…nell’ambito della città di pietra di Tiahuanaco (Taypikala)
Il libro di Arthur Posnansky “Tiahuanaco, la culla dell’uomo americano” (1945), è il testo fondamentale per chi vuole avvicinarsi in modo serio e obiettivo allo studio del grande sito archeologico andino. Posnansky, che era senza dubbio un grande studioso di Tiahuanaco, è stato duramente criticato dall’establishment accademico (e contestualmente è stato idolatrato da scrittori pseudo-scientifici), per la sua famosa datazione sulla fondazione del Kalasasaya, risalente al 15.000 a.C. Questa datazione, come ho descritto nel mio articolo “Archeoastronomia a Tiahuanaco”, non è attualmente verificabile in quanto l’archeologo austriaco ha dato per certo che il Kalasasaya fosse stato costruito in modo perfetto, orientato sul meridiano, e questo dato si può solo supporre, ma non accertare scientificamente.
Per il resto Posnansky non ha mai accennato, neppure lontanamente, nel suo libro, ad una civiltà dotata di “strumenti tecnologici” che costruì Tiahuanaco e Puma Punku, ma ha invece spiegato in modo serio e approfondito come e perché furono costruiti tutti i monumenti megalitici del sito in questione e come furono trasportati i blocchi ciclopici.
Alcuni autori pseudo-scientifici si sono concentrati nel sottolineare che per l’antico popolo andino sarebbe stato “impossibile” trasportare quei macigni, e tagliarli in modo così perfetto, e pertanto hanno sostenuto che Tiahuanaco e Puma Punku dovevano essere stati costruiti “per forza” con strumenti tecnologici propri di una “civiltà tecnologica antidiluviana”, della quale peraltro non è mai stata trovata alcuna prova definitiva. Altra cosa è sostenere l’idea che vi siano state civiltà antidiluviane, ma non tecnologiche.
Torniamo dunque al Puma Punku, alle sue funzioni, al perché della sua costruzione, e al come furono trasportati e incastrati tra di loro massi pesanti fino a cento tonnellate.
Il sito di Puma Punku è ubicato meno di un chilometro al sud-est di Tiahuanaco. A prima vista si notano dei massi ciclopici e varie porte monolitiche abbandonate. Tutti i grandi scienziati che hanno studiato a fondo il Puma Punku, come Catelnau, Tschudi e D’Orbigny, concordano che esso era il cosiddetto Tempio della Luna, astro venerato nell’antichità, in contrapposizione al Tempio del Sole, venerato nel Kalasasaya. Un’altra tesi d’alcuni scrittori è che a Tiahuanaco non ci sarebbe stata fonte d’acqua. Anche ciò non corrisponde a verità perché proprio nelle vicinanze del Puma Punku scorreva un acquedotto alimentato dal fiumiciattolo detto Waricoma (originatosi dal Cerro Kentaua). Posnansky sosteneva che vi furono 3 periodi a Tihuanaco, dei quali almeno i primi due furono antidiluviani. Secondo l’archeologo austriaco il Tempio della Luna cominciò a costruirsi in epoca antidiluviana, ma non fu mai terminato.
Arthur Posnansky sostiene nel suo libro che Puma Punku fu concepito inizialmente come un edificio lungo 45 metri, e largo 16 metri.
Secondo l’austriaco però fu proprio lo sconvolgimento d’inaudita potenza detto “diluvio” che impedì ai costruttori di terminare l’opera nel I e II periodo. Posnansky sostiene che la costruzione del Tempio della Luna continuò durante il terzo periodo, dopo il diluvio quindi, quando gli architetti-sacerdoti della cultura andina conoscevano già la metallurgia e quindi il bronzo, ottenuto come sappiamo, dalla fusione di stagno e rame. Per quanto riguarda il trasporto dei massi più pesanti, Posnansky spiega la sua teoria, che sembra essere la più logica. Innanzitutto è stata individuata la cava da dove si ottenevano i massi più grandi. Si chiama Quenachata ed è ubicata presso la cordigliera di Quimzachata, a circa 10 chilometri da Tiahuanaco. Se osservate i dieci buchi situati nella parte bassa del masso più colossale del peso di cento tonnellate (figura principale), noterete che essi sono larghi circa 30 cm.
