Va detto prima di cominciare che sono necessarie tre dignità iniziatiche. Si tratta di qualità naturali (fisiche e psicologiche) e morali che il candidato deve avere e che sono innate. Esse sono l’esteriorizzazione di determinate armonie interiori volte a catalizzare gli influssi trascendenti. Queste due perciò appartengono agli ordini ylico o materiale e psichico o animico. Infine vi é l’influsso spirituale trasmesso mediante il rito iniziatico. E questo é parte dell’ordine pneumatico. Mukti Diksha in India. Per quanto al giorno d’oggi si possa vedere in ciò solo sciocca e retrograda superstizione bisogna dire che le prime qualità escludono ad esempio nei o peli o viso asimmetrico o naso troppo grande o scoliosi.
Chi ha presente certe vecchie superstizioni dell’Italia meridionale avrà un pò riconosciuto ciò che costituisce il complesso delle caratteristiche di un “menagramo”. Si tratta di connotazioni innate che attirano influenze nefaste ovvero infernali, un pò come nel Levitico la lebbra é impura, non tanto nel senso del contagio attribuito oggi, ma da un punto di vista occulto checché gli ebrei possano dire della magia e per quanto impegno possano metterci a tentare di convincerci che l’ebraismo ne é totalmente estraneo.
Esiste un diritto ad essere iniziati? Certamente risponderemo di no. Per definizione questa condizione é certamente “esclusiva”. Non per nulla si parla si parla di “cerchia di iniziati”. Si presume che per ottenere questo status vi siano determinate qualità del tutto speciali. Che vi sia un nuovo ordine in merito a questo é del tutto errato. Steiner, per citare uno dei tanti sostenitori di questa dottrina errata, concepisce il tradizionale principio elettivo come un semplice espediente adottato in epoche in cui il “progresso” e la mentalità laica erano ancora poco più che un progetto di pochi o un motivo di persecuzione. Si confonde la libertà di pensiero col risveglio e l’ uguaglianza con la coscienza “collettiva”. In realtà é esattamente l’opposto. Anzi proprio nel mondo decaduto attuale l’iniziazione viene resa impossibile. Intanto il paganesimo é stato soppiantato da millenni dal cristianesimo. Già questo rende vano tutto ciò che si pone in relazione a ciò che stiamo esaminando non solo sul piano teorico ma anche e soprattutto a proposito della linea di trasmissione rituale. In secondo luogo le leggi rituali sono del tutto ignote e non praticate in primo luogo riguardo alla gerarchia sociale.
Alcuni sostengono addirittura che non vi sia alcun bisogno neppure di un rito e parlano di “presenza” o “testimonianza consapevole”. Senza il rito é del tutto inutile parlare di questo. Non vi é alcuna “grazia” per cui l’iniziazione diventerebbe una facile aquisizione o addirittura un dono. Parlare di liberazione e di risveglio oggi é pura utopia. Senonché con i tempi nuovi e la fine dell’epoca presente lo stato di risveglio dovrebbe diventare uno stato innato e normale e non più eccezionale. La realizzazione veniva rappresentata dagli antichi come una serie di prove che un semidio guerriero doveva superare per vincere il premio concepito come un trofeo meraviglioso. Giasone ed il vello d’oro, Ercole e i pomi d’oro del giardino delle Esperidi, Thor e la lotta col serpente del mondo. Queste prove alludono al lavoro interiore di progressiva sublimazione delle passioni e paziente e lenta distillazione del liquore sacro della coscienza perfetta. Una divina alchimia, un solve et coagula, un discioglimento della materia per concentrazione, fissazione e un integrazione dello spirito, uno scioglimento dal giogo delle potenze e un’unione con la pienezza intellettuale.
La concezione buddhista é eretica. Sembra un positivismo primitivo. Non é testimonianza distaccata, la presa d’atto del fatto esteriore. L’essere buono e senza pretese. Non vi é una vacuità dei fenomeni (sunyata). Ciò é nichilismo. Né possiamo confondere la dottrina della realizzazione con la filosofia moderna occidentale. Va detto innanzitutto che non si tratta di conseguire un presente assoluto ma la soppressione del tempo. Non é un esserci (dasein heideggeriano), non é una onnipotenza della soggettività contro l’opacità del reale, l’assunzione di responsabilità della proiezione di senso. Il conseguimento del Sé non é un potenziamento dell’individualità, che esso trascende, il mero riconoscimento di un presunto potere assoluto dell’uomo. Non é una sostanza spinoziana, una natura naturante. Non é l’embrione di un superuomo. Si deve uccidere la bestia del sé inferiore per rubare il tesoro dell’antro della dimora atmica. E’, non dalla morticazione, ma dalla morte dell’ego che potrà sorgere la fenice del super-ego.
