Il mito di Er
Il filosofo Platone, sul tema della libertà cerca nel mito (mùthos) un soccorso alla ragione, cosa consueta per lui. Egli ricorre al mito di Er (Repubblica X) un soldato della Panfilia, morto in battaglia. Dopo 12 giorni Er torna in vita e racconta quel che ha visto negli Inferi, il luogo di mezzo. Qui a suo dire, si incontrano morti recenti e morti che, dopo aver scontato il castigo, o per aver ottenuto un premio, ritornano in vita dopo mille anni. Essi così si incamminano e dopo quattro giorni arrivano in vista di un arcobaleno da cui pende un fuso, il fuso della dea Ananke, la necessità. A questo punto devono scegliere il destino della prossima vita e tutto dipende dalle tre Moire tra suoni e colori che si spandono d’intorno tramite le Sirene. La prima, Cloto fila e canta il presente, la seconda, Lachesi, canta il passato e la terza, Atropo, “colei che non può essere dissuasa”, canta il futuro, e recide il filo del fuso della dea Ananke, la loro madre.
Un araldo presenta le anime disposte in fila a Lachesi che si dispone a sorteggiare il modello di vita, fra un gran numero di sorti posti sulle sue ginocchia. Non manca di avvertire che ognuno sarebbe stato responsabile della sua scelta, senza possibilità di favori.
Chi sbaglia incolpa la sorte o la necessità e non si rende conto della sua responsabilità.
“La virtù (areté) è senza padrone (adéspoton) e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o ha spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il dio non è responsabile” (617d).
Nella mitologia greca, il dàimon è la creatura divina che presiede alla sorte di ciascuno. Ma in questo racconto, quello che siamo – dichiara l’araldo che parla a nome di una delle Moire – dipende dalle scelte che facciamo. Platone sorride di quanto oggi si dice drammaticamente “identità”: essere uomo, donna, aquila, guerriero o artigiano è una situazione temporanea e contingente, rispetto all’orizzonte di ciò che è sempre su cui si misura l’amore per il sapere(4).
Ma le Moire cosa rappresentano? Il fuso su cui si avvolge il filo della vita simboleggia il tempo che sappiamo legato a Saturno, il dio della Morte.
É significativo che le tre Moire agiscono spesso contro la volontà di Zeus, il dio dell’Olimpo dei greci. Ma tutti gli dei sono tenuti all’obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantisce l’ordine dell’universo, al quale anche gli dei sono soggetti. Dunque resta di capire che, le tre Moire, rientrano nella memoria delle cose che sono passate realmente nella vita. E sono loro la solidale memoria del passato e del presente. Ma occorre capire che nella visione delle cartografie di Tipoldo, figg, 4 e 5 e poi di Pordenone della fig. 7 è come vedere degli scenari della suddetta memoria delle tre moire tramite una mia singolare veggenza.
Nel 1999 entrai in relazione con il dott. Mauro Bigagli, il coordinatore del mensile Energie di “Studi, Ricerca e Scienza dello Spirito” di Cosentino. Mi parve un erudito personaggio carismatico che mi scrisse una lettera dopo aver esaminato alcune mie cartografie mappali. Non la riporto per intero ma solo per la parte che riguarda le crittografie mappali in questione che è questa:
«…La sua sensibilità è tale che non può essere compreso facilmente dall’Uomo di oggi. Lei nelle sue cartografie vede una realtà astrale, appartenente ad una dimensione eterica che nessuno può concepire; questa è la verità. Ciò che dice è vero ma appartiene alla realtà dell’energia astrale. Ho approfondito molto le sue cartografie e questa è la mia conclusione. La sua sensibilità lo eleva e vede cose che altri non vedono. Lei ha una trance lucida…».
Le Moire nella cartografia di Pordenone di Via Treviso
Non è tanto difficile individuare le corrispondenze delle Moire nelle tre presenze sulla grande barca della cartografia di Pordenone in studio, una volta capito le loro funzioni secondo il mito.
– Cloto fila e canta il presente e corrisponde alla misteriosa persona col cappuccio che controlla l’impronta della prova della durezza della pietra, cioè della scarpa di pietra nella mano del Rebis adagiato sul guscio dischiuso dell’uovo.
– Lachesi, canta il passato e corrisponde all’uomo forzuto che trattiene il bordo della barca a forma simile ad un arco da tenere in tensione, l’arco della vita.
