“Un telescopio nel passato”
Nel freddo inverno del 1921 i membri dell’Istituto di Metapsichica di Parigi si incontrarono per mettere alla prova una veggente. Qualcuno aveva recapitato una lettera, che, passando di mano in mano fra i presenti avrebbe dovuto finire in quelle della medium che avrebbe dovuto segnalarne i contenuti. Quando uno dei membri, lo scrittore Pascal Forthunny aveva stretto la busta nelle mani aveva esclamato: «Difficile inventare qualcosa che non riguardi in alcun modo nessuno di noi». Dopo di che, chiusi gli occhi, aveva detto: «Ah, si; vedo un crimine, un assassinio…».
Alla fine del giro, l’uomo che aveva recapitato la missiva aveva dichiarato: «Signori, si tratta di una lettera scritta da Henry Landru». Questi era un “Barbablù”, al momento in galera con l’accusa di aver eliminato la bellezza di undici donne. Lo scettico Forthunny si era inavvertitamente scoperto dotato di un’abilità psichica che gli studiosi chiamano psicometria, vale a dire la capacità di ricostruire la “storia” di un oggetto semplicemente tenendolo in mano. Secondo lo studioso che inventò questo neologismo – un medico americano che si chiamava Joseph Rodes Buchanan – si tratta di una dote che possediamo tutti, solo che la maggior parte di noi non si rende conto di averla a disposizione.
Buchanan – professore di medicina nel Kentucky – incominciò a sospettarne l’esistenza sin dal 1841. In quell’anno aveva conosciuto un prelato di nome Leonidas Polk, il quale gli aveva confessato di essere in grado di riconoscere l’ottone al tatto – anche nel buio più assoluto – dal momento che in bocca gli saliva un gusto particolare. Buchanan, che già si interessava di frenologia – quella scienza che pretende di determinare il carattere di una persona valutando l’aspetto del viso e la conformazione del cranio – era rimasto fortemente attratto da Polk e si era ripromesso di approfondirne la conoscenza e lo studio, ritenendolo un soggetto “frenologico” molto interessante.
Poi aveva pensato di sperimentare con i propri allievi. Impacchettati alcuni campioni di metalli diversi in carta spessa, li aveva sottoposti alla valutazione dei ragazzi, scoprendo con piena soddisfazione che molti non faticavano affatto a riconoscere ottone, ferro, piombo e così via, semplicemente applicando le mani sui pacchi contenenti i metalli. Lo stesso accadeva con sostanze come sale, zucchero, pepe, aceto. Secondo Buchanan la risposta andava cercata nella presenza nei polpastrelli delle mani di una «aura di nervi» che consentiva di distinguere i diversi tipi di metalli, allo stesso modo in cui ciò avviene appoggiandoci sopra la punta della lingua.
L’idea, inoltre, sembrava confermata dall’osservazione che quando il soggetto operava con le mani sudate la sua capacità sensitiva ne traeva vantaggio, in base al principio che, una pelle sudata conduce e trasmette assai meglio che non una secca. Ma l’ipotesi aveva cominciato a concretizzare quando uno dei suoi allievi più dotati – un certo Charles Inman – riusciva non solo a decifrare ciò che stava scritto in una lettera sigillata, ma persino a tratteggiare il carattere del mittente. Per Buchanan la cosa era possibile sempre grazie all’aura nervosa che, chi aveva scritto la lettera, lasciava sulla scrittura.
Inman, straordinariamente sensibile, riusciva a catturare questa impronta sottile attraverso la sua stessa aura e quindi a sintonizzarsi su ciò che sembrava inaccessibile. Per farla breve, Inman riusciva così bene perché in possesso di una sensitività fuori dal comune, un po’ come succede nei cani da caccia – il cui fiuto si è sviluppato oltre la normalità. Ma ancora una volta, la teoria aveva preso a scricchiolare quando, sempre Inman, dimostrò di riuscire a ottenere le stesse performances anche con delle fotografie – i dagherrotipi, come venivano chiamate allora – accuratamente chiuse in buste sigillate. Anche davanti a questa evidenza, Buchanan aveva difeso la sua teoria: la fotografia era stata in contatto con il soggetto e con la sua aura, era sempre questa dunque che fungeva da tramite, innescando la risposta del sensitivo psicometra.