Umiltà e orgoglio sono indifferenti perché entrambi pongono un oggetto ed é l’ego. Il distacco e l’osservazione oggettiva e spassionata di noi stessi (non negare i pregi né i difetti) é l’anticamera della restituzione dell’abito tenebroso alle potenze e della coscienza al regno della luce incorruttibile. Questo abito tenebroso, un vero e proprio vestito di sacco a confronto con la veste luminosa e regale, é costituito dal pensiero e dall’emotività. Da esso siamo agiti e non ne siamo attori. Kama e manas, formanti Suksma o Linga Sarira o veicolo sottile psichico intermedio, ci impediscono di agire con il Sé e di essere coscienti.
Il pensiero é sottomesso al tempo che ancora si manifesta nel mentale. Esso guarda verso il passato e verso il futuro come Giano. La mente cerca motivi per continuare ad esistere e questi motivi sono legati alla mutevolezza. In questo modo si rimane intrappolati in essa. Il nostro servo diventa padrone e diveniamo altro da noi stessi. Un essere oppresso da problemi da risolvere e sofferenze da evitare. Ma tutto questo é maya e vivere nella coscienza di maya ci rende schiavi di vicissitudini illusorie, ci attacchiamo al mutevole che non conosce affatto l’Essere che é trascendente. Memoria e progetto sono produzioni ingannevoli. Essi sono sovrapposti all’essere per intrappolarlo nella futile esistenza estrinseca. Non possono portare conoscenza se non quando diventano oggetto e non più soggetto nel risveglio. Vi é perciò la via esteriore (pavritti) ma cercheremo ciò che conduce alla saggezza ovvero nivritti. Non possiamo giungere alla felicità che é essenzialmente spirituale (ananda) senza congiungere essere e conoscenza. Essi coincidono. Possiamo conoscere solo portandoci fuori dall’esistenza. Dobbiamo vedere il film da fuori come registi e non come spettatori come potrebbero insinuare eventuali critici dell’idealismo tradizionale.
A questo punto agiremo la commedia umana. In una fase più avanzata riusciremo a dissolverla con la luce della Gnosi. Sophia riascenderà alla sua sfera, colei che é intelletto caduco. Riaquisteremo il veicolo luminoso della perfetta coscienza risvegliata nata dalle ceneri della brama vitale. Questo demone che domina con la paura della morte e la ricerca del piacere. Nella dimora non c’é piacere né dolore, non esistono stati attivi e mutevoli. Non vi é perciò una beatitudine come concepita nelle rappresentazioni consuete e comuni. La perfetta gioia é una non-gioia. Avviene prima che noi conquistiamo il governo di noi stessi (regalità iniziatica) e poi che lo dissolviamo nella conquista dell’Essere. Qui per Essere s’intende lo spirito e per Non-Essere la materia. Luce e tenebra o coscienza ed incoscienza. Ermete dice che un solo raggio intellettuale dissolve mille potenze della natura manifestata. E’ il risveglio dal sogno. Noi viviamo in un subcosciente che contiene in potenza la coscienza e il superamento di sé. In esso si nascondono le sementi di una pianta sacra che vive della distruzione dello stato immanifesto intraterreno. La spada della conoscenza recide le radici dell’albero Ahvatta o dell’esistenza manifestata e transeunte. L’Atma é perciò dormiente in noi o piuttosto noi dormiamo senza di esso. In ogni caso se la perfezione non manca di nulla essa é priva in certo qual modo della sua progenie dispersa in terra straniera, la coscienza differenziata, il velo dell’ego.
Opposizione e accettazione sono complementari rispetto all’emotività e al pensiero. L’integrazione della coscienza rende vacuo questo complesso psichico. Tutto ciò che nuoce di esso, sofferenza in primis, é motore della dipartita della coscienza dal sonno in cui esso sprofonda. E’ fatale che il ritorno o apocatasi sia una salita, o meglio risalita, dei gradini di una scala. La montagna alchemica, nel suo maccheronico linguaggio pseudochimico, simbolizza questo. Si deve insediarsi nella dimora della coscienza integra che non permette lo scivolamento nelle produzioni intellettuali. Si deve prima ritrarsi dall’emotività, poi dal pensiero e infine reintegrarsi nel centro interiore. L’emotività é intrinsecamente mutevole e uno sbilanciamento dell’essere indeterminato del Sé. Presa dimora nello stato atmico tutto ciò che é mentale ed emotivo accade senza essere agito fino a dissolversi negli elementi primigeni proiettati in noi dalla stessa natura immanente ed estrinseca delle potenze. Questo avviene dapprima in modo intermittente e poi in modo permanente.
Alessandro Bardi autore de “La genesi ritrovata“