Fino a ieri il 2012 sembrava una data lontana nel futuro, che prima o poi sarebbe arrivata “ma che per ora non ce ne dobbiamo preoccupare”. Ora invece ci siamo dentro, e persino il più scettico dei materialisti non può ignorare la fatidica domanda che aleggia silenziosa un pò dappertutto: “Che cosa succederà nei prossimi dodici mesi?” “Ci saranno cataclismi, terremoti e devastazioni terrificanti?” “Esisterà l’umanità all’alba del prossimo anno, o verremo tutti spazzati via come moscerini insignificanti?” “E se qualcuno riuscisse a salvarsi, come farà a sopravvivere?” “Quanti di noi resteranno, e come verranno scelti i dannati e gli eletti?”
A questo punto la nostra mente viene travolta da una marea inarrestabile di immagini, che vanno dal “diluvio universale” della Bibbia ai lampi di Zeus del Monte Olimpo, dalla battaglia dei Vimana nei cieli di Vishnu alle trombe del giudizio nell’Apocalisse di Giovanni. A queste si sovrappongono le immagini dei mille film e telefilm “catastrofici”, sempre più difficili da distinguere dai veri tsunami e terremoti che vediamo in TV, e il tutto finisce in un unico calderone iconografico che mescola sempre più volentieri la storia con la fantascienza, il mito con la realtà, la profezia con l’invenzione, il sacro con il profano.
Nell’affrontare quindi la “questione 2012” bisogna prima di tutto tornare a separare gli elementi originali su cui è basata dai mille strati aggiuntivi che le si sono sovrapposti. Al centro della questione sta la cosiddetta ”Profezia Maya”, che secondo la “versione comunemente accettata” preannuncia la fine del mondo per il 21 dicembre 2012. In realtà questa “profezia” non nasce già nella sua forma attuale, ma risulta dall’interpretazione congiunta delle pochissime fonti …
… sopravvissute alla furia dei Conquistadores di Hernando Cortès e dei preti cattolici al suo seguito. I primi si occuparono di decimare la popolazione locale con un genocidio sistematico, i secondi cercavano di distruggere ogni traccia della loro tradizione culturale, per rimpiazzarla con i valori e con i simboli del cristianesimo. (Proprio in Messico si trova una chiesa cattolica che è costruita fisicamente sulle rovine di un tempio Maya. E non è l’unico caso al mondo).
Fra i pochi documenti che si salvarono i più importanti sono il “Codice di Dresda”, il libro sacro dei “Popol Vuh” e i libri di “Chilam-Balam” (che significa “Il Profeta Balam”). Il Codice di Dresda ci ha permesso di conoscere il famoso calendario Maya, che termina con la data del 21 dicembre 2012. Il libro dei Popol Vuh contiene le varie leggende mitologiche che compongono la cosmogenesi e l’antropogenesi della tradizione Maya. Calendario e tradizione sono legati in modo indissolubile, in quanto il primo rappresenta la “struttura meccanica”, ovvero l’ossatura temporale, con la quale i concetti espressi dal libro sacro si concretizzano nel mondo materiale. Per i Maya la storia si ripete secondo cicli periodici, identici a sè stessi, che durano circa 5.000 anni. All’interno di ciascun ciclo l’umanità compie un percorso evolutivo completo. Secondo questo calendario noi ci troviamo nella fase conclusiva del ciclo attuale, che è iniziata intorno al 3000 avanti Cristo, è che si concluderà il 21 dicembre 2012.
Ma è solo introducendo il libro di Chilam-Balam, che contiene una lunga serie di profezie, che si arriva al leggere quella data nei termini catastrofici della “fine del mondo.”
Le profezie di Chilam-Balam, che ricordano da vicino le quartine di Nostradamus, sono associate a precisi cicli temporali di 20 anni ciascuno, chiamati katun.
Per l’ultimo katun di questo ciclo (cioè gli anni dal 1993 al 2012) Chilam-Balam prevede un periodo oscuro caratterizzato da scontri violenti fra forze antagonistiche di enorme magnitudine. Ma è la nostra visione lineare del tempo, che scorre in una sola direzione – dal “passato” al “futuro” – che ci porta ad interpretare questo genere di conflitto come qualcosa di definitivo e irreversibile. La nostra visione escatologica dell’esistenza – che fu introdotta proprio dal cristianesimo – ci insegna che veniamo al mondo una volta sola, e che dopo la morte ci attende il giudizio divino, la cui sentenza sarà inappellabile. Non ci sono i tempi supplementari, e non c’è nessun girone di ritorno. E persino il più ”ateo” dei materialisti risente in ogni caso di questa concezione temporale, nel momento in cui dichiara che non ci sia nulla “prima” della nascita e che nel nulla più assoluto si debba tornare “dopo” la morte.
