Un esperimento che mostra come delle gocce d’olio possono muoversi in un fluido grazie alle onde che esse generano ha portato i fisici a riconsiderare l’idea che qualcosa di simile può permettere alle particelle di comportarsi come delle vere e proprie onde.
Lo scienziato Owen Maroney dell’Università di Oxford è preoccupato dal fatto che i fisici abbiano trascorso la miglior parte del secolo scorso come se fossero stati raggirati da una sorta di “truffa”. “Da allora, nei primi anni del ‘900 i teorici hanno inventato la teoria dei quanti”, spiega Maroney. “I fisici hanno iniziato a descrivere le stranezze della teoria, come essa permette, ad esempio, alle particelle e agli atomi di muoversi in tante direzioni nello stesso tempo o di ruotare nel senso orario o antiorario simultaneamente. Ma il descrivere tutto questo non rappresenta una prova. Se diciamo al pubblico che la teoria dei quanti è alquanto strana, abbiamo il dovere di verificare che è davvero così. Altrimenti, non stiamo facendo scienza perché parliamo di cose ‘buffe’ che vengono rappresentate semplicemente su una lavagna”. È questo sentimento che ha portato Maroney e altri a sviluppare una serie di esperimenti per svelare l’essenza della cosiddetta funzione d’onda, quella misteriosa entità che giace nel cuore della della teoria dei quanti. In poche parole, la funzione d’onda è un oggetto matematico che i fisici denotano con la lettera greca “Ψ” (psi), una delle cose “buffe” secondo Maroney, che descrive il comportamento quantistico di una particella. In funzione dell’esperimento, la funzione d’onda permette di calcolare la probabilità di osservare, ad esempio, un elettrone in una particolare posizione, o la probabilità che il suo spin, cioè la sua rotazione intrinseca, sia orientato verso l’alto o verso il basso. Tuttavia, la matematica non fa luce su ciò che rappresenta davvero la funzione d’onda. È qualcosa di fisico o semplicemente è una sorta di strumento matematico a cui si aggrappa l’ignoranza di un osservatore che vuole capire come è fatto il mondo? I test che vengono realizzati per rispondere a questa domanda sono estremamente sottili e devono ancora fornire una risposta definitiva. Ma i ricercatori sono ottimisti sul fatto che siamo vicini ad una soluzione. Può una particella essere veramente presente in molti posti allo stesso tempo? L’Universo sta continuamente suddividendosi in tanti mondi paralleli, ognuno dei quali contiene delle versioni alternative di noi stessi? In definitiva, esiste una realtà oggettiva? “Queste sono quelle domande che a un certo punto ciascuno di noi si è domandato”, dice Alessandro Fedrizzi dell’Università del Queensland a Brisbane, in Australia.
“Che cos’è realmente reale?” Il dibattito sulla natura della realtà risale ai primi tempi della teoria dei quanti quando i fisici scoprirono che le particelle e le onde sono “due lati della stessa moneta”. Un esempio classico è l’esperimento della doppia fenditura dove singoli elettroni vengono sparati contro una barriera dotata di due fori: l’elettrone sembra passare attraverso le due slitte esattamente allo stesso modo con cui passa un’onda di luce e crea una figura d’interferenza su uno schermo posto ad una certa distanza (vedasi il concetto del dualismo onda-particella).
Nel 1926, il fisico austriaco Erwin Schrödinger introdusse la funzione d’onda per descrivere tale comportamento e derivò un’equazione, detta equazione di Schrödinger, che permise di calcolare questo comportamento in qualsiasi situazione.
Ma né lui né altri fisici furono in grado di spiegare la natura di questa funzione d’onda.
