Microplastiche biodegradabili che scompaiono in 7 mesi

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Le microplastiche possono impiegare dai 100 ai 1.000 anni per degradarsi e sono state trovate ovunque: negli oceani e nel suolo, nei ghiacciai montani e nelle nuvole, ma anche nelle nostre arterie, nei polmoni e persino nella placenta. Trovare alternative valide alle tradizionali plastiche e microplastiche a base di petrolio non è mai stato così importante. Ma anche molte bioplastiche hanno tempi di degradazione abbastanza lunghi.

Lo studio “Rapid biodegradation of microplastics generated from bio-based thermoplastic polyurethane”, pubblicato su Nature Scientific Reports da un team di ricercatori dell’Università della California – San Diego (UCSd) e di Algenesis Corporation dimostra che i loro polimeri di origine vegetale si biodegradano – anche a livello microplastico – in meno di 7 mesi. Uno degli autori dello studio, Michael Burkart del Department of chemistry and biochemistry dell’UCSD e cofondatore di Algenesis, sottolinea che «Stiamo appena iniziando a comprendere le implicazioni delle microplastiche. Abbiamo solo scalfito la superficie della conoscenza degli impatti sull’ambiente e sulla salute. Stiamo cercando di trovare sostituti per i materiali già esistenti e di assicurarci che questi sostituti si biodegradino alla fine della loro vita, utile invece di depositarsi nell’ambiente. Non è facile».

Un altro autore dello studio, Robert Pomeroy, professore di chimica e biochimica alla UCSD e co-fondatore di Algenesis. ricorda che «Quando abbiamo creato per la prima volta questi polimeri a base di alghe, circa 6 anni fa, la nostra intenzione è sempre stata che fossero completamente biodegradabili. Avevamo molti dati che suggerivano che il nostro materiale stava scomparendo nel compost, ma questa è la prima volta che lo abbiamo misurato a livello di microparticelle».

Per testare la biodegradabilità della plastica alle alghe, il team ha macinato il prodotto in microparticelle e ha utilizzato tre diversi strumenti di misurazione per confermare che, una volta messo in un compost, il materiale veniva digerito dai microbi. All’UCSD spiegano che «Il primo strumento era un respirometro. Quando i microbi scompongono il materiale del compost, rilasciano anidride carbonica (CO2), che il respirometro misura. Questi risultati sono stati confrontati con la degradazione della cellulosa, che è considerata lo standard industriale della biodegradabilità al 100%. Il polimero di origine vegetale corrispondeva alla cellulosa quasi al 100%».

Poi il team ha utilizzato la flottazione dell’acqua e spiega ancora: «Poiché la plastica non è solubile in acqua e galleggia, può essere facilmente rimossa dalla superficie dell’acqua. A intervalli di 90 e 200 giorni, quasi il 100% delle microplastiche a base di petrolio veniva recuperato, il che significa che nessuna di esse era biodegradata. D’altra parte, dopo 90 giorni, solo il 32% delle microplastiche a base di alghe è stato recuperato, dimostrando che più di due terzi di esse erano biodegradate. Dopo 200 giorni, solo il 3% è stato recuperato, indicando che il 97% era scomparso».

L’ultima misurazione ha riguardato l’analisi chimica tramite gascromatografia/spettrometria di massa (GCMS), che ha rilevato la presenza dei monomeri utilizzati per produrre la plastica, indicando che «Il polimero si stava scindendo nei suoi materiali vegetali di partenza». La microscopia elettronica a scansione ha inoltre mostrato come i microrganismi colonizzano le microplastiche biodegradabili durante il compostaggio.

Stephen Mayfield, coautore dello studio professore alla School of Biological Sciences UCSD e co-fondatore di Algenesis , fa notare che «Questo materiale è la prima plastica che ha dimostrato di non creare microplastiche mentre la usiamo. Questa è molto più di una semplice soluzione sostenibile per il ciclo di vita del prodotto finale e per le nostre discariche strapoiene. Questa è in realtà plastica che non ci farà ammalare».

Ma è lo stesso team di UCSD- Algenesis ad avvertire che «Creare un’alternativa ecologica alla plastica a base di petrolio è solo una parte della lunga strada verso la sostenibilità. La sfida attuale è riuscire a utilizzare il nuovo materiale su apparecchiature di produzione preesistenti originariamente costruite per la plastica tradizionale». E in questo Algenesis sta facendo progressi: ha collaborato con diverse imprese per realizzare prodotti che utilizzano i polimeri di origine vegetale sviluppati all’UCSD, tra i quali il Trelleborg per l’utilizzo in tessuti rivestiti e il RhinoShield per la produzione di custodie per telefoni cellulari. Burkart conclude: «Quando abbiamo iniziato questo lavoro, ci è stato detto che era impossibile. Ora vediamo una realtà diversa. C’è molto lavoro da fare, ma vogliamo dare speranza alle persone. E’ possibile».

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