Se invece si considera la visione circolare (ciclica) del tempo – che i Maya condividono sia con gli altri nativi americani che con tutte le tradizioni spirituali dell’Oriente – qualunque scadenza di tipo cosmico diventa solo un punto particolare all’interno di un sistema di punti equivalenti ed equidistanti dal centro, dove non è più possibile stabilire una gerarchia di tipo temporale.
Il periodo che stiamo attraversando ora, secondo i Maya, rappresenta semplicemente la fase di transizione fra la fine di un ciclo e l’inizio di quello nuovo. Ma questa fase non avviene necessariamente “prima” del nuovo inizio, in ordine temporale. Appare a noi come un “prima” perchè la viviamo dal suo interno, ma guardando dal centro della ruota ogni punto della circonferenza esiste nello stesso momento. E’ l’umanità che si sposta da un punto all’altro della ruota, ricavandone la sensazione di “muoversi nel tempo”.
E’ un pò come la storia dei film d’avventura. Se guardi la vicenda dal punto di vista del protagonista, gli eventi si susseguono secondo un preciso ordine temporale, nel quale lui conosce solo quello che è successo fino a quel momento, ma non può conoscere nulla di quello che ancora deve accadere. Se però togliamo la pellicola dal proiettore e la teniamo fra le mani, noi possiamo vedere contemporaneamente sia l’inizio che la fine di quel film, ed anche qualunque altro punto della storia. In altre parole, quella storia “esiste già” tutta, dall’inizio alla fine, nei fotogrammi che sono impressi sulla pellicola. Ma solo mettendo in moto il proiettore la storia – e quindi il “tempo” – iniziano a scorrere per chi li vive dal suo interno (Et lux fuit). E quando il film è finito il proiezionista ricarica la pellicola daccapo, e la storia ricomincia.
C’è un secondo aspetto, altrettanto importante, del pensiero occidentale che ci rende difficile valutare correttamente le profezie, ed è quello che noi chiamiamo il “meccanismo causa-effetto”. Poiché noi siamo abituati a concepire il tempo in forma lineare, ci viene automatico considerare qualunque evento come diretta conseguenza di un evento che l’ha preceduto. La storia non può andare dal punto A al punto B della linea temporale se non avviene qualche cosa che la faccia muovere da A a B. Ecco perchè per noi una qualunque profezia viene considerata alla stregua di una banale visita dall’indovino: “Domani vincerai al totocalcio”, oppure “stai per incontrare la donna dei tuoi sogni”, sono frasi a cui si attribuisce la stessa credibilità di “Verrà un dittatore con l’aquila sul petto” pronunciata da Nostradamus. In base alla concezione causalistica della realtà, qualunque descrizione di un evento futuro non potrà mai avere un reale fondamento scientifico, per cui l’avverarsi di tale evento viene lasciato esclusivamente al caso. Se imbrocchi ci fai un figurone, se sbagli è meglio che tu ti vada a nascondere, ma tutto finisce lì in ogni caso.
Per gli orientali invece il meccanismo causa-effetto ha una importanza molto relativa. Come scrive Jung nella sua introduzione al libro dell’ “I-King” – che è forse il più importante libro di “profezie“ nella storia dell’umanità – “La nostra scienza è basata sulla causalità, e quest’ultima è considerata una verità assiomatica. I cinesi invece sembrano poco interessati alla spiegazione causale degli eventi, poichè questi debbono essere nettamente separati fra di loro prima di poter essere trattati in modo appropriato. Per i cinesi invece l’istante che sta sotto osservazione sembra essere più che altro la configurazione che gli eventi accidentali vengono a formare in quel momento. Mentre la mentalità occidentale accuratamente separa, pesa, sceglie, classifica, isola ecc., l’immagine cinese del momento contiene ogni particolare fino al più minuto assurdo dettaglio, poiché l’istante osservato è il totale di tutti gli ingredienti. […]
Questa assunzione implica un certo strano principio che io ho nominato sincronicità, concetto che si pone da un punto di vista diametralmente opposto alla causalità. Il punto di vista causale ci narra la storia precisa in cui giunse all’esistenza D, che prese origine da C, il quale aveva avuto un padre che si chiamava B, il quale veniva da A, ecc.. La visione sincronistica invece tenta di produrre un quadro altrettanto significativo della coincidenza: come accade che A,B,C e D compaiono tutti nel medesimo momento e al medesimo posto?” (In realtà, la stessa scienza occidentale stava elaborando in quel periodo i principi della fisica quantistica, che avrebbe introdotto una visione della realtà di tipo probabilistico, molto simile a quella descritta da Jung con il termine di sincronicità).
