Trenta secoli di fantasmi
Se è vero che ogni generazione lascia dietro di sé come un rimpianto di vita, un’eco del mondo che fu suo, un ricordo dei torti subiti (e tutto questo si può chiamare “fantasmi”), allora Roma, che, da quando fu fondata, di generazioni ne ha viste passare più di cento, da quanti echi, rimpianti, “fantasmi” sarà popolata? Una volta chiarito questo punto, ossia l’esistenza di un congruo numero di “entità” occorre trovare il modo di vederle.
Ebbene, perché l’incontro si realizzi vanno osservate poche ma indispensabili regole. Vediamo quali: Innanzitutto si deve assumere una posizione “possibilista” verso l’esistenza dei fantasmi, dopo di che, occorre evitare assolutamente i luoghi troppo chiassosi e illuminati.
E’ consigliabile anche pensare intensamente a colui o colei che vorreste incontrare e, una volta realizzato il contatto, evitare movimenti bruschi o grida di sorpresa. Basta un nonnulla, infatti, per spaventare un fantasma e per ricacciarlo aldilà della frontiera del visibile.
Piazza San Pietro in Vincoli
In una fredda notte d’inverno di alcuni anni fa ad un nottambulo capitò di vivere un’esperienza a dir poco inquietante: stava per imboccare la salita di S. Francesco di Paola, accanto a piazza San Pietro in Vincoli, quando gli sembrò di sentire un lamento provenire dalla piazza davanti a sé, poi silenzio.
Era appena entrata nella via, quando, questa volta alle spalle, sentì senza ombra di dubbio il rumore di un carro che si avvicinava a tutta velocità. Istintivamente si scansò, ma, benché il fragore lo superasse per svanire in fondo alla via, non vide assolutamente nulla.
Ma non era ancora finita: di nuovo udì, proveniente sempre dal centro della strada, il lamento di prima e poi, finalmente, tornò, profondo, il silenzio.
A questo punto, chiunque se ne sarebbe andato in tutta fretta, ma non così fece il nostro nottambulo, il quale si avvicinò al luogo da dove era venuto il lamento e non vide nulla, solo una grande pozza d’acqua, in cui inavvertitamente mise i piedi. Tornato a casa, nel levarsi le scarpe, le vide tutte sporche di sangue.
Una possibile spiegazione: Via San Francesco di Paola corrisponde al Vicus scelestus (Vicolo scellerato), di epoca romana. La tradizione racconta che in quel luogo la moglie di Tarquinio il Superbo, Tullia, vide riverso in terra il corpo del padre, Servio Tullio, appena ucciso dal marito e in segno di odio e disprezzo, non placa di essere stata l’istigatrice della sua morte, lo travolse anche con il suo carro, sporcando le ruote e le vesti del sangue paterno.
Muro Torto
E’ difficile al giorno d’oggi, con il traffico angoscioso che tutti noi conosciamo, immaginare il Muro Torto, ovvero il tratto che partendo da Piazza del Popolo porta a Pincio, come era fino a solo duecento anni fa, ossia limite fra la città e la campagna. Eppure, con uno sforzo di fantasia e portandosi in zona in una notte senza luna e non prima delle due o tre del mattino, si può ritornare a quei tempi lontani, quando le mura avevano “appena” tre secoli di vita (contro i millesettecento e rotti anni che contano oggi) e i barbari rappresentavano il più grande pericolo per Roma. Siamo nel 536 d.C. e quel tratto di mura, che ancora oggi si chiama torto e all’epoca con un ancora più chiaro “ruptus”, minacciava da anni di franare, ma nessuno – pur essendo la città assediata dai Goti di Totila – lo riparava in quanto era comune convinzione che fosse sotto la protezione personale e diretta dell’apostolo Pietro.
Qualunque fosse la verità, una cosa certa: né allora né mai, nel corso della plurimillenaria esistenza di Roma, un nemico è entrato in città dalla parte del muro “ruptus” o “torto” e già questo non è forse un miracolo?
E i fantasmi? Ci sono e sono anche strettamente legati alla storia appena narrata, anzi ne rappresentano l’altra faccia. Infatti per molti secoli, fino ad un passato relativamente recente, ai piedi del muro torto venivano seppelliti i corpi di coloro che non erano giudicati degni di riposare in terra consacrata (ossia prostitute, delinquenti, sospette streghe), quindi la zona era ed ancora sarebbe infestati dalle anime di defunti insoddisfatti e in attesa di una sepoltura cristiana e i loro lamenti, secondo alcuni, più che la protezione dell’Apostolo, furono il vero motivo per cui nessuno (fosse anche il barbaro e superstizioso nemico) si sia mai avvicinato troppo a quel tratto di mura.