– Infine Atropo, “colei che non può essere dissuasa”, canta il futuro, ed è il cavallo che con lo zoccolo recide il filo della vita rilasciando l’impronta sulla pietra in analisi, ossia la persona soggetta al giudizio finale. Nel nostro caso sarà la prova della durezza della sua “pietra” a stabilire il giudizio di Atropo.
Entrando nei particolari vediamo che per la donna che impersona Cloto della crittografia in esame, effettivamente vista più da vicino, mostra molto bene la somiglianza con la nota prova del controllo dell’impronta sui metalli in esame se si guarda la fig. 8. Notare le tre stelle sulla manica del braccio che sono stato portato a segnare, come a indicare un militare col grado di ufficiale superiore.
– La durezza di un materiale è definita come la pressione di equilibrio che la superficie del solido riesce a sopportare a seguito di una sollecitazione esercitata da un oggetto più o meno appuntito detto indentatore.
– La geometria che caratterizza l’indentatore determina il particolare tipo di prova di indentazione.
– durante la prova l’indentatore penetra nel materiale sotto l’azione di un carico essendo la velocità controllata.
– La forma e la profondità dell’impronta vengono misurate e si risale alla valutazione della durezza.
La forza applicata può variare da 10 a 50.000 N e bisogna specificarla.
Nel caso in esame è adottata la prova delle Durezza Vickers.
Essa viene calcolata in base all’area dell’impronta lasciata dal penetratore che in questo caso ha la forma piramidale a base quadrata. Con il microscopio a lente graduata vengono misurate le diagonali dell’impronta d 1 e d 2 dai cui valori si ricava la media.
Ora è davvero sorprendente la corrispondenza così fedele della sola mappa di Pordenone della fig. 6 con l’impronta delle figg. 8 e 9 oltre alla corrispondenza del microscopio per l’esame dell’impronta con la lente della stessa fig. 9, come l’ho immaginata in termini crittografici.
E passiamo alla prova del cavallo col suo zoccolo nell’atto di colpire il terreno, in stretta relazione con il giudizio insindacabile di Atropo, “colei che non può essere dissuasa”, e qui l’impronta del suddetto zoccolo non è la stessa precedente a forma piramidale, bensì sferica. Infatti andiamo a guardare il particolare corrispondente della mappa ingrandita con la fig. 10.
Per questo caso è la durezza Brinell, ideata da J. A. Brinell nel 1900, la prima scala di durezza standardizzata, a risultare applicata come si si può vedere dalla fig. 11.
Il penetratore (fig. 12) ha la forma sferica di diametro D ed è costruito normalmente in carburo sinterizzato; esso viene premuto sulla superficie del provino con un certo carico P. Detto d il diametro dell’impronta, la durezza è sostanzialmente definita come il rapporto tra il carico e la superficie dell’impronta.
Guardando ora la fig. 11 non solo vediamo la prova di penetrazione abbastanza fedele alla realtà, ma non tanto perché è troppo profonda rispetto alla norma. Spiegherò fra poco cosa può indicare. Intanto è altrettanto fedele la figura simulata che si vede sopra che rappresenta il durometro così come quelli che si usano in pratica (fig. 13).
La spiegazione logica dell’eccessiva penetrazione non può che risiedere nel fatto che il materiale è tenero e traducendo la cosa ai fatti alchemici, correlabili alla crittografia di Pordenone di Via Trieste, è ben evidente che si tratta di una sacrificio. Infatti il sacrificato non è altro che il Rebis filosofale dell’uovo retto dalla mano sinistra del “cameriere-servitore”, l’alchimista, che con l’altra regge il vassoio-barca. Questo sacrificio si può correlare al sacrificio di Isacco di un episodio del libro biblico della Genesi 22,1-18. Dio, per mettere alla prova la fede di Abramo, gli ordina di sacrificare il proprio figlio Isacco. Abramo si reca senza esitazioni sul monte Moriah e mentre sta per compiere diligentemente il sacrificio, impugnando già il coltello, un angelo del Signore scende a bloccarlo e gli mostra un ariete da immolare come sacrificio sostitutivo.
La scena, interpretata come prefigurazione del sacrificio di Cristo, è uno degli episodi salienti del Pentateuco.
