Nonostante l’opera di distruzione perpetrata dai conquistadores spagnoli nei confronti delle culture originarie del centro-america, i maya ci hanno lasciato in eredità un’opera molto preziosa:
il Popol Vuh, “Il Libro del Consiglio”, vale a dire la storia della creazione del mondo e dell’origine dei Maya stessi.
In tal senso, pare opportuno considerare che i parallelismi fra le narrazioni del Vecchio Testamento, l’antica letteratura religiosa della Mesopotamia, e le tradizioni degli antichi maya sono a dir poco impressionanti, soprattutto in relazione alla “Genesi”.
Allo stesso modo di altri popoli nativo-americani, come ad esempio i Cherokee o gli Hopi del Nord America, anche i Maya ci parlano di tre mondi precedenti il nostro e di periodi storici scanditi dal sorgere e dal “crollare” del Sole. Attualmente il genere umano starebbe vivendo l’epoca del “Quinto Sole” “Nahui Ollin”, iniziato nel 3114 a.C., e la cui fine é prevista per il 21 dicembre del 2012.
I maya approdarono nel Nuovo Mondo molto prima di Cristoforo Colombo, più o meno nel 10.500 avanti Cristo, data che per molti studiosi coincide con la scomparsa di Atlantide. Al pari degli Aztechi, essi si riferivano al loro luogo d’origine chiamandolo col nome di Aztlan, presso altre culture conosciuto con quello di Avalon, Arallu, Ys, Lyonesse, Ad, Atlantic, Atalaya.
Di Atlantide, oltre a storici quali Diodoro Siculo, Apollodoro, Erodoto, Cràntore, Tucidide, Timàgene, Plutarco, Proclo, se ne occupò anche il filosofo Platone nel dialoghi “Timeo” e “Crizia”. Platone parla di Atlantide come di un’isola meravigliosa, situata al di là delle colonne d’Ercole (lo stretto di Gibilterra), vale a dire in mezzo all’Oceano Atlantico, solcata da numerosi canali, ricca di sorgenti d’acqua calda e fredda, e contraddistinta da un clima costantemente salubre, dove la popolazione poteva godere di ogni bene senza alcuna pena o fatica.
Accogliendo l’ipotesi che Maya e Aztechi possano essere i discendenti degli scampati di Atlantide, parrebbe logico dedurre che i sacrifici di sangue fossero un’usanza ereditata dai loro antichi progenitori. Scartando tale ipotesi, resta tuttavia il fatto che tale consuetudine ricoprì, in passato, un ruolo preminente in seno a ogni cultura. Fenici, Caldei, Assiri, Cananei sacrificavano vite umane al dio Baal. A Creta, quattordici giovinetti dovevano essere dati in pasto ogni anno al Minotauro, mitica figura dal corpo umano e dalla testa di toro.
Nell’Antico Testamento leggiamo che Jeovah stesso, per mettere alla prova la fede del patriarca Abramo, gli chiede di immolargli il figlioletto Isacco su un altare di pietra.
Rudolf Steiner (1861-1925), fondatore dell’antroposofia, titolò una delle sue quasi 6000 conferenze: “Il sangue è un succo molto peculiare”. In essa leggiamo: “L’uomo nasce in un nesso determinato, in una razza, in un popolo, da una serie di antenati, e ciò che da essa eredita trova la sua espressione nel sangue. Nel sangue viene come riassunto ciò che si è venuto formando dal passato materiale dell’uomo. Nel sangue viene però anche prefigurato quel che si prepara nel suo futuro.” (Berlino 25 ottobre 1906).
Tale concetto trova un perfetto riscontro nella cultura degli antichi Maya, tra i quali il sacrificio del sangue era prerogativa dei soli sovrani. I re maya non erano semplicemente dei capi politici, bensì veri e propri sciamani in grado di attingere al soprannaturale. Essendo l’organizzazione sociale di quel popolo fondata sulla discendenza patrilineare, le redini della famiglia, per diritto di primogenitura, venivano date al figlio maggiore.