Ai piedi del Muro Torto furono sepolti i corpi di Targhini e Montanari, i due carbonari giustiziati (boia Mastro Titta) sotto Leone XII, il 23 novembre 1825. Una notte, una donna fu trovata svenuta per la paura: stava pregando le anime dei due giustiziati di darle un terno sicuro, quando aveva sentito un rumore alle spalle; voltatasi, aveva visto le ombre di Targhini e Montanari venirle incontro con la testa in mano.
Torre delle Milizie
La Torre delle Milizie risale all’undicesimo secolo e prende nome da una nobile famiglia del medioevo. Colpita da un fulmine nel 1300, ha perso il terzo ed ultimo livello, ma domina tuttora i Mercati Traianei. La leggenda, però, la vuole molto più antica, addirittura di epoca romana*; infatti è dalla sua cima che Nerone si sarebbe affacciato a suonare la lira mentre Roma bruciava. Se si sta bene attenti, nelle notti di luna piena ancora oggi è possibile vederne il fantasma nei pressi con una lira in mano e lo sguardo che riflette le fiamme (dell’inferno o dell’incendio?).
* Come al solito la leggenda prende consistenza dalla realtà: infatti il piano terra della torre risale in effetti all’epoca imperiale, quando fu innalzato per ospitare un distaccamento di cavalleria.
Ponte Sant’Angelo
Dice la tradizione che ogni anno, la notte dell’11 settembre, anniversario della sua esecuzione, si veda attraversare il ponte il fantasma di Beatrice Cenci, il cui corpo è sepolto a San Pietro in Montorio. Il ponte fu teatro nel primo Giubileo, quello del 1300, di una vera e propria carneficina involontaria. Pare che, a causa di un asino imbizzarrito, e dell’enorme folla che lo attraversava nei due sensi, per e da il Vaticano, ci furono oltre duecento morti fra i pellegrini, chi affogato nel Tevere, chi calpestato, chi soffocato.
Comunque, la meno nota e, forse, più romantica storia di fantasmi a ponte Sant’Angelo, risale al 410 d.C. Si tratta della leggenda del “barbaro innamorato”, cui probabilmente si ispirò Borges in “Il barbaro e la prigioniera”, spostando l’azione a Ravenna. In sostanza avvenne che un visigoto, al seguito di Alarico, giunto avanti alla mura di Roma, rimase colpito nel più profondo dell’animo dall’imponenza della Città eterna e, come colto da un’improvvisa e accecante passione, si “innamorò” di lei e decise di combattere per difenderla e non per distruggerla. Disprezzato dai suoi e non accettato dai romani, morì sul ponte, trafitto da una freccia (romana o barbara, chissà?).
Il suo fantasma appare a notte fonda, solo se si è soli, si avvicina come a cercare un conforto, una parola di fiducia e scompare lentamente sullo sfondo del castello.
Piazza Navona
Costanza de Cupis, una nobildonna romana vissuta nel Seicento, era tanto fiera della perfezione delle sue mani che se ne fece fare un calco, che venne esposto nella vetrina del formatore, in Via dei Serpenti. Un canonico, vedendolo, disse che quella mano, se era di persona viva, correva il pericolo di essere tagliata.
La frase venne presto riferita a Costanza, che da quel giorno visse nel terrore, finché, poco tempo dopo, mentre cuciva si punse con un ago che le procurò una ferita infetta e la mano dovette appunto essere amputata. Poco dopo la poveretta morì. Pare che nelle notti di plenilunio si veda il riflesso della mano bianca apparire ad una finestra o su uno degli specchi del palazzo De Cupis.
Villa Pamphilj
Se in una notte burrascosa, trovandovi per errore (avendo già al tramonto i guardiani chiusi i cancelli) all’interno di Villa Doria Pamphilj, vi capitasse di sentir sorgere dal nulla un infernale fragore di ruote, potreste essere certi che si tratta della Pimpaccia, ossia di Olimpia Maidalchini, bellissima cognata del papa Innocenzo X, che esce dalla villa su un cocchio d’oro, trascinato da cavalli con occhi di fiamma e corre per le strade di Roma, lasciandosi dietro una scia di fuoco, per sparire poi, improvvisamente, all’altezza di Piazza Navona.
Donna Olimpia era cordialmente antipatica ai romani di tre secoli fa, che l’accusavano, tra l’altro, di essere l’amante del pontefice.
Piazza di Spagna
Talvolta, specie nelle sere d’autunno, per i vicoli di Trastevere passa silenziosa una figura di donna, con il viso celato da un velo nero: si tratta di Lorenza Feliciani, la bella romana, moglie del famoso mago Giuseppe Balsamo, più noto come Conte di Cagliostro.