Dal punto vista pratico, però, non importa conoscere la vera essenza della funzione d’onda. Il testo Copenhagen interpretation of quantum theory, scritto sostanzialmente negli anni ’20 dai fisici Niels Bohr e Werner Heisenberg, tratta la funzione d’onda come niente più che uno strumento matematico per mezzo del quale si possono fare tutta una serie di previsioni dalle osservazioni e mette in guardia gli scienziati a non preoccuparsi più di quale aspetto possa avere in essenza la realtà. “Non si può biasimare la maggior parte dei fisici per aver seguito questa sorta di monito ‘zitto e calcola’ dato che ha portato a enormi progressi nel campo della fisica nucleare, della fisica atomica, della fisica dello stato solido e della fisica delle particelle”, dice Jean Bricmont, un fisico che si occupa di statistica alla Catholic University of Louvain nel Belgio. “Perciò, la gente dice di non preoccuparsi tanto delle grandi domande della scienza”. Ma alcuni fisici si sono preoccupati di questo. Infatti, a partire dagli anni ’30, Albert Einstein aveva rifiutato l’interpretazione di Copenhagen, non tanto meno per il fatto che permetteva a due particelle di correlare, in qualche modo, le loro funzioni d’onda (entanglement), secondo cui le misure effettuate su una particella avrebbero modificato istantaneamente lo stato fisico dell’altra anche se esse si trovavano ad una distanza enorme. Piuttosto che accettare questa “azione fantasma a distanza”, Einstein preferì credere che le funzioni d’onda delle particelle fossero in qualche modo incomplete. Egli suggerì che le particelle possedevano delle “variabili nascoste” che influenzano il risultato della misura che le teorie quantistiche non sono in grado di determinare. Da allora, gli esperimenti hanno mostrato che questa “azione fantasma a distanza” è davvero reale, il che esclude la particolare versione delle variabili nascoste ipotizzate da Einstein. Ma ciò non aveva bloccato i fisici dall’introdurre altre idee. Queste ulteriori interpretazioni si possono suddividere in due grandi categorie. Ci sono quelle che seguono il pensiero di Einstein secondo il quale la funzione d’onda rappresenta la nostra “ignoranza”, ciò che i filosofi chiamano “modelli psi-epistemici”. Gli altri vedono la funzione d’onda come un’entità reale, in questo caso si parla di “modelli psi-ontici”.
Per apprezzare la differenza, consideriamo un esperimento mentale che Schrödinger descrisse nel 1935 in una lettera ad Einstein. Immaginiamo che un gatto sia chiuso in una cassa d’acciaio che contiene un campione di materiale radioattivo con una probabilità del 50% di decadere entro un’ora, assieme ad un apparato che avvelenerà il gatto se rivela questo decadimento. “Dato che il decadimento radioattivo è un evento quantistico”, scrive Schrödinger, “le regole della teoria dei quanti affermano che, alla fine dell’ora, la funzione d’onda dello stato interno della cassa deve essere data dalla combinazione del gatto vivo e del gatto morto”. “Parlando in maniera grossolana”, dice Fedrizzi, “in un modello psi-epistemico il gatto chiuso nella cassa sarà o vivo oppure morto, ma non lo sappiamo perché la cassa è chiusa”. Tuttavia, la maggior parte dei “modelli psi-ontici” segue l’interpretazione di Copenhagen: fino a quando un osservatore non avrà aperto la cassa e guarderà dentro, il gatto sarà sia vivo che morto. Questo, però, è il punto dove il dibattito si accende. Quale delle tante interpretazioni della teoria quantistica è corretta? È una domanda difficile a cui rispondere sperimentalmente perché le differenze tra i modelli sono sottili: essi devono predire essenzialmente gli stessi fenomeni quantistici così come l’interpretazione di Copenhagen, che ha avuto molto successo. Secondo Andrew White, un fisico dell’Università del Queensland, in oltre 20 anni di carriera trascorsi nel campo delle tecnologie quantistiche “il problema ricorda una grande montagna liscia senza alcun appiglio, in nessun modo è possibile aggrapparsi”. Tutto questo cambiò nel 2011, con la pubblicazione di un teorema sulle misure quantistiche che sembrava escludere l’idea di quei modelli che consideravano la funzione d’onda frutto della nostra ignoranza. Analizzandolo più da vicino, si scoprì che il teorema ispirò i fisici a pensare concretamente a come stabilire il dibattito scientifico verificando sperimentalmente la natura della funzione d’onda. Maroney aveva già predisposto un esperimento che avrebbe in principio funzionato, trovando dei modi per realizzarlo in pratica. L’esperimento è stato poi realizzato lo scorso anno da Fedrizzi, White e altri. Per illustrare l’idea che sta alla base del test, immaginiamo due mazzi di carte. Uno contiene solo carte di color rosso, l’altro soltanto assi. “Vi viene data una carta e vi viene chiesto di identificare da quale mazzo proviene”, dice Martin Ringbauer, un fisico all’Università del Queensland. “Se si tratta di un asso di color rosso, ci sarà una sovrapposizione e non saremo in grado di dire da dove proviene”. Ma se conosciamo quanti tipi di carte contiene ciascun mazzo, almeno potremo calcolare la frequenza di questa situazione ambigua.
