Nuova tecnica di elettrostimolazione epidurale del midollo spinale, speranze per i pazienti paraplegici?
La tecnica, che potrebbe spianare la strada a nuovi trattamenti per migliaia di persone che hanno perso uso delle loro gambe, utilizza una stimolazione elettrica mirata che fornisce delle scariche direttamente nel midollo spinale. La procedura, frutto del lavoro di ricerca condotto da un team di ricercatori dell’École Polytechnique Fédérale de Lausanne in Svizzera, è stata descritta in due nuovi articoli pubblicati sulle riviste Nature e Nature Neuroscience. Si tratta di un metodo specializzato di elettrostimolazione epidurale del midollo spinale (dall’inglese EES, Epidural Electrical Stimulation) che ha aiutato i pazienti paraplegici coinvolti nello studio a recuperare il movimento volontario delle gambe anche in assenza di stimolazione.
Soprattutto questo metodo ha funzionato ad anni di distanza dalle lesioni subite dai pazienti. «I nostri risultati si basano su una profonda comprensione dei meccanismi di fondo che abbiamo acquisito dopo diversi anni di ricerca sui modelli animali» scrive il ricercatore e neuroscienziato Grégoire Courtine. «Siamo stati così in grado di imitare in tempo reale quello che fa il cervello quando attiva naturalmente il midollo spinale»
L’elettrostimolazione epidurale, che coinvolge degli elettrodi impiantati nella colonna vertebrale, viene studiata da diversi anni ma fino ad ora ha avuto più successo nelle paralisi dei modelli animali piuttosto che nei casi di paralisi degli esseri umani. Anche se le ragioni esatte per cui la EES risulterebbe essere specifica per una specie restano ancora sconosciute i ricercatori suggeriscono che la tecnica standard chiamata stimolazione tonica o continua blocchi un valore significativo di input propriocettivi negli essere umani, ciò rende molto più difficile la percezione della posizione degli arti delle persone anche se viene applicata l’elettrostimolazione epidurale sui muscoli.
La stimolazione spazio-temporale
Al contrario, questo nuovo sistema utilizza una sequenza temporale di modelli di stimolazione selettiva nello spazio, qualcosa che i ricercatori definiscono come stimolazione spazio-temporale. Tale stimolazione trasmette in modalità wireless i segnali agli impianti che si trovano nel midollo spinale e attivano diversi gruppi muscolari, non vengono soltanto simulate le connessioni nervose ma viene stimolata anche la crescita di nuovi nervi.
«Questo metodo ha il vantaggio di riuscire ad applicare modelli specifici di stimolazione nel momento esatto in cui i pazienti tentano di eseguire il movimento associato» scrive l’autore principale di uno dei 2 articoli Fabien Wagner.
«Ciò si traduce in una naturale integrazione tra l’intenzione del partecipante di produrre un movimento e gli effetti selettivi della stimolazione elettrica» scrive Wagner.
L’innovazione ha prodotto risultati quasi istantanei durante i test, tre pazienti di sesso maschile stanno riacquistando la capacità di camminare (con l’aiuto di un sistema BWS, body weight support che provvede a fornire un supporto posturale per la posizione eretta ed è in grado di facilitare la coordinazione degli arti) dopo una sola settimana di calibrazione con la neurotecnologia e nonostante diversi anni di paralisi cronica.
Il meglio doveva ancora venire
Ma il meglio doveva ancora venire. Dopo 5 mesi di riabilitazione intensiva (almeno quattro sedute a settimana) i pazienti sono stati in grado di camminare su un tapis roulant con l’elettrostimolazione spazio-temporale senza accusare affaticamento muscolare o un cedimento dell’andatura. In questa fase della riabilitazione gli uomini sono stati in grado di mostrare un movimento delle gambe volontario anche in assenza di stimolazione.
«Questo livello di recupero neurologico non era mai stato osservato prima in pazienti con lesioni croniche del midollo spinale» scrive Wagner.
«Ipotizziamo che la coincidenza tra gli input cerebrali e l’attivazione del midollo spinale indotta dagli stimoli elettrici abbia portato alla plasticità neuronale all’interno dei circuiti spinali residui, ciò ha portato al recupero della funzione motoria» prosegue Wagner.
Il sistema rappresenta una riproduzione tecnologica efficace dei segnali cerebrali che controllano la camminata
In altre parole, il sistema rappresenta una riproduzione tecnologica efficace dei segnali cerebrali che normalmente controllano la camminata e sembrerebbe produrre dei livelli di recupero neurologico senza precedenti nei pazienti paraplegici grazie all’utilizzo di nervi collaterali che non hanno subito lesioni.
Nessuno può garantire che ogni paziente paraplegico potrà ottenere dei risultati simili (che hanno richiesto mesi di riabilitazione intensiva) tuttavia i risultati sono incredibilmente positivi e potrebbero accendere la speranza di migliaia di persone che non possono più utilizzare le loro gambe. E sembrerebbe proprio questo ciò che fa essere ottimisti i ricercatori: i pazienti che sono stati coinvolti nello studio avevano subito lesioni al midollo spinale oltre 4 anni prima dell’inizio del trattamento.
I ricercatori ritengono che il recupero potrebbe essere ancora più forte nei casi in cui una persona ha subito delle lesioni al midollo spinale più di recente «poiché il potenziale di plasticità è elevato e il sistema neuromuscolare non ha ancora subito l’atrofia che viene in seguito alla paralisi cronica».
Le sfide da affrontare per rendere disponibile la tecnologia nelle cliniche e negli ospedali
Due ricercatori del team hanno fondato una startup GTXMedical con l’obiettivo di portare la stimolazione spazio-temporale nelle cliniche e negli ospedali, ma prima di riuscire nell’intento dovranno essere superate diverse barriere. Infatti prima di erogare la terapia al pubblico la tecnica di neurostimolazione dovrà essere semplificata, standardizzata per l’uso clinico e convalidata dai test clinici dimostrarne l’efficacia e la sicurezza.
«Inoltre è importante tenere a mente che le collaborazioni industriali sono necessarie per integrare le tecnologie e per rendere questo sogno possibile» scrive Wagner.
«Ci aspettiamo che questo trattamento sarà disponibile per i pazienti nei prossimi tre, cinque anni» prosegue Wagner.
C’è ancora una lunga strada da percorrere e ancora molto lavoro da fare prima che la ricerca riesca davvero ad aiutare le persone a rimettersi in piedi. Ma sembra che ci stiamo avvicinando all’obiettivo come mai prima d’ora.
Gli studi sono stati pubblicati su Nature e Nature neuroscience