Alchimia della parabola della cartografia di
Pordenone correlata alla piramide di Cheope
Abbiamo visto com’è stato provvidenziale la scienza della prova della durezza del campione di “terra” alchemica per farla evolvere secondo il processo delle tre opere, la Nigredo, l’Albedo e la Rubedo per giungere alla Pietra filosofale. Ma c’è di più con l’intervento della matematica attraverso la geometria della parabola al posto del vassoio-barca retto dal cameriere-servitore, l’alchimista. Nella fig.7 al suo posto è da vedersi la parabola segnata dai punti estremi A e B e fondo D con il fuoco in F. Vediamo inoltre la linea di azione dell’alchimista- cameriere, segnato con X, in accordo con il controllore Y, e dopo una riflessione sul fondo parabola giunge al punto F, il suo fuoco geometrico. Ed è in questo punto che in alchimia può considerarsi lo svolgersi dell’attività calorica dell’Atanor. Una sorta di Golgota inevitabile e necessario per il buon esito del processo della depurazione della Materia prima, la Latomia Italia Turrita perchè diventi la Gerusalemme Celeste. É un modo di dire simbolico perché al di sopra dell’uomo in evoluzione, non si può trascurare il fatto che è il loro insieme che deve trasformarsi evolutivamente. Ed ecco che se da un lato contano le parabole evangeliche rivolte a questo fine, non è da maeno la parabola geometrica.
Gli antichi egizi, eccezionali sacerdoti che si avvalevano dell’ermetismo non sapevano probabilmente del potere della parabola così come deve essere avvenuto nel punto focale F del raggio mentale dell’alchimista-cameriere della fig 6, ma intanto eressero le loro piramidi a Giza e una di esse, la più famosa, quella di Cheope ha molto da raccontare in proposito, parliamone. A parlarne è un mio articolo pubblicato da Altro Giornale org a questo link.
Dunque se la piramide è una ipotetica “macchina” – mettiamo alchemica – deve pur rientrare in una concezione che possa essere formulata in termini matematici e naturalmente essere intravista con l’ausilio di una ipotetica geometria. Oltre a tutto ciò non si può trascurare il fatto che la piramide non è stata mai posta in relazione con con una barca trovata in una fossa sul lato sud di essa dagli archeologi nel 1954. Traducendo ora questa simbolica barca solare in una ideale concezione geometrica, relativa ad un’altrettanta ipotesi di natura metafisica, potremmo immaginare che il complesso piramidale siffatto cheopiano, poggia su una base a mo’ di una sorta di barca che viaggia idealmente nel tempo. A ragione di ciò, dunque, non scandalizza intravedere il complesso piramidale unito ad una parabola geometrica sottostante, così come è stata considerata dal punto di vista della geometria della fig. 14 con la quale immagino delle correlazioni funzionali con le due Camere del Re e della Regina al suo interno. A sostegno di questa ipotesi, che in effetti non ha riscontri reali in sede della base strutturale, è la presenza in loco di una barca ritenuta del faraone Cheope che, ovviamente costituisce il simbolo per la supposta barca metafisica per viaggiare dopo la sua morte verso la rinascita corporea, secondo la religione del suo tempo, accennata in precedenza. Di qui, in un lampo ecco disporsi le cose in merito, associate alla ipotetica energia circolante nella piramide (su cui molti studiosi sono concordi), e tutto per merito di una prodigiosa parabola, reale configurazione geometrica della barca osiderea. Ma c’è di più sull’apporto di questa parabola, considerato che la piramide-macchina è “solare” e deve in qualche modo captare le energie solari del dio Ra e convertirle al suo centro focale, in sede della Camera della Regina, naturalmente la dea Iside. A questo è la matematica a farsi strada con un ragionamento sviluppato nei particolari nel suddetto articolo pubblicato nel sito di Altro Giornale.org.
Ancora la parabola in azione nella cartografia esoterica di Pordenone Via Treviso, per far luce sull’antimateria
Ricordiamo da dove si è iniziati, cioè dalla questione sollevata dal dott. Gian Piero Abbate che per essa ha fatto capo ad una impressionante “Matta” come se fosse uno dei tre «guai» dell’Apocalisse di Giovanni. Ripeto ciò che ha detto introducendo la “Matta” in questione:
«C’è un evento inaspettato, non previsto dalle teorie, che ribalta tutte le nostre credenze: la comparsa dell’antimateria. E anche nelle canalizzazioni di Kryon si trova l’annuncio che la ‘matta’, o il ‘jolly’, usando il linguaggio delle carte, sarebbe uscita.