Ebbene, sempre secondo Posnansky questi incavi servivano per infilarvi dei robustissimi tronchi d’albero detto Kholo, che veniva trasportato direttamente dalla selva alta detta Yungas. Quindi, utilizzando il concetto di leva, almeno 15 uomini ogni tronco (in tutto dieci), erano in grado di spingere il blocco ciclopico sopra delle pietre scivolose e quasi sferiche, ottenute dal letto di fiumi, che servivano da cuscinetto. Ovviamente, siccome disponevano di un numero limitato di pietre di fiume, una volta trasportato il blocco colossale lungo una certa distanza, spostavano le pietre di fiume dal selciato e si ricollocavano nella parte successiva. Dobbiamo anche renderci conto che durante la costruzione di Tiahuanaco e di Puma Punku, la casta alta degli architetti-sacerdoti aveva il potere assoluto su masse di migliaia di lavoratori-schiavi che erano sottoposti a disciplina ferrea.
Secondo Posnansky quello indicato fu solo uno dei metodi per trasportare blocchi colossali d’andesite. Un altro metodo sarebbe stato il trasporto sull’acqua, già che Tiahuanaco era una città portuale. Dalla cordigliera di Kjappia, situata sull’istmo di Yunguyo, venivano trasportati i blocchi meno pesanti su imbarcazioni di totora che a prima vista possono sembrare instabili ma che in realtà hanno eccellenti doti di navigabilità e possono essere accoppiate per aumentarne la portabilità.
Tornando alla funzione del Tempio della Luna, Posnansky fa notare che esso era stato concepito per essere costruito con una serie di spazi interni, almeno quattro stanze e dodici “nicchie”. Nelle nicchie dovevano essere posti, sempre secondo Posnansky, altrettanti “puma sacri”, animali vivi, dedicati al culto della Luna. Per Posnansky, infatti, mentre il puma e lo stesso giaguaro erano da associare alla Luna, il condor o l’aquila erano da associare al Sole, il cui culto fu però successivo, e sbocciò solo nel III periodo, quello post-diluviano.
Il puma oltre ad essere il simbolo della Luna, lo era anche della notte, della donna e dell’acqua.
Un’altra delle particolarità dei portali petrei del Puma Punku, è che nei suoi bassorilievi, vi sono dei piccoli fori. Questi fori venivano utilizzati per sostenere le placche d’oro che vi erano sovrapposte, con dei chiodi d’oro. Secondo Posnansky a Puma Punku vi sono i resti di quattro grandi portali, oggi in rovine. In particolare quello che lui denomina “Puma Punku” è un portale di piccole dimensioni, alto 617 mm e largo 370 mm, non adatto quindi al passaggio di esseri umani. Secondo Posnansky era destinato al passaggio dei felini che erano poi ingabbiati nelle rispettive nicchie.
Per quanto riguarda le possibili funzioni archeoastronomiche del Puma Punku, Posnansky fa notare che mentre la funzione d’almanacco petreo del Kalasasaya è nota, per il Puma Punku è molto più difficile giungere a qualche interpretazione, proprio perché il sito archeologico è giunto a noi in condizioni molto diverse di com’era stato concepito, a seguito dei vari saccheggi perpetrati dalla conquista spagnola in avanti. L’archeologo austriaco però intuisce che la casta alta degli architetti-sacerdoti aveva delle profonde conoscenze seleno-gnostiche ed era in grado di prevedere le eclissi lunari, e controllare così le masse di contadini che temevano quest’evento. Secondo lui si erano accorti che le eclissi lunari si verificavano durante alcuni periodi di “Luna piena”.
Come conseguenza compresero che durante le eclissi lunari la Terra proietta un ombra sulla Luna. Un ultimo particolare: per Posnansky il Puma Punku coincideva con la zona portuaria di Tiahuanaco, e pertanto era il luogo dove attraccavano le imbarcazioni che giungevano da vari porti del lago Titicaca. I viandanti giungevano al Puma Punku per rendere omaggio alla Paximama, o Dea della Luna, dove sacerdoti (o le sacerdotesse?) della Luna, compivano i loro riti, i sacrifici, e danzavano al suono di dolci strumenti, accompagnati dal lontano ruggire dei puma, ingabbiati nelle nicchie del tempio. Tutto ciò in contrapposizione al Tempio del Sole, in un binomio tra il condor e il puma, che manteneva in equilibrio la società di Tiahuanaco. Solo più in seguito sarebbe sorto il culto per il serpente, introdotto dalle nuove etnie amazzoniche che s’instaurarono a Tiahuanaco, facendo sorgere così, lentamente, quel concetto di Trinità Andina che ancora oggi è impregnato nella cultura popolare.
Yuri Leveratto
Bibliografia: Arthur Posnansky, “Tiahuanaco, la culla dell’uomo americano”