sulla sinistra
- 70 giunsi alla grande Maishan, porto dei commercianti,
- 71 posta in riva al mare.
- 72 L’abito splendido che mi ero tolto e la toga che era avvolta con esso
- 73 da Ramtha e Rekem i miei genitori mi mandarono
- 74 per mezzo dei loro tesorieri che per la loro fedeltà potevano godere di una tale fiducia.
- 75 Io più non ricordavo il suo modello avendo fin dall’infanzia abbandonato la casa di mio padre,
- 76 ma subito, non appena lo ricevetti, mi parve che l’abito fosse diventato uno specchio di me stesso.
- 77 L’osservai molto bene e con esso io ricevetti tutto
- 78 giacché noi due eravamo distinti e tuttavia avevamo un’unica sembianza.
- 79 Anche i tesorieri, che lo portarono, io vidi allo stesso modo:
- 80 erano due, ma in un’unica sembianza poiché lo stesso segno del re su di loro era tracciato
- 81 dalle mani di colui che per mezzo di loro mi restituì la fiducia e la ricchezza,
- 82 la mia veste ricamata, adorna di splendidi colori,
- 83 di oro e berilli, di rubini e agate,
- 84 di sardonici dai colori diversi. A casa sua su, in alto, fu abilmente lavorata
- 85 con fermagli di diamante erano unite tutte le giunture,
- 86 l’immagine del re dei re era interamente ricamata e dipinta su di essa,
- 87 e come pietre di zaffiro rilucevano le sue tinte.
- 88 Vidi che in tutto il suo essere pulsavano i moti della conoscenza
- 89 e che si preparava a parlare,
- 90 udii il suono degli accenti che egli bisbigliava con se stesso:
- 91 “Io sono colui che è operoso nelle azioni quando mi educavano presso il padre
- 92 io mi compresi e percepii che la mia statura cresceva in proporzione del suo lavoro”.
- 93 Con i suoi movimenti regali si versò tutto in me
- 94 e sulle mani dei suoi dispensatori si affrettò affinché lo prendessi.
- 95 L’amore mi spingeva a correre, ad andargli incontro e accoglierlo,
- 96 mi protesi in avanti e lo presi. Mi adornai con la bellezza dei suoi colori
- 97 e mi avvolsi interamente nella mia toga, dalle tinte sgargianti,
- 98 l’indossai e mi recai su alla porta.
- 99 Chinai il capo e adorai la maestà del padre mio che mi aveva mandato:
- 100 io avevo adempiuto i suoi comandamenti ed egli mantenne quanto aveva promesso
- 101 alla sua porta mi associai con i suoi principi:
- 102 egli si rallegrò di me e mi accolse ed io fui con lui, nel suo regno,
- 103 mentre lo lodava la voce di tutti i suoi servi.
- 104 Promise che anche alla porta del re dei re sarei andato con lui
- 105 con la mia offerta e con la perla mi sarei, con lui, presentato al nostro re.
Passiamo ora ad altri fondamentali ingredienti del saggio in discussione, prima di tutto la Maddalena (e la sua “incoronazione”). Si tratta di una questione che mi interessa moltissimo, che ho fatto oggetto di riflessione in Episteme N. 6. Tale riferimento costituirebbe, dal mio punto di vista, e se “dimostrato”, la prova definitiva dello gnosticismo del Santo, o comunque dell’ispirazione dei dipinti della Basilica. Comincio subito con il ricordare (vedi articolo dianzi citato) che, nelle basiliche di Cimitile, le Maddalene sono due: una a mezzo busto incoronata, l’altra a figura intera, privata del volto, ma che ha tra le mani un oggetto che io ho identificato essere un rotolo: la Sindone?! Non avevo, però, trovato fino ad oggi una conferma a questa ipotesi (ed ecco perché l’ho appena sfiorata nel mio scritto), qualche commentatore che associasse cioè la Sindone alla Maddalena: l’ipotesi avanzata dal Papi comincia ad essere un primo importante indizio in proposito. Il problema è che, se quella tra le braccia della Maddalena di Cimitile è la Sindone, e se la leggenda della Maddalena in Francia ha qualche fondo di realtà, allora la Sindone potrebbe essere arrivata in Francia prima dei Templari … ma qui entreremmo nel campo delle mere speculazioni logiche (peraltro inessenziali ai fini principali del presente discorso), senza riscontri fattuali alla loro origine, e quindi soprassediamo.