La matta è un imprevisto, una carta che può cambiare tutta la dinamica del gioco, ribaltare le sorti, e penso che in tanti si siano chiesti cosa possa essere questo evento così imprevedibile.»
Ma il dottore non ha torto nel ricorrere all’antimateria per intravedervi una risposta imprevedibile, un evento, e sappiamo a che prezzo, un evento prevedibile che si realizza nel punto focale del vassoio-barca-parabola, l’Atanor alchemico. Ed ora la cartografia della fig. 6 progredisce mostrandoci una nuova realtà con la fig. 14.
Cosa vediamo di nuovo rispetto alla cartografia analoga precedente della fig 6? Da che la “donna metà bestia” (a causa della sua testa di pappagallo) sembrava fuori causa rispetto alle riscontrate attività del resto della cartografia, ora interviene attraverso i segni geometrici che io ho posto con linee blu che dipartono dal ferro di cavallo che ha sul petto. Abbiamo visto l’analogo ferro dello zoccolo del cavallo pigiare forte sul terreno nel punto F, il fuoco della parabola e così causare (per vie astrali) un evento paragonabile a quello del Golgota della crocifissione di Gesù Cristo. Ecco l’evento inatteso per la comparsa della “Matta” argomentata dallo stesso Gian Piero Abbate, e a buon ragione la presunta attività astrale argomentata da me può essere intravista nell’ “antimateria” a lui congeniale. Il rapporto fra i due termini è calzante.
Riprendendo l’azione dell’attività della “donna metà bestia”, ecco che si combinano con l’attività del “cameriere-servitore”, l’alchimista, già notata in precedenza e segnata con le linee color rosso. Di qui le due direzioni delle linee blu e rosso, che confluiscono nel fuoco F della parabola, generano una forza risultante, la cui linea si dirige nel punto G del braccio dell’alchimista. In seguito a questa spinta il braccio si solleva sottoponendo l’uovo col bambino, il Rebis filosofico (il Reuccio direbbe il noto alchimista Fulcanelli) con la scarpa Italia, verso la bocca della “donna metà bestia”. Lo scopo è di collaudare la durezza della terra di cui è composta la scarpa, cosa che è stata fatta attraverso le tre Moire che sappiamo. Occorre pensare che il Tutto che anima la cartografia è una macchina astrale che opera in perfetta armonia: il più è bilanciato dal meno per confermare ciò che ha detto il dott. Gian Piero Abbate, cioè che l’antimateria eguaglia la materia.
Il “porco metà uomo” di Nostradamus sembra far luce sulla “donna metà bestia” della carta di Pordenone
Colpisce l’attenzione che la “donna metà bestia” della cartografia di Pordenone si identifica al “porco metà uomo”, più volte nominato nelle Centurie del profeta Nostradamus.
Cito di seguito tre quartine tratte dalle sue Centurie (tradotte dal francese dallo scrittore Renucio Boscolo):
N. I-64
« Di notte il Sole penseranno d’aver visto
Quando il porco metà uomo si vedrà,
Assordante canto, battaglia in Cielo confinato, iniziata,
E animali spaventosi la gente parlare udirà. »
N. III-34
« Quando il mancare del Sole allora sarà
Sopra il pieno giorno, il mostro sarà visto (« il porco metà uomo »)
Tutto diversamente lo si interpreterà
Per costosità non ha guardia, per nulla non avrà provvisto. »
N. III-5
« Durante la lunga mancanza di due grandi Luminari
Che sopraggiungerà entro Aprile e marzo
O qual rarità! Ma i due grandi debonnari (il Rebis « il porco metà uomo »)
Per terra e mare soccorreranno tutte le parti.»
Ma nessuna meraviglia perché il tre casi del “porco metà uomo”, e quindi anche della “donna metà bestia”, trovano modo di identificarsi nell’Apocalisse di Giovanni. Vediamo come.
1. Il “porco metà uomo”, della quartina N. I-64, va intravista nella bestia che viene dal mare (Ap 13,1:3):
«E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e il suo grande potere. Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita.»