Il professore dovette cedere quando scoprì che anche le anonime immagini tratte dai giornali svolgevano la stessa funzione. Quando un geologo della Università di Boston, il professor William Denton, aveva letto gli studi originali sulla psicometria – ricordiamo che la parola significa “misura dell’anima” – condotti da Buchanan, ne era rimasto affascinato e aveva deciso di sperimentare anche lui. In casa, Denton aveva un soggetto ideale, la sorella Anne “fortemente sensibile”, la quale dimostrò doti psicometriche ancora più straordinarie di quelle di Inman, ed anche la moglie dava segno di notevoli capacità. La signora non solo era capace di descrivere il mittente di una lettera, ma anche di tratteggiarne la figura fisica e l’ambiente in cui viveva.
Da qui Denton aveva compiuto un primo passo avanti. Se un medium sensitivo è in grado di catturare le impressioni inglobate in una lettera, perchè non immaginare che anche una roccia possa essere impressionata da ciò che le accade tutto attorno, se solo si tiene conto che il suo processo di assorbimento potrebbe durare anni e anni? Così, a partire dal 1853, iniziò a testare sensitivi sottoponendo loro campioni geologici e archeologici, «scoprendo, con mia grande soddisfazione, che senza aver avuto alcun precedente contatto con i campioni e senza averli mai neppure veduti, alcuni soggetti erano capaci di descriverne la storia, come se questa fosse passata davanti a loro su un grande schermo, in una vista panoramica completa».
Un giorno aveva dato ad Anne un pezzo di lava vulcanica proveniente dalle isole Hawai e la ragazza all’istante aveva descritto «un oceano di fuoco che usciva da un precipizio, provocando ribollimenti e schizzi giganteschi». Molto significativamente, la donna aveva anche descritto la presenza di alcune navi. Svolgendo un’attenta ricerca, Denton era venuto a sapere che proprio nel corso di quella eruzione, avvenuta nel 1840, nel mare delle Hawai era presente una flotta americana. Un frammento d’osso inglobato in un pezzo di calcare aveva invece provocato l’affascinante descrizione di un animale preistorico, una spiaggia antichissima con dei dinosauri. Un coccio di ceramica indiana aveva indotto la visione di tribù di pellerossa.
Una scheggia meteoritica, l’immagine dello spazio infinito, con le stelle descritte come vicine e grandissime. Un pezzo di roccia proveniente dalle cascate del Niagara aveva innescato la visione di un torrente in piena; mentre un frammento di stalattite aveva rievocato una grotta con pinnacoli di roccia. Per essere sicuro che i soggetti degli esperimenti non traessero spunti di fantasiosa ispirazione vedendo i campioni su cui si dovevano esprimere, Denton li impacchettava in modo da renderli assolutamente indecifrabili. Un’altra osservazione importante consisteva nel fatto che quando, magari a anche a distanza di mesi, presentava all’osservazione un campione già testato, la risposta era sempre la stessa, vale a dire coincideva con quella già data tempo prima, anche se a volte la descrizione era lievemente diversa.
Nel corso di uno dei tanti esperimenti, Denton aveva mostrato alla moglie il frammento di una tessera di mosaico proveniente da una villa romana appartenuta a Cicerone. La donna aveva centrato subito l’obiettivo, descrivendo la villa, ma anche file di soldati che sembravano stare agli ordini del proprietario della casa, un uomo corpulento dall’aspetto brillante, che aveva tutta l’aria di essere un comandante. A quella rivelazione Denton non aveva potuto nascondere la sua delusione, anche perché si tramanda che Cicerone fosse piccolo e minuto. L’esperimento, dunque, non era del tutto riuscito.
Poi, qualche tempo dopo, mentre Denton stava scrivendo il suo libro fondamentale sulla psicometria, era venuto a sapere che la villa in questione era anche appartenuta al dittatore Silla, un personaggio che si attagliava alla perfezione alla descrizione fattane a suo tempo dalla moglie. Un’altra lettura impressionante era stata quella innescata da un pezzo di roccia vulcanica proveniente dagli scavi di Pompei. La signora Denton non aveva la minima idea di che si trattasse, e non aveva potuto neppure vedere il campione. Sin da subito però aveva avuto la netta visione di una eruzione vulcanica ed in particolare proprio di quella del Vesuvio che aveva distrutto Pompei.