Torniamo al punto. Dato lo sfondo concettuale in cui inquadro certi elementi, non mi meraviglia affatto che la Maddalena sia associata a rappresentazioni figurative in apparenza fuori contesto come il Tempio di Minerva; anzi, non vedrei nulla di più adeguato per descrivere la funzione gnostica della Maddalena come “Porta misterica” per l’accesso al Logos (è indubbio che lì dove c’è la Maddalena, lì c’è la Sapienza, e l’associazione Maddalena-Minerva-Sapienza è già di per sé un elemento sufficiente per proporre un’interpretazione in chiave gnostica). Insomma, la struttura dei dipinti, la posizione e la sequenza degli archetipi e dei simboli, così come descritte da Papi, fanno ritenere più che possibile che il ciclo pittorico sia legato alla gnosi (sempre sulla base del Vangelo di Filippo, che rimane, a mio avviso, la sorgente “enciclopedica” primaria per questo genere di riferimenti iconografici e testuali).
Un altro elemento che trovo fortemente suggestivo nel lavoro di Papi, e a cui credo di aver dato un contributo inatteso in questo stesso numero di Episteme, è quello concernente l’Ultima Cena di Leonardo, sicché su esso non mi ripeto. Una notazione: dalla piantina della Basilica inferiore che trovo nella seguente pagina web, faccio davvero fatica a vedere la nitida TAU di cui parla Papi.
Un ulteriore aspetto che mi lascia un po’ perplesso della ricostruzione offerta dall’autore è, comunque, la posizione delle Stigmate, che appaiono nei palmi delle mani di Francesco e non nei polsi come nella Sindone. Non credo che sia un fatto marginale, e che meriterebbe quindi un tentativo complementare di spiegazione. Altro elemento che mi lascia alquanto dubbioso, perché ricco di diverse interpretazioni alternative, è lo sdoppiamento di alcune figure, che può, sì, essere legato anche alla Sindone, ma potrebbe anche avere radici antiche nel doppio messianesimo qumraniano (accennato dal Papi nella doppia funzione sacerdotale e politica del Messia), oltre che nel dualismo tipico qumraniano, poi recepito dalla gnosi: Luce-Tenebre, Verità-Menzogna, Sadoc-Belial, ecc..
Dal testo di Charlesworth Papi stralcia l’interessantissima questione del termine nazareno, che in realtà è originato, come argomenterò anche in un mio articolo, non dall’antica setta dei nazareni, ma dal termine naser “virgulto”, con nasarei o nazirei da intendersi quindi come qumraniani del periodo successivo all’avvento messianico. Interessante è anche la puntata che si effettua sulla questione Ossario di Giacomo (che ho fatto oggetto di una nota che è stata pubblicata sul numero di gennaio della rivista neonata Hicarus, ancora troppo giovane per una diffusione seria sul territorio).
Un qualche dubbio mi viene originato dalla questione degli “otto apostoli”, che mi pare quella più criticabile tra quelle proposte. A un certo punto trovo anche scritto: “mentre nel frontespizio del basamento sono rappresentate le sole ‘croci di Gerusalemme’. Mancano cioè ben quattro apostoli, compreso San Paolo, che avrebbero dovuto invece figurare tutti insieme”. Ciò implicherebbe l’inclusione di Paolo tra i dodici, o almeno la definizione di Paolo come tredicesimo apostolo (peraltro il nome del mio sito). E’ evidente che l’autore è ben lungi dal commettere un errore così banale (del resto i termini del discorso vengono da lui successivamente precisati nel testo), ma forse varrebbe la pena di specificare chiaramente che Paolo non è né il dodicesimo né il tredicesimo apostolo.