2. Il “porco metà uomo”, della quartina N. III-34, va vista nella bestia di terra (Ap 13,11:12):
«Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita.»
3. Il “porco metà uomo” o la “donna metà bestia”, della quartina N. III-5, non sono più definiti così da Nostradamus, ma uniti come due “debonnari”, la cui parola deriva dall’inglese debonair e che significa affabile, cortese. Di qui si fa un gran passo nell’Apocalisse per giungere alla magnificenza della Gerusalemme celeste (Ap 21,9:11) e il “porco metà uomo” e la “donna metà bestia” è acqua passata:
«Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: ‘Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello’. L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.»
Adesso si comprende in pieno la possibile relazione dell’Italia Turrita che poi nel futuro riguarderà la Gerusalemme celeste della stessa natura terrena, ma diversa (Ap 21,1:4):
<Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
«Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il “Dio-con-loro”.
E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate».>
L’Italia Turrita come la “donna metà bestia” in Alchimia
Sia l’uomo che la donna metà bestia al loro esordio dell’opera alchemica, cioè nella fase di catarsi, di un viaggio alchemico è racchiuso nella parola VITRIOL ed è l’acronimo della frase alchemica:
“Visita Interiora Terrae (et) Rectificando Invenies Occultum Lapidem”
che tradotto significa:
l’uomo che la donna metà bestia al loro esordio dell’opera alchemica, cioè nella fase di catarsi, di un viaggio alchemico è racchiuso nella parola VITRIOL ed è l’acronimo della frase alchemica:
“Visita Interiora Terrae (et) Rectificando Invenies Occultum Lapidem”
che tradotto significa:
“Visita l’interno della Terra e rettificando troverai la pietra nascosta”
Questa frase dall’aspetto misterioso ed affascinante, che lascia vagare la fantasia su improbabili avventure alla ricerca della Pietra Filosofale, ha invece un aspetto molto più terreno e concreto. Scomponiamola nelle due parti principali:
“Visita l’interno della Terra”
Ovvero ricerca te stesso nel profondo fino ad arrivare allo stato più intimo e sottile, consapevole che arrivare così in profondità e così “in basso” può significare venire a conoscenza del lato più oscuro e recondito di ognuno di noi.
Questo è il primo passo di chi, nel silenzio e nella meditazione, lavora su sè stesso entrando a contatto con il proprio IO più nascosto, alla ricerca del proprio sé.
La discesa nel profondo – come nelle viscere della Terra – alla ricerca delle nostre impurità e i nostri vizi, è la fase più lunga, faticosa ed importante del processo, in quanto necessita la distruzione (figurata) di noi stessi per rinascere e passare alla fase successiva.
“Rettificando troverai la pietra nascosta”
Sono le due fasi successive del viaggio: correggendoti ed accettandoti arriverai alla conoscenza del Tutto e ti eleverai a “pietra preziosa”, quella pietra che è in ognuno di noi. Essa viene occultata da tutto ciò che la società e il buon costume ci appioppano addosso fin dalla nascita per nascondere il vero potenziale di ogni singolo individuo.
La Pietra è il Cristo interiore, edificato a partire dalla prima materia del corpo astrale, eterico e fisico per mezzo dell’Io. In questa versione si specifica l’uso della Pietra Filosofale, che è di guarigione, così come Cristo guarì gli infermi.
La guarigione va intesa come reintegrazione dell’individuo nel divino ma mantenendo la sua individualità.
Ma adesso viene il lato “accademico” perché ci si trova subito al cospetto di un “istruttore” che dapprima appare amabile ma da diffidare, egli è il peggiore delle fiere perché è capace di inganni atroci. Il suo nome drago dice tutto.