Più famiglie di uno stesso gruppo si identificavano in un lignaggio, e più lignaggi formavano un clan che si riconosceva in un antenato comune. Poiché il re era l’ultimo anello di quella catena, a lui spettava il diritto (e il dovere) di praticare su di sé il sacrificio, così da poter risalire, attraverso la trance sciamanica, fino alla fonte originaria del sangue di cui egli era l’ultima “coppa” vivente.
Tale rito può a buon diritto essere ritenuto il principale atto di devozione degli antichi Maya, assolvendo a due funzioni di fondamentale importanza: la possibilità di ottenere una visione, ritenuta la sola via per comunicare con l’aldilà; e il mezzo per dare sostentamento agli dei, che in tal modo si materializzavano nel mondo umano.
Il sacrificio cui i sovrani si sottoponevano, dinanzi al popolo, viene conosciuto come salasso rituale. Il re, in piedi sulla cima della piramide (che replicava simbolicamente il paesaggio sacro generato dagli dei al momento della Creazione), si trafiggeva la lingua, non di rado il pene, con un’affilata lama di ossidiana. Da tale ferita faceva quindi passare una cordicella dello spessore di un dito per dirigere il flusso di sangue – attraverso una specie di danza rotante simile a quella dei dervisci – verso strisce di carta ricavata dalla corteccia d’albero spalmata di stucco.
Questa la ragione per cui, nei monumenti pubblici, il re veniva raffigurato come Wacah Chan, l’ “Albero del Mondo”, essendo egli l'”asse” che univa il “sotto” al “sopra”, il canale di comunicazione fra il mondo spirituale e quello umano.” E’ ora opportuno riflettere sulla figura di Quetzalcoatl (Kukulkan per i Maya), che tanta influenza ebbe nelle culture del Centro-america.
Al di là dei suoi connotati divini, Quetzalcoatl è innanzitutto un archetipo. La sua rappresentazione sotto forma di serpente piumato ne indica infatti la duplice natura, quella spirituale, simboleggiata dalle piume (il Padre Cielo), e quella fisica, simboleggiata dal serpente (la Madre Terra).
Affermano Adrian G. Gilbert-Maurice M. Cotterell: “… il simbolo del “serpente piumato” indica il modo in cui l’uomo illuminato deve conciliare i due opposti aspetti della sua natura, quello spirituale e quello materiale… Riuscire in questo richiede un atto di supremo sacrificio di sé, in cui la volontà dell’individuo (il serpente) si allinea alla Volontà superiore di Dio resa manifesta dall’aquila.
L’individuo deve letteralmente “morire” a se stesso per potere “rinascere” ed essere unito alla più ampia coscienza cosmica… Questo non aveva nulla a che fare con la pratica superstiziosa di strappare il cuore ancora palpitante dal petto delle vittime sacrificali… A quanto pare i maya di Palenque lo avevano capito meglio dei toltechi e degli aztechi, che erroneamente avevano scambiato il sacrificio degli ostaggi con un surrogato dell’ascesi personale.” (Adrian G. Gilbert-Maurice M. Cotterell. Le profezie dei Maya. Corbaccio Ed. 1996).
La Storia tramanda che allorché i conquistadores spagnoli sbarcarono in Messico nel 1519, gli Aztechi si fossero da tempo rinchiusi in un circolo vizioso che li costringeva a espandere sempre più i loro domini al solo scopo di ottenere nuovi prigionieri da immolare al sole affinché potesse continuare a sorgere. Pare tuttavia opportuno verificare più criticamente quanto tramandatoci storicamente.
A tal proposito, il frate domenicano Diego Duràn riferisce del sacrificio di ben 80.400 vittime – che avrebbe avuto luogo nel 1487 – per l’inaugurazione del tempio di Huitzilopochtli, nell’attuale Città del Messico.