Una ambiguità simile si ha nei sistemi quantistici. Per una singola misura in laboratorio non è sempre possibile distinguere come viene polarizzato, ad esempio, un fotone. “Nella realtà quotidiana, è molto semplice indicare una certa direzione ma non nel caso dei sistemi quantistici”, dice White. Secondo l’interpretazione standard di Copenhagen, non c’è alcun modo di chiedere qual è la polarizzazione dato che la domanda non ha una risposta, o almeno finchè un’altra misura potrà fornire la risposta in maniera più precisa. Ma secondo quei modelli per cui la funzione d’onda è frutto della nostra ignoranza, la domanda ha un significato ben preciso: è che i fisici sperimentali, come il giocatore di carte, non hanno abbastanza informazioni da una misura per rispondere alla domanda. Come per le carte, dunque, è possibile stimare quanto c’è di ambiguo in una tale ignoranza rispetto ad una maggiore ambiguità così come viene permessa dalla teoria. Ciò è quanto ha fatto sostanzialmente il gruppo di Fedrizzi. I ricercatori hanno misurato la polarizzazione e altre proprietà per un fascio di fotoni, trovando un livello di sovrapposizione che non poteva essere spiegato dai modelli secondo cui la funzione d’onda è frutto della nostra ignoranza. I risultati supportano la visione alternativa in base alla quale se la realtà oggettiva esiste, allora la funzione d’onda deve essere reale. “È davvero impressionante che il team sia stato in grado di affrontare un problema così importante con un esperimento molto semplice”, dice Andrea Alberti, un fisico dell’Università di Bonn in Germania.
Ad ogni modo, la conclusione non è ancora ben assodata: poiché i rivelatori hanno misurato circa 1/5 dei fotoni utilizzati nel test, i ricercatori hanno dovuto assumere che i fotoni persi si sono comportati allo stesso modo. Si tratta di una grossa assunzione e i ricercatori stanno attualmente lavorando per chiudere il cerchio in modo da produrre risultati definitivi. Nel frattempo, il gruppo di Maroney sta collaborando con un gruppo di ricercatori dell’Università del New South Wales in Australia per realizzare test similari utilizzando ioni, che sono più facilmente tracciabili rispetto ai fotoni. “Durante i prossimi sei mesi, potremmo avere una versione più chiara di questo esperimento”, dice Maroney. Ma anche se i loro sforzi avranno successo e i modelli per cui la funzione d’onda è reale sono favoriti, questi modelli si presentano con una varietà di “sapori” perciò i fisici sperimentali dovranno ancora discriminarli. Una delle prime interpretazioni venne stabilita negli anni ’20 dal fisico francese Louis de Broglie e venne estesa negli anni ’50 dal fisico americano David Bohm. Secondo la teoria di de Broglie–Bohm, le particelle assumono posizioni e proprietà definite ma sono guidate da una sorta di “onda pilota” che viene spesso identificata con la funzione d’onda. Ciò potrebbe spiegare l’esperimento della doppia fenditura poiché l’onda pilota è in grado di propagarsi attraverso le due fenditure e produrre una figura d’interferenza su uno schermo posto ad una certa distanza, anche se l’elettrone passa attraverso una delle due fenditure. Nel 2005, la meccanica di de Broglie–Bohm ricevette una accelerata dal punto di vista sperimentale da un episodio inaspettato. Durante un corso di laboratorio, i fisici Emmanuel Fort del Langevin Institute di Parigi e Yves Couder dell’Università di Paris Diderot diedero agli studenti ciò che essi ritenevano sarebbe stato un esercizio immediato: costruire un esperimento per vedere come delle gocce d’olio si sarebbero aggregate cadendo su una vaschetta riempita d’olio mentre vibra.
Con molta sorpresa, si notò la formazione di increspature quando la vaschetta vibrava ad una certa frequenza. “Le gocce venivano come autoalimentate a muoversi spostandosi sulle loro stesse onde”, dice Fort. “Stavamo osservando un oggetto doppio, cioè una particella guidata da un’onda”. Da allora, Fort e Couder hanno mostrato che tali onde possono “guidare” questi “camminatori” attraverso l’esperimento della doppia fenditura, così come predetto dalla teoria dell’onda pilota, e possono imitare anche altri effetti quantistici. “Ciò non prova che le ‘onde-pilota’ esistono davvero nel mondo dei quanti” fa notare Fort. “Ma ci fa vedere come si comporta un’onda pilota su scale atomiche. Ci hanno detto che tali effetti non possono accadere dal punto di vista classico, invece siamo qui a dimostrare il contrario”. Un altro insieme di modelli basati sulla realtà della funzione d’onda, sviluppati negli anni ’80, tenta di spiegare le proprietà notevolmente differenti di oggetti di piccole e grandi dimensioni. “Come mai elettroni e atomi possono trovarsi in due posti differenti allo stesso tempo mentre invece non è così per tavoli, sedie, persone o gatti?”, dice Angelo Bassi, un fisico dell’Università di Trieste.