L’illustr. 15 mostra il glifo del Rebis filosofale di Basilio Valentino che fa luce sul processo alchemico che ha il suo principio e fine con la Materia Prima simbolicamente rappresentata da un dragone alato sulla sfera terrestre, anch’essa alata, naturamente. È stato tratto dal libro di Basilio Valentino dal titolo AZOTH, e questa di seguito è la descrizione che viene fatta sul suo conto a pag. 96(5):
Io sono il Drago velenoso, presente dappertutto, che può essere acquistato ad un prezzo irrisorio. La «cosa» su cui riposo, e che su di me riposa, sarà trovata in me da chi saprà frugarmi come si conviene. La mia Acqua ed il mio Fuoco distruggono e compongono. Estrarrai dal mio corpo il Leone Verde e quello Rosso; se non mi conosci perfettamente, il mio Fuoco ti distruggerà i cinque sensi. […]
Io sono l’Uovo della Natura, che soltanto i Sapienti devoti e modesti conoscono, ed essi fanno nascere da me il microcosmo. […]
I Filosofi mi chiamano Mercurio, mio sposo è l’Oro (filosofico); sono l’antico Drago presente in ogni parte della terra; sono padre e madre, giovane e vecchio, forte e gracile, morte e resurrezione, visibile ed invisibile, duro e molle, discendente nella terra e da scendente al Cielo, grandissimo e piccolissimo, leggerissimo e pesantissimo; in me l’ordine della Natura è spesso invertito incolore, numero, peso e misura; contengo la Luce naturale, sono oscuro e chiaro, vengo dal Cielo e dalla terra, conosciuto e considerato poco o nulla. Tutti i colori in me risplendono, e cosi tutti i metalli attraverso i raggi del sole. Sono il rubino solare, una terra nobilissima e chiarificata, per cui mezzo tu potrai trasmutare in oro il rame, il ferro, lo stagno ed il piombo.
Adesso non meraviglia di capire che il drago velenoso appena autodescritto è davvero l’antimateria degli astrofisici.
Siamo giunti appena a sfiorare i margini della misteriosa “antimateria” di natura astrale, di cui parla il dott. Gian Piero Abbate, una sorta di “Matta” che tanto ci porta ad una rappresentazione degli antichi etruschi. La fig. 22 mostra un particolare dell’affresco della Quadriga infernale di Sarteano (IV sec.a.C): un demone, Charun-Caronte, guida un carro infernale. Come a rivedere la coppia dell’alchimista e della donna mezzo bestia della cartografia di Pordenone di Via Treviso. Ma per il mistero che vi è celato è solo la “conoscenza” che ci permette di comprendere in pieno, senza impressionarci, tutto il processo che vi sta dietro. E lo abbiamo potuto capire attraverso la visione cartografica di mappe terrestri, una sorta di crittografie, che con l’aiuto della geometria della parabola si è capito ogni cosa, ma non senza il confronto con l’Alchimia.
Il racconto del dott. Gian Piero Abbate del suo grave incidente del 19 settembre 2014 in una e-mail rivolta a me
“Tutti i nodi vengono al pettine”, e se il mistero sembra celare con i suoi velami una possibile relazione del mondo dei fatti della materia con quelli del mondo delle cause, e per ultimo il mondo astrale, ecco che con l’esplicarsi delle visioni cartografiche mio tramite, qualcosa si dirada per mostrare inequivocabili “dettagli” che fanno da testimoni. Questo per dire che il Mistero non è più tale, la tela del ragno si è lacerata mostrando ciò che nasconde. Cosa c’è dietro il mistero del punto focale F della parabola delle due cartografie, figg. 7 e 15? A cosa si correla l’azione dello zoccolo del cavallo sul terreno per far scaturire una forza energetica attivata dalla parabola-barca?
Ce lo racconta chi è stato coinvolto in un incidente d’auto avvenuto proprio nello stesso punto focale F della nota parabola. Non solo, ma è ancora lui a far capire che il controllore della fig. 8 abita nel punto segnat dalle tre stelle, cioè in Via Pont de le Cassie 9/1. Ed ecco l’e-mail che mi ha inviato il dott. Gian Piero Abbate dopo aver letto il presente articolo. Premetto che l’articolo era corredato di un resoconto giornalistico dell’incidente in questione.
«Caro Gaetano, […]
Ti confermo che ho abitato per alcuni anni in via Pont de le Cassie 9/1, e abitavo lì all’epoca dell’incidente.
Però il resoconto giornalistico è totalmente falso, e inoltre devi sapere delle cose che ho raccontato solo ai genitori di quel ragazzo, in presenza del loro parroco. […]
Partiamo dall’incidente. Quella sera avevo un invito a cena, ma dovevo aspettare la mia compagna, ed ero in notevole anticipo.