Egli non fece parte dei dodici ma intervenne soltanto dopo la morte di Gesù diffondendo una concezione religiosa fondata sul Gesù risorto, autonominandosi apostolo pur senza conoscere nulla della vita di Gesù (a parte forse gli ultimissimi momenti), com’è facilmente dimostrabile, ma che tralascio (ci vorrebbe davvero molto, e posso solo rimandare eventuali interessati a ulteriori approfondimenti della questione al mio sito). In effetti Paolo non è, a dire il vero, nemmeno il tredicesimo apostolo, visto che Giuda Iscariota fu sostituito da Mattia, come raccontano gli Atti, e quindi tutt’al più egli avrebbe potuto essere considerato il quattordicesimo apostolo. Insomma, non avrebbe avuto senso includere Paolo in un dipinto del genere di quello citato.
Il problema serio, invece, è proprio nel numero degli apostoli e nella replicazione di alcuni nomi, che Papi non propone. Ci sono due Giacomo, due Giuda (addirittura tre, se includiamo anche Didimo-Giuda-Tommaso), due Simone, tra i dodici, e ritengo allora che la riduzione ad otto potrebbe essere, ad esempio, vista in questa chiave, ma, ripetiamo, qui ci muoveremmo nel mero campo delle illazioni. Inoltre, per quanto ne so, sarebbe un caso iconografico davvero unico, ed è ben strano che nessun artista l’abbia ripreso se si pensa alla fama del luogo in cui è posto. Negli Atti qualche informazione la troviamo su Filippo (che battezza un eunuco), su Giacomo il maggiore, che viene ucciso, su Giovanni e Pietro che parlano in coro (molti discorsi sono attribuiti a entrambi), su Giacomo il minore, che diviene capo della comunità di Gerusalemme. Insomma 5 apostoli su 11 sono nominati negli Atti, e di essi qualcosa si sa, per cui al più di 6 non si sa nulla, stando alla sola documentazione canonica.
Passo a un’ultima osservazione: l’ipotesi dell’esistenza di un doppio gruppo di Esseni. Si tratta di una congettura tutt’altro che nuova, quasi una certezza, almeno entro certi limiti. Già Giuseppe Flavio parlava di due gruppi di Esseni, che differivano tra loro per alcuni costumi quali quello del matrimonio, ma molte delle affermazioni di Flavio se pur vere si sono dimostrate superficiali. Della presenza (contemporanea) di questi due gruppi ci si convince secondo me facilmente, comparando il Documento di Damasco con la Regola della Comunità e con altri testi legali.
Appare evidente, ad esempio, che una era una collettività di tipo monastico, che preferiva ritirarsi in luoghi appartati, in aree desertiche, mentre l’altra rimaneva fortemente radicata e integrata nel tessuto ebraico, e fin qui si dà ragione a Flavio. La comparazione sui contenuti però ci porta ben oltre. Il Documento di Damasco, che sembrerebbe adottato dal gruppo socialmente integrato, propone un legalismo estremo, che va ben oltre quello che si legge nei testi legali qumraniani (basti pensare che nel Documento l’uomo caduto nel fosso di sabato si lascia morire, a differenza di quanto avviene nelle Lettere sulle opere di Giustizia).
La variabilità di posizioni legali negli scritti citati è davvero notevolissima, e l’impressione che si ha, anche sulla base delle datazioni paleografiche, è che si sia verificata una lenta progressiva riduzione del rigido legalismo, favorita anche dal costume dell’interpretazione personale obbligatoria delle Sacre Scritture per gli Esseni. Essi vivevano in gruppi di 10, ed ogni sera a turno uno di loro vegliava leggendo ed interpretando le Scritture; inoltre i Pesher, o commentari, sono numerosissimi, e propongono sempre interpretazioni quantomeno azzardate delle Scritture, interpretazioni che trovano sempre riscontro nella vita reale (vedi, ad esempio, l’adozione di un calendario lunisolare diverso da quello lunare usato dagli altri Ebrei). Su tali documenti sto preparando un articolo, che sarà soprattutto incentrato su quello che, a mio avviso, segna una svolta fondamentale nel pensiero qumraniano: gli Inni.