Tutto questo non significa che la cultura orientale neghi in assoluto il rapporto causa-effetto. Chiunque veda il bicchiere che cade dopo che qualcuno l’ha urtato può solo concludere che la prima azione sia stata causata dalla seconda. Ma per gli orientali il rapporto causa-effetto si limita alle concatenazioni più immediate, e resta localizzato agli eventi specifici, mentre nella visione complessiva della realtà subentra la variabile probabilistica, e il meccanismo causa-effetto cessa di avere la sua importanza. E’ quindi evidente che una qualunque profezia venga ad assumere un valenza molto diversa, se considerata nell’ottica orientale di un tempo ciclico e non lineare. Se non esistono necessariamente un “prima” e un “dopo”, la profezia non può identificare un evento che avvenga una volta sola in un punto preciso della linea temporale, ma diventa una specie di chiave universale per riconoscere eventi che si ripetono ciclicamente nella storia, e che prendono ogni volta aspetti diversi, pur mantenendosi identici nella sostanza. Sono gli archetipi, quei meccanismi universali come “La difficoltà”, “Il ritorno, “La sconfitta”, “Il procedere” che l’ I-KING presenta infatti come chiavi di lettura da applicare ad ogni singolo evento materiale.
Tutti i film d’avventura sono diversi uno dall’altro, ma in ogni film d’avventura ci saranno sempre un eroe protagonista (l’identificazione), un episodio che lo trascina nella vicenda (la partenza), un antagonista che lo ostacola lungo il percorso (il confronto), e un duello finale che lo libera dall’antagonista (il prevalere) e gli permette di risolvere il problema iniziale (la pacificazione). Quindi, quando noi al cinema diciamo “vedrai che adesso quello muore” non stiamo “tirando a indovinare”, ma stiamo applicando gli archetipi narrativi che già conosciamo al film specifico che stiamo guardando. Se ora proviamo ad applicare questi concetti alla Profezia Maya tutto di colpo ci appare più sensato. Chilam-Balam non ci sta dicendo che ci sarà un terremoto di magnitudine sette virgola cinque il 4 agosto alle 15.30, ma ci sta presentando una dinamica universale, nella quale le forze in gioco hanno ormai raggiunto la massima potenza, per cui solo uno scontro a tutto campo fra di loro potrà creare le condizioni per il cambiamento radicale che caratterizza l’alba di un nuovo ciclo. Dopodichè sta a ciascuno di noi leggere la profezia come preferisce, sia nell’identificare le forze che stanno per scontrarsi, sia nel decidere i colori che vuole dare al nuovo giorno.
Non dimentichiamo però che nella sincronicità orientale – esattamente come nella fisica quantistica – l’osservatore è un elemento di primaria importanza per il risultato conclusivo. Nessuno può illudersi di mettersi semplicemente alla finestra e stare a guardare quello che succede. Anzi, sono proprio quelli che sceglieranno di non fare nulla che rischiano di influire più di tutti sulle dinamiche e sull’esito finale di questo cambiamento. Ogni volta che accettiamo una bugia invece di ribellarci, ogni volta che scegliamo il compromesso invece di rifiutare, ogni volta che tacciamo quando dovremmo parlare, noi aggiungiamo una molecola sul quel lato della bilancia che si oppone al cambiamento, rischiando di rendere molto più violento e più brutale il ribaltamento, che è comunque inevitabile.
Nell’ultima pagina del Codice di Dresda, alla scadenza esatta del calendario Maya, compare la figura di una dea che riversa enormi quantità di acqua sulla terra, e sembra voler annegare tutti gli esseri viventi sulla sua superficie. Ma c’è anche una profezia degli Hopi che dice: “Questo è un momento meraviglioso. C’è un fiume che scorre molto veloce. É così rapido e travolgente che molti avranno paura, e cercheranno di aggrapparsi alla riva. In questo modo si renderanno conto di venire straziati e soffriranno enormemente. Sappiate che il fiume ha la sua destinazione. Gli anziani dicono di staccarci dalla riva e di raggiungere il centro del fiume, tenendo gli occhi aperti e la testa fuori dall’acqua. Ora guardatevi intorno, e vedete chi è rimasto con voi a celebrare”.
E Robert Kennedy – certamente un “profeta” a modo suo – aveva scritto: “Ogni volta che una persona si batte per un’idea, agisce nell’intento di migliorare la situazione degli altri, o si scaglia contro un’ingiustizia, mette un moto sottili rivoli di speranza che vanno a formare una corrente in grado di travolgere il più poderoso muro di oppressione e di resistenza”.
Forse quel fiume siamo tutti noi.
Massimo Mazzucco