Con un patrimonio storico inestimabile, estesosi per secoli, il popolo partenopeo ha modo di riflettere tradizioni, storie e avvenimenti significativi per il loro folklore all’interno dell’idioma.
I detti napoletani provenienti da fatti storici o da determinati contesti culturali nel tempo sono innumerevoli. Connesse a personaggi, consuetudini ed usanze, alcune espressioni sono irrimediabilmente finite nel dimenticatoio, mentre altre rimangono all’ordine del giorno.
Forse, senza ombra di dubbio, la più tremenda ed impronunciabile maledizione napoletana è sicuramente: “puozze sculà“. L’agghiacciante imprecazione può essere tradotta in “Possa tu colare“, ossia, “possa tu essere collocato, da cadavere in apposito sedile forato in basso in modo da far colare i tuoi fluidi corporei, lasciando le tue spoglie progressivamente essiccarsi e trasformarsi in una mummia“. Un ”augurio”, se possiamo usare questa espressione, sicuramente peggiore di quello della morte stessa.
Per i domenicani la terra, essendo un dono di Dio, non andava macchiata con i resti dell’uomo peccatore: gli umori, nel colare, dovevano essere raccolti in un vaso sotto la “buonanima”. Il teschio veniva invece murato, (incastrato nel muro di tufo) mentre sotto di esso veniva dipinto un corpo che desse delle indicazioni sul mestiere o la vita del defunto. L’affresco , spesso con incisa una massima ,richiamava, sia nell’abbigliamento, la posizione sociale del defunto nella vita terrena.
Questa frase dialettale, usata a Napoli e provincia, ha origini antichissime. Risale al periodo compreso tra il IX e il XVIII secolo, in cui la sepoltura veniva effettuata anche nelle chiese, in appositi ipogei. I cadaveri venivano seduti sulle “cantarelle“, sedili in pietra forati che lasciavano colare gli umori della salma, con la testa appoggiata in una fessura scavata nel tufo. Questa operazione veniva chiamata “sculatura“, invece quando poi i corpi non “scolavano” allora si gonfiavano e “schiattavano“. Da qui l’altra locuzione: “puozze schiattà“.
Questa pratica era ritenuta segno di grande importanza e distinzione e, per avere questo particolare tipo di trattamento, visto come una sorte di espiazione anticipata dei propri peccati, i nobili aristocratici pagavano una somma enorme di ducati ai frati domenicani (fino a circa tre milioni di euro attuali) grazie ai quali con questo forte introito di denaro costruirono l’ attuale Basilica con il suo magnifico altare.
Il Meridione e, in particolare, Napoli, conserva le testimonianze della pratica della “doppia sepoltura”, costituita dalla presenza di un putridarium, comunemente noto come scolatoio oppure dalle terresante.
In Campania ce ne sono diversi, tra quelli più noti ricordiamo quelli della chiesa del “Munacone” (S. Vincenzo alla Sanità ), quelli di Sant’Agostino alla Zecca a Forcella, quelli nelle Catacombe di San Gaudioso, nel seminterrato scoperto fra via Santa Maria Antesaecula e vico Maresca e quelli della chiesa di Sant’Anna a Puccianiello (Caserta).
Ma quelli più conosciuti e sicuramente più suggestivi sono quelli di Ischia, conservati in un ambiente sotterraneo del Castello Aragonese, nel quale si ha la sensazione di stare faccia a faccia con la morte. Noto come il “Cimitero delle Clarisse“, si trova nei sotterranei del Convento dell’omonimo ordine monastico, fondato nel 1575.
Dal punto di vista puramente metaforico, è opportuno sottolineare che, la sedia, rappresenta il ricongiungersi con sé stessi, lontano dagli impulsi o dalle distrazioni quotidiane. Un momento da dedicare alla propria persona.
Lo scolatoio simboleggia invece la purificazione vera e propria, l’eliminazione di tutto ciò che non serve, e dunque, la pulizia del corpo e della carne. Le ossa infine, sono testimonianza di ciò che l’uomo è, di quanto resterà un giorno, dopo la morte.
Le monache erano solite fare visita ogni giorno alle sorelle defunte, per meditare sulla morte e sulla caducità dell’esistenza, infatti assistere alle fasi di decomposizione del cadavere doveva far riflettere sulla fragilità del corpo e sull’importanza di curare e nutrire lo spirito. Il Cimitero delle Clarisse è una sorta di Purgatorio, uno spazio intermedio tra la vita e la morte, e la scolatura era il rituale di passaggio dell’anima prima di ascendere al Regno Celeste. La pratica della scolatura restò in uso, soprattutto nel Meridione, fino al XX secolo, quando interventi più severi sull’igiene la abolirono del tutto.
Antonio Grosso