In ogni caso, e per farla breve, una scissione tra gli Esseni è un fatto, e credo peraltro che non sia neppure l’unica avvenuta negli anni: gli Inni dimostrano, a mio avviso, una scissione rovinosa avvenuta intorno al primo secolo dopo Cristo, che portò alla nascita di un ulteriore gruppo del tutto diverso, fondato proprio dal “principe” della comunità di Qumran, che fu l’autore degli Inni … ma questo lo racconterò nell’articolo annunciato. A tale scissione si può ricollegare, secondo me, la pista dei taumaturghi di Papi, che non è affatto da escludere. Anzi, ricavando dagli Inni la biografia dell’artefice dell’ultima scissione, si ricava, tra le altre notizie, quella di un suo esilio in terra d’Egitto. Tutta la sostanza misterico-gnostica, con le metafore tipiche di questo ambiente, che si trova profusa a piene mani negli Inni, avvalora d’altro canto l’origine egiziana di questo filone. In tale ambito viene data la giusta attenzione al testo di Morton Smith, che espone una tesi molto ben argomentata, ma a mio parere non del tutto convincente, intorno alla possibilità di un Gesù Terapeuta e Mago di scuola egiziana (interessanti sono in tale libro le analisi dei “papiri magici”, in particolare quello di Parigi). Il Papi dà di questi elementi una bella e sintetica panoramica, sfiorando alcuni punti interessanti quali la scoperta del Vangelo Segreto anche in chiave qumraniana (vedi il vestito di lino, e non di lana, che era in uso a Qumran, tanto per fare un esempio).
Un’ipotesi costruttiva della Sindone a partire dai testi gnostici
Voglio adesso sottoporre all’attenzione dei lettori un’ipotesi che mi è sovvenuta sulla base della possibilità di una connessione tra l'”immagine” gnostica e la Sindone, non solo di tipo filosofico e teologico ma anche materiale e costruttivo. Per essa ho utilizzato, ancora una volta, il solo Vangelo di Filippo, e ho fatto anche qualche piccolo e veloce esperimento (bastano non più di 5 minuti) che sembrerebbe confermare almeno una parte delle congetture formulate.
Partendo dalla ricostruzione di Papi, e dall’eventuale legame tra l'”immagine” gnostica e la “foto” sindonica, ci si può chiedere se la gnosi, riferendosi all’immagine ed alla sua funzione metaforica, non potesse anche alludere, quale massima espressione materiale del simbolo, proprio alla Sindone. Se così fosse è possibile che il testo che parla dell’immagine, e quindi il Vangelo di Filippo, che già descrive dati di tipo architettonico e quindi materiale (vedi orientazione degli edifici sacri) non possa, allo stesso modo, descrivere anche la tecnica con cui è stata creata la Sindone. In altre parole, una lettura di Filippo che andasse al di là della valenza filosofico-teologica potrebbe cogliere anche qualche indicazione sul procedimento per produrre una “sindone”.
Partiamo dai seguenti elementi:
- La sindone è una proiezione su un piano (il telo) di una immagine operata attraverso proiezioni dei singoli punti con linee ortogonali al telo.
- Le informazioni di proiezione, per mantenere l’effetto tridimensionale, devono contenere una informazione di distanza per ciascuna linea di proiezione.
- L’informazione di distanza è data dall’effetto di maggiore o minore “scoloritura” o invecchiamento della area interessata. Più vicina è l’immagine più accentuata è la scoloritura. Questo genera l’effetto negativo.
- L’immagine appare solo da un lato del telo ed interessa pochissimi centesimi di millimetro della superficie.
- Allungamento innaturale del corpo.
- Dissimmetria tra la parte posteriore e quella anteriore del telo.