Anche Sherman, il figlio di Denton, aveva la stessa visione, arricchita con molti dettagli archeologici – come, per esempio, una nave con “un cigno come polena” – poi rivelatisi storicamente accettabili. Dopo tanti successi, Denton era eccitatissimo: Buchanan e lui avevano scoperto una nuova facoltà umana, una specie di “telescopio nel passato”, che avrebbe potuto consentire all’uomo moderno di penetrare nel passato ricreando i grandi scenari della storia. Perché, stando alla sua teoria, tutto ciò che accade nel mondo sarebbe da sempre conservato in una specie di “cinegiornale” (ovviamente Denton non potè usare questa parola) proiettato a piacere, ogni volta che si desidera.
Ma, al di là dell’innegabile certezza che la facoltà della psicometria era indubbiamente fuori discussione, Denton non si rese conto di quanto, allo stesso modo, questa facoltà potesse anche sviare e ingannare. Il suo terzo libro dedicato all’argomento, il già citato “L’anima delle cose”, edito nel 1888, contiene la descrizione di “visioni” di alcuni pianeti che sembrano, a dir poco, strampalate. Su Venere, per esempio, crescono alberi e funghi giganteschi o animali mostruosi che neppure la fantasia di Hieronymus Bosch avrebbe potuto immaginare. Marte possiede una temperatura perennemente estiva (in realtà invece sembra che non faccia molto caldo) ed è popolato da esseri umani con quattro dita, occhi azzurri e capelli gialli.
Anche su Giove vivono esseri dagli occhi azzurri e dai lunghi capelli raccolti in trecce che scendono fino ai fianchi, capaci di fluttuare leggeri nell’aria come dei palloncini. Evidentemente, Sherman, il figlio di Denton a cui si deve la maggior parte di queste descrizioni, doveva aver sviluppato quella che Jung chiama «immaginazione attiva», non riuscendo poi più a distinguere fra ciò che questa immaginazione gli suggeriva e le immagini che gli provenivano dalla autentica estrinsecazione delle sue doti psicometriche. Ciò che più di ogni altra cosa impressiona in modo favorevole il lettore moderno che si avvicina ai testi di Denton (L’anima delle cose) e Buchanan (I misteri della psicometria, forse un po’ troppo ottimisticamente sottotitolato Nascita di una nuova era) sta nel loro innegabile taglio scientifico, impronta che impressionò notevolmente anche i loro contemporanei.
Per loro sfortuna però, il momento storico in cui essi sperimentarono sulla psicometria coincise con quella della nascita e del massimo fulgore dello spiritismo, diffusosi come un lampo in America ed Europa. Nato ufficialmente col caso delle sorelle Fox, attorno al finire degli anni Quaranta dell’Ottocento, nel giro di un ventennio lo spiritismo aveva conquistato milioni di proseliti. La scienza si trovò completamente spiazzata, partendo al contrattacco con violente accuse di frodi e illusioni generalizzate. Per questo, tutto ciò che in quel momento aveva a che fare col “soprannaturale” era diventato oggetto di critica e scetticismo e studiosi come Buchanan e Denton, seri e motivati, non vennero mai presi in considerazione per quanto in realtà valevano.
Denton morì nel 1883 e Buchanan nel 1900, ambedue completamente dimenticati e in totale anonimato. I successivi esperimenti sulla psicometria vennero condotti negli anni Ottanta del XIX secolo dal dottor Gustav Pagenstecher, un tedesco trasferitosi a Città del Messico, ritenuto un materialista convinto. Appena qualche anno dopo la fine della prima guerra mondiale, Pagenstecher stava trattando con l’ipnosi il caso di una paziente sofferente di insonnia, la signora Maria Reyes de Zieroid. Un giorno, mentre la donna era in stato di ipnosi, aveva detto a Pagenstecher che in quel preciso momento la figlia stava origliando dietro la porta. E così era. Da quel giorno il medico aveva incominciato a sottoporre Maria a test paranormali, scoprendo fra le altre cose che quando si trovava in stato ipnotico poteva condividere le sue stesse sensazioni.
Così, per esempio, se lui si metteva un pizzico di sale o di zucchero sulla punta della lingua, anche Maria avvertiva lo stesso gusto, oppure se lui avvicinava la fiamma a un dito, anche Maria avvertiva la sensazione di calore e bruciore. Ad un tratto Pagenstecher aveva provato a sperimentare con la psicometria. Come accadeva ai soggetti di Denton, anche Maria descriveva l’oggetto e la sua storia semplicemente prendendolo in mano. Con una conchiglia di mare, descriveva una scena sottomarina; con un frammento di meteorite, descriveva il lungo viaggio nello spazio e la finale precipitazione attraverso l’atmosfera terrestre. («Sono terrorizzata, mio Dio!»).