Quindi arrivato a casa, non avendo nulla da fare e ricordandomi che avevo poco gasolio, sono andato al solito distributore a fare il pieno. Fatto questo sono ripartito e mi sono fermato all’uscita perché c’era traffico. Tanto non avevo fretta. A un certo punto alla mia sinistra non c’era più nessuno, mentre da destra arrivava un camion, ma molto lontano, quindi sono partito, voltandomi di nuovo verso sinistra. E in quel momento ho visto la moto che arrivava da lontano, ma a tutta velocità. Quindi ho frenato d’istinto. Se il ragazzo non avesse frenato non sarebbe successo niente, aveva tutto lo spazio per passare, ma purtroppo d’istinto ha inchiodato, perdendo il controllo della moto e percorrendo oltre 150 metri aggrappato al manubrio, che alla fine ha lasciato. La moto è arrivata a urtare contro il muso dell’auto, ed è rimbalzata indietro. Lui non è mai arrivato a toccare la mia auto, tantomeno c’è finito sotto, ma ciò che lo ha ucciso è stato l’impatto con una manopola del suo sterzo, che gli ha provocato la rottura dello sterno e varie emorragie interne.
Quando l’ho visto disteso per terra sono prontamente balzato giù, anche perché tentava di alzarsi, e so che in queste circostanze invece si deve restare fermi. Così gli ho preso una mano. Per caso, ma il caso non esiste, in quel momento passava a piedi un infermiere, che si è messo dall’altra parte, tenendogli stretta l’altra mano. Entrambi abbiamo iniziato a parlargli, con le solite domande: Come ti chiami? Riesci a sentirci? Dove ti fa male?. Però immediatamente mi è arrivata una voce che mi diceva: “Per lui non c’è niente da fare”. A questa voce mi sono ribellato, dicendo “No, è un bel ragazzo, giovane, perché farlo morire?” E la voce mi ha risposto: “Gian Piero non guardare alle apparenze, questo è un Angelo, che ho mandato in missione, perché tutto questo accadesse.” A questo punto ho iniziato a dire al ragazzo: “Non ti preoccupare. Non è successo niente. Domani ti riposi e poi riprenderai gli allenamenti… la tua squadra ha bisogno di te.”
L’infermiere mi guardava stupito e mi chiese: “Ma lei lo conosce?” Risposi: “No, mai visto prima”.
Alla fine, arrivò la Polizia e dopo l’ambulanza. I poliziotti, molto gentilmente, presero i miei dati, ma dal fatto che gl’infermieri continuavano a non spostare il ragazzo si capì che la situazione era seria. Il poliziotto più anziano, dopo aver visto che l’unico danno all’auto era un graffio, mi disse: “Senta, in tanti anni di carriera non ho mai vissuto una situazione simile. Non capisco come abbia potuto farsi male”.
A questo punto, partita l’ambulanza, sono tornato a casa, ovviamente molto scosso. Non riuscivo a dormire, e verso le 2 di notte ho sentito che era spirato. La mattina dopo mi ha chiamato un poliziotto dicendomi: ”Sig. Abbate, ho una brutta notizia per lei” Ma ho risposto “La notizia la conosco già”. Uscito di casa ho visto le testate dei giornali e ho scoperto che effettivamente quel ragazzo era un giocatore di calcio, cosa che non potevo sapere, anche perché all’atto dell’incidente non aveva nessuna tuta, ma blue-jeans e maglietta e un giaccone di pelle.
Ora sai come sono andate le cose.
Dopo di che in Tribunale mi è stato riconosciuto un concorso di colpa, al 50%, visto le immagini della telecamera di sorveglianza del distributore.».
E qui si esaurisce la e-mail del dott. Gian Piero Abbate tanto da confermare, come già fatto capire, la relazione dei fatti appena raccontati, con il punto focale della cartografia figure 6 e 14. Di conseguenza il controllore dell’impronta piramidale della fig. 7 risulterebbe essere, proprio quello del dott. Gian Piero Abbate, colui che è stato coinvolto nell’incidente con la sua auto, appena raccontato e che abitava in quel tempo in via Pont de la cassie 9/1.
Riferimenti:
1-fisicaquantistica.it
2-Ibidem 1
3- Siracusa Monumenti, su galleriaroma.it. URL consultato il 28 dicembre 2006 (archiviato dall’url originale il 29 novembre 2011).
4-btfp.sp.unipi.it
5-Basilio Valentino. AZOTH, ovvero L’Occulta Opera Aurea dei Filosofi. Pag. 96. Ediz. Mediterranee