Premesso ciò andiamo a vedere quali tipi di ingredienti di fabbricazione potrebbero essere tratti dal Vangelo di Filippo prima di capirne il possibile uso. Il passo che più ci dovrebbe interessare è il seguente:
66.) L’anima e lo spirito sono entrati nell’esistenza dall’acqua, dal fuoco e dalla luce […]. Il fuoco è il crisma, la luce è il fuoco. Io non parlo di questo fuoco, che non ha forma, ma dell’altro, la cui forma è bianca, che è fatto di luce e di bellezza, e che dà bellezza.
Gli elementi in questo passo sono:
a) Acqua (battesimale): utilizzata immergendo interamente il corpo in acqua, come si legge anche in:
89) […] Cristo è sceso nell’acqua, al fine di purificare e rendere perfetti coloro che egli ha reso perfetti nel Suo Nome. Infatti egli ha detto: “È necessario che noi compiamo ogni giustizia”.
b) Unzione che è sicuramente olio di oliva, come si legge in questo brano sempre di Filippo:
92) Ma l’albero della vita è in mezzo al Paradiso, e anche l’ulivo, da cui viene il crisma, grazie al quale la resurrezione.
c) Luce solare.
Vediamo come gli elementi possono essere stati composti. Se interpretiamo alla lettera passi come questo:
68) Il Signore ha operato ogni cosa in un mistero: un battesimo e un crisma, un’eucaristia e una redenzione, e una camera nuziale.
allora il battesimo, vale a dire l’immersione nell’acqua, deve comprendere il crisma (un po’ come nella disposizione delle stanze del Tempio che si legge in Filippo), e quindi deve prevedere anche un corpo ricoperto di olio.
Quindi il corpo, preparato per la sepoltura, viene dapprima ricoperto di olio con una procedura che si può supporre a nebulizzazione attraverso mantice, come si deduce indirettamente da brani come il seguente:
80) L’anima di Adamo è venuta nell’esistenza per mezzo di un soffio. Suo consorte è lo spirito. Chi glielo ha dato è sua Madre; e con l’anima gli è stato dato uno spirito, al suo posto. Per questo, quando si è nascosto egli ha pronunciato parole superiori alle Potenze. Esse lo invidiarono perché erano separate dall’unione spirituale […].
L’anima, infatti, è sostituita dallo Spirito che è il crisma, e quindi l’unzione con olio, da cui si deduce che l’olio viene apposto con un “soffio” e quindi nebulizzato con un mantice. La procedura fa in modo che l’olio faccia da collante per gli oggetti leggeri quali fiori, semi, ecc., sulla superficie sottostante il corpo, che potrebbe essere una sorta di bara con contorni sigillati esclusa la parte superiore. A questo punto viene immessa acqua lentamente nella bara, per evitare che gli oggetti (monete sugli occhi, sangue, fiori, vengano spostati dalla loro posizione) fino a ricoprire interamente il cadavere.
Fin qui la procedura di preparazione della “camera fotografica”. Ora è il momento della “pellicola fotografica”: il telo sindonico, ma come può essere disposto? Sicuramente deve essere disposto parallelamente al piano di stesura e disteso. L’ipotesi più probabile è che esso sia disposto teso da una cornice di legno a mo’ di telo da ricamo. La cornice quadrata con il telo teso viene immersa in acqua e si ci prepara alla procedura di “esposizione”.
Il problema è, a questo punto, cosa impressiona il telo, che funziona ha la luce e come è possibile che si impressioni solo una parte superficiale di esso e non entrambi i lati. Per capirlo torniamo al brano da cui siamo partiti.
La prima cosa intuibile è che la diversa densità dell’olio tenda a farlo risalire verso la superficie con un moto ortogonale al telo ed alla superficie dell’acqua, in tal modo abbiamo il “raggio” di proiezione che ci serviva.
Per avere una “buona risoluzione” è necessario che la “bolla d’olio” sia sufficientemente piccola. Ho compiuto al riguardo un semplice esperimento. L’olio su un oggetto unto ed immerso in acqua non si separa da esso almeno fino a quando non si alza lentamente la temperatura dell’acqua. Ad una temperatura di 40 gradi circa cominciano a formarsi delle piccolissime bolle su tutta la superficie irrorata, e queste tendono a salire incontrando il telo (nel mio caso un foglio sottile di carta assorbente immerso sulla superficie dell’acqua).