Il dottor Walter Franklin Prince, che aveva invitato Maria per sottoporla ad alcuni test a nome della Società americana per la ricerca psichica, le aveva consegnato un “fagiolo di mare”, rinvenuto su di una spiaggia. Invece del mare, Maria aveva descritto una foresta tropicale. Ed in effetti, i botanici confermarono che il “fagiolo” altro non era che una specie di noce prodotta da un albero tropicale, trasportata al mare da qualche affluente. Un altro eminente sperimentatore in questo campo è stato il dottor Eugene Osty, direttore dell’Istituto di metapsichica di Parigi, quello stesso presso il quale Pascal Forthunny aveva riconosciuto per via psicometrica la famosa lettera a firma Landru.
Nel suo ormai classico “Supernormal Faculties in Mari Osty”, descrive alcuni interessanti test di psicometria da lui condotti con alcuni sensitivi. Racconta che nel 1921 gli era stata portata una fotografia in cui si vedeva una capsula ben sigillata di vetro trasparente contenente del liquido. L’oggetto era stato rinvenuto presso il grande tempio di Baalbek. Una delle sue sensitive più potenti, la signora Moral, appena presa la fotografia tra le mani – era così sfocata che, dopo tutto, avrebbe potuto raffigurare qualsiasi cosa – aveva incominciato a dire che quell’oggetto le ricordava un posto dove c’erano dei morti e in particolare agli occhi della mente le si presentava un uomo anziano, un vecchio. Vedeva un luogo enorme, con dei templi, delle chiese; poi aveva descritto l’uomo, un sommo sacerdote.
La capsula in vetro conteneva il sangue di un uomo che era stato sacrificato in una terra lontana ed era stato deposto nella tomba del vecchio sacerdote, come segno di memento. Lo stesso Osty non aveva idea di che cosa fosse rappresentato nella fotografia, ma grande era stata la sua sorpresa nel venire a sapere dall’ingegnere che aveva ritrovato la sfera di vetro, che l’oggetto aveva fatto parte del corredo funebre di una ricca tomba venuta alla luce nella valle del Bekaa. Ovviamente, un caso come questo rimette in discussione da capo tutte le ipotesi ufficiali sul mistero della psicometria. Infatti la teoria di Buchanan – secondo la quale si tratterebbe della eccitazione dell’aura nervosa capace di rendere il medium sensibile alle impressioni degli oggetti – cessa di essere plausibile nel momento in cui le informazioni psicometriche diventano accessibili anche tramite l’anonima fotografia comparsa su di un quotidiano, teoricamente del tutto priva di un’impronta personale.
Anche l’idea proposta da Denton, secondo la quale un oggetto riesce in qualche modo misterioso a “fotografare” e a “registrare” tutto quello a cui assiste, sembra non reggere. Nel caso della tessera di mosaico proveniente dalla villa romana, per esempio, l’osservazione del mondo non avrebbe potuto che essere alquanto limitata e, a rigore, la visione dei legionari romani della signora Denton, da quel punto di vista avrebbe dovuto semplicemente limitarsi alle loro gambe in movimento. Forse l’ipotesi che meglio riesce a rispondere alla realtà dei fatti, ci riporta a quella facoltà psichica comunemente detta “chiaroveggenza”, ossia quella particolare capacità di sapere ciò che sta accadendo in un dato luogo a una data ora, pur non essendo presenti.
Però, la sensibilità di Folk di riconoscere non al tatto ma attraverso il gusto, i diversi tipi di metallo, sembra avere poco a che fare con la chiaroveggenza. Insomma, anche in questo caso, come in molte altre regioni della ricerca paranormale, tracciare una linea di discriminazione ben nitida fra un fenomeno e l’altro sembra impossibile. Alcuni eccellenti psicometri moderni quali Gerard Croiset, Peter Hurkos e Suzanne Padfield, hanno messo le loro qualità al servizio della polizia per risolvere casi difficili. Suzanne Padfield è riuscita addirittura a segnalare alla polizia sovietica le generalità dell’assassino di un bimbo senza muoversi da casa sua nel Dorset, in Inghilterra. È comunque significativo ricordare che certi medium, come per esempio Croiset, non amano essere chiamati psicometri o chiaroveggenti, ma preferiscono il termine “paragnosta”, una parola che, molto più semplicemente, sta a indicare la capacità di un uomo di “conoscere” ciò che sta al di là dei limiti imposti dai sensi così come li conosciamo.