Rasentando i muri, senza far rumore, l’apparizione, di cui nessuno ha mai visto il volto, arriva al ponte Garibaldi, lo attraversa e raggiunge Piazza di Spagna. Qui, nel luogo dove Cagliostro, accusato da lei stessa di stregoneria, fu arrestato, scompare in una chiazza d’ombra, mentre dal nulla escono una risata di scherno ed un grido: “Lorenza!”.
Mastro Titta
Vero nome Giambattista Bugatti, è stato il penultimo boia di Roma ed eseguì ben “giustizie” in 68 anni di carriera, tra il 1796 e il 1864. Nessun altro boia in nessun altro paese e tempo lo ha mai uguagliato. Si dice che ami passeggiare, alle prime luci dell’alba, intabarrato nel manto scarlatto da “lavoro” nei luoghi dove ha eseguito le sentenze, ossia ai Cerchi (davanti la chiesa di S. Maria in Cosmedin), al Popolo (Piazza del Popolo) e, soprattutto, al Ponte (piazza di ponte S. Angelo), dove è possibile vederlo davanti un’antica abitazione sita all’angolo tra Via Paola e Lungotevere degli Altoviti. Si dice anche che, a volte, offra una presa di tabacco a colui che incontra.
Ricordiamo, per inciso, che la tabacchiera, come il manto sono entrambi conservati al Museo Criminologico di Via Giulia e che una presa di tabacco Mastro Titta la offriva ai condannati poco prima di essere giustiziati.
Lungotevere Prati
Sul Lungotevere Prati sorge una chiesetta neogotica consacrata al Sacro Cuore del Suffragio, che molti a Roma chiamano “il piccolo Duomo di Milano”.
Alla sua destra ospita un museo più unico che raro: il Museo delle anime del Purgatorio. Esso comprende stoffe, tavolette, libri, fotografie e alcune scritte in più lingue che illustrano gli oggetti e ne raccontano le storie. Fra la chiesa attuale e la casa dei religiosi esisteva un tempo una cappella dedicata alla madonna del Rosario, che fu danneggiata da un incendio scoppiato il 15 settembre 1897.
Quando fu domato, su un lato dell’altare era rimasta l’immagine di un volto (tuttora visibile in una riproduzione fotografica), che venne subito identificato in quello di un’anima del purgatorio. Da questa apparizione nacque il piccolo museo, in quanto il sacerdote Victor Jouet ne fu indotto a condurre studi sulle apparizioni delle anime del purgatorio in Italia ed in altri paesi.
Via Del Plebiscito
Questa storia risale ai primi anni del Novecento e ancora sono vivi i figli del protagonista, per cui una certa riservatezza è d’obbligo.
Un giovane signore, non ancora trentenne, passeggia lungo Via del Plebiscito, a pochi passi da Largo Argentina, quando vede un’anziana signora che rischia di essere travolta da un omnibus, un autobus a cavalli, per capirci. Si lancia verso di lei, l’afferra per le spalle e, quasi certamente le salva la vita. La vecchina, superata il primo spavento, l’invita a salire a casa sua a prendere un caffè, insomma vuole disobbligarsi.
Il giovane accetta volentieri e senza dover fare molta strada, il portone è proprio lì vicino al luogo dell’incidente, raggiunge l’appartamento che è al primo piano di un palazzo di recente costruzione. Viene ad aprire la porta la sorella gemella dell’anziana signora e, dopo una mezz’ora di piacevole conversazione, il giovane le saluta e torna a casa.
L’indomani, trovandosi a passare di nuovo, per ragioni di lavoro, in Via del Plebiscito, vede le persiane dell’appartamento delle due vecchine sprangate e così, di nuovo, il giorno dopo e quello dopo ancora.
Incuriosito, più che preoccupato, il quarto giorno chiede al portiere dello stabile se le due sorelle siano per caso partite. “Sono morte due anni fa, caro signore”, gli risponde quello dalla guardiola. “Impossibile – esclama il giovane – sono stato a casa loro a prendere il caffè appena tre giorni fa!”
Di fronte alle insistenze dell’uomo, il portiere accetta di condurlo nell’appartamento: stanze vuote, odore di chiuso; insomma il silenzio tipico dell’abbandono. Ma su un tavolino, paurosamente s’impongono tre tazzine vuote di caffè.
Il protagonista della vicenda venne, poi, a sapere che le due sorelle erano morte praticamente nello stesso momento due anni prima. L’una, travolta da un omnibus e l’altra colta da un attacco di cuore, alla finestra di casa, nel vedere la sorella in strada, morente.
Paolo Cremisini