Le bolle d’olio, piene d’aria (acqua vaporizzata) risalgono e restano intrappolate sotto la superficie del telo (sostituito con un semplice foglio di carta nel caso dell’esperimento da me compiuto!), nella posizione corrispondente al punto di risalita.
Fin qui il breve esperimento preliminare. E’ da ritenersi che, se non si è in presenza di carta ma della trama di un telo di lino, le bolle restino, a maggior ragione, localizzate. E’ importante, comunque, non alzare troppo la temperatura che se eccessiva (come ho provato a verificare) crea l’aggregazione delle bolle in macrobolle controproducenti per i nostri scopi. Una volta compreso il possibile meccanismo di “proiezione”, dobbiamo desumere quale sia il meccanismo di aggiunta dell’informazione di distanza (tridimensionale) e, soprattutto, a cosa serva la luce. Come detto il brano afferma che “il crisma è il fuoco”, ma come può esserlo, e perché? Sicuramente l’esposizione a luce solare può determinare quelle condizioni di temperatura che servono a produrre le bolle, ma da sola non basta di certo. Il primo elemento da tenere eventualmente presente è la decomposizione del corpo. Il corpo in decomposizione genera gas che di certo rimane intrappolato nell’olio e ne provoca la risalita.
E’ chiaro che per differenza di pressione le bolle più vicine alle superficie salgono su prima e si intrappolano prima nel telo. Questa differenza di tempo può essere la chiave dell’informazione tridimensionale.
Ma, ora c’è da capire perché il crisma è il fuoco, ovvero perché l’olio è il fuoco. La bolla che risale piena di gas (metano da decomposizione) è già di per sé piena di combustibile, ma di certo questo non si infiammerebbe a contatto con l’acqua, però potrebbe determinare delle microesplosioni delle bolle se sottoposto a sufficiente luce … ad ogni modo non credo sia questo il meccanismo.
La bolla è sferica ed il suo permanere in una cella della tessitura produce, oltre a un riscaldamento veloce dovuto al gas che è in esso contenuto, e che si scalda certo prima dell’acqua che è fuori, un riscaldamento locale maggiore che nelle parti esterne. Ciò, insieme all’effetto “lente” prodotto dalla luce che si riflette e rifrange sulla superficie della bolla, provoca una bruciatura locale o meglio un invecchiamento precoce (ingiallimento) del telo, come quello che si osserva nei panni bianchi stesi al sole e lasciati esposti alla luce per troppo tempo.
E’ chiaro che il processo comincia prima per le zone del telo più vicine al corpo (es.: naso o parti in rilievo del volto e del corpo). Iniziando prima prosegue così per maggior tempo, ed annerisce di più il tessuto producendo la ricercata informazione di distanza e quindi la base dell’immagine tridimensionale.
A questo punto, proseguendo la decomposizione del corpo, si otterrà “l’impressionamento” dell’intero telo solo sulla superficie inferiore ove si bloccano le bolle. Il procedimento termina con l’estrazione del telo e l’asciugatura, e può essere ripetuto con il corpo capovolto.
Resta il problema dell’allungamento innaturale. Qui si può immaginare che esso venga prodotto dalla tensione longitudinale differente da quella alle latitudini del telo, a causa della differente lunghezza delle due parti. Il rettangolo di ogni cella del reticolo della tessitura si dilaterebbe in lunghezza più che in larghezza. Tale caratteristica verrebbe consolidata infine dall’asciugatura. L’immagine tridimensionale della Sindone sembra rivelare in verità un effetto di “bolle”, ma può essere solo una impressione:
Credo possa essere tutto per cominciare, un’ipotesi che va ovviamente ulteriormente elaborata e sperimentalmente provata, ma dopo aver visto le dimensioni microscopiche ed il moto delle bollicine di olio con il mio piccolo esperimento, credo possa trattarsi di una pista interessante. Sarebbe necessario fare un test con materiale in decomposizione, magari con carne tritata pressata in una forma.
Sabato Scala