Noti con il termine “modelli del collasso”, queste teorie postulano che le funzioni d’onda delle singole particelle sono reali e che le particelle possono perdere spontaneamente le loro proprietà quantistiche ed essere localizzate in una singola posizione. Questi modelli sono stati costruiti in modo tale che le probabilità per cui ciò accada sono infinitesime per una singola particella, così gli effetti quantistici dominano su scale atomiche. Ma la probabilità del collasso della funzione d’onda aumenta esponenzialmente man mano che le particelle si aggregano, perciò gli oggetti macroscopici perderanno le loro proprietà quantistiche e si comporteranno nel modo classico. Un modo di verificare questa idea è quello di studiare il comportamento quantistico degli oggetti sempre più grandi. Se la teoria dei quanti è corretta, non c’è alcun limite. I fisici hanno già realizzato esperimenti della doppia fenditura nel caso, ad esempio, di molecole. Se i modelli del collasso sono corretti, allora gli effetti quantistici non saranno apparenti al di sopra di un certo valore della massa. Diversi gruppi stanno pianificando la ricerca di questo limite utilizzando atomi a bassa temperatura, molecole e nano particelle. Essi sperano di avere dei risultati entro una decina di anni. “La parte interessante di tutti questi esperimenti è che potremo verificare la teoria dei quanti mediante test ad alta precisione che non sono ancora mai stati realizzati”, dice Maroney.
Infine, uno dei modelli che assume reale la funzione d’onda è divenuto famoso ed è amato dai scrittori di fantascienza: stiamo parlando dell’interpretazione a molti-mondi sviluppata negli anni ’50 da Hugh Everett III, all’epoca studente all’Università di Princeton nel New Jersey. Secondo questa interpretazione, la funzione d’onda governa l’evoluzione della realtà così profondamente che ogni qual volta viene eseguita una misura quantistica, l’Universo si suddivide in “copie parallele”. In altre parole, aprendo la famosa cassa del gatto avremo a che fare con due mondi paralleli, uno contenente il gatto vivo e l’altro contenente il suo corpo. Distinguere l’interpretazione a molti-mondi di Everett III dalla teoria del mondo dei quanti non è così semplice in quanto entrambi producono esattamente le stesse previsioni. Lo scorso anno, però, Howard Wiseman della Griffith University a Brisbane e colleghi proposero un modello di multiverso verificabile. Il loro modello non contiene una funzione d’onda: le particelle seguono le regole classiche come le leggi del moto di Newton. Gli effetti strani osservati negli esperimenti quantistici emergono perché esiste una forza repulsiva tra le particelle e i loro cloni presenti negli universi paralleli. “La forza repulsiva che agisce tra le particelle causa la formazione di increspature che si propagano attraverso questi universi paralleli”, dice Wiseman. Facendo uso di simulazioni numeriche con 41 mondi interagenti, gli scienziati hanno dimostrato che questo modello riproduce approssimativamente un certo numero di effetti quantistici, tra cui le traiettorie descritte dalle particelle nell’esperimento della doppia fenditura. La figura d’interferenza diventa prossima a quella predetta dalla teoria quantistica man mano che aumenta il numero dei mondi. “Dato che la teoria predice risultati differenti in funzione del numero di universi”, dice Wiseman, “è possibile che esista un modo di verificare se il modello di multiverso di Everett sia corretto, il che vuol dire che non c’è alcuna funzione d’onda e che la realtà è completamente classica”. Dato che il modello di Wiseman non richiede una funzione d’onda, esso rimarrà attuabile anche se gli esperimenti futuri escluderanno i modelli per cui la funzione d’onda è il frutto della nostra ignoranza. Inoltre, potrebbero sopravvivere quei modelli, come l’interpretazione di Copenhagen, che affermano che non c’è una realtà oggettiva ma solo misure. “Quella sarà l’ultima sfida. Ma anche se nessuno sa come affrontarla, ciò che risulta davvero eccitante è realizzare un test per verificare se in definitiva esiste una realtà oggettiva là fuori”, conclude White.
Corrado Ruscica