E in soli cinque giorni. Poiché cinque giorni equivalgono a 120 ore, dividendo 80.400 per 120 si ottiene il bel risultato di 670 vittime all’ora. La cosa sembra poco attendibile, anche perché dovremmo avere prove tangibili di tale massacro: scheletri, ossa, teschi, e via dicendo.
Alla base del tempio di Huitzolipochtli, gli Spagnoli affermano di avere contato 136.000 crani umani. Le ricerche archeologiche hanno prodotto appena 170 teschi, perforati per essere issati sulle rastrelliere che gli Aztechi adibivano a veri e propri abachi che fungevano da computo del tempo; e gli esami relativi ai 170 teschi in questione hanno rivelato che si trattava di individui morti per cause naturali e non traumatiche.
Il che non intende negare che venissero praticati sacrifici umani. Poiché, tuttavia, tale atto veniva eseguito a fini religiosi, si rende necessario distinguere tra società del sacrificio e società del massacro, di cui gli Aztechi e gli Spagnoli del XVI secolo furono, rispettivamente, i rappresentanti.
In tale ottica, il sacrificio va ritenuto un delitto religioso in quanto lo si compie in nome dell’ideologia ufficiale e al cospetto dell’intera popolazione. Il massacro, al contrario, rivela sempre la debolezza del tessuto sociale di chi lo perpetra, tant’è vero che non viene mai rivendicato bensì tenuto segreto e negato. Non ha inoltre alcuna funzione sociale che possa giustificarlo.
L’uomo uccide semplicemente per il piacere di uccidere. Se il sacrificio è un delitto compiuto per fede, il massacro è dunque l’opera di chi non crede in Dio. E i conquistadores di certo smisero di credere in Dio, considerato che nel 1519 (data del loro sbarco nello Yucatàn) la popolazione del Messico era stimata nell’ordine di venticinque milioni di persone che, qualche decennio dopo, si era ridotta ad appena un milione.
Lo studioso Mircea Eliade afferma: “La realtà è una funzione dell’imitazione di un archetipo celestiale” (Eliade 1952: 4-5), con ciò intendendo affermare che le azioni umane hanno pieno significato solo attraverso la riproduzione di un atto primordiale narrato dal mito.
A ciò si aggiunga che non è possibile comprendere il senso delle profezie riguardanti il 2012, ammenoché non si comprenda il significato simbolico del “Gioco della Palla”.
Ancora una volta é la lettura del Popol Vuh a illuminarci
Il gioco si svolgeva in un cortile a forma rettangolare la cui posizione non era mai casuale. Il sito di Izapa, (Messico meridionale), che raggiunse il suo apice tra il 300 a. C. e il 50 d. C, dove è stata rinvenuta la stele 25 relativa alla cosmogenesi del 2012, ce lo mostra orientato verso l’orizzonte del solstizio d’inverno, nella costellazione del Sagittario (vedremo più avanti il motivo di tale scelta).
La palla, che simboleggiava il sole, era fatta di spesso lattice di gomma e si presentava poco più grande di una moderna palla da basket. I giocatori portavano legate intorno alla vita delle pesanti imbottiture atte a proteggerli dai danni causati dalla sua durezza, e delle massicce protezioni attorno a un ginocchio e a un avambraccio, così da evitare di ferirsi quando la colpivano o si lanciavano per ribatterla. Nelle scene che ci mostrano il gioco vediamo ora i giocatori con un ginocchio posato a terra, nell’atto di rilanciare la palla, ora mentre cercano di afferrarla al volo prima che tocchi il terreno.
Il cortile per il “Gioco della Palla” aveva pareti laterali inclinate sulle quali venivano montati elementi di vario genere, come cerchi di pietra, o teste di ara macao; mentre sulla fascia centrale del campo veniva spesso citata la scena della mitica partita giocata all’inizio del tempo tra gli Eroi gemelli e i Signori della Morte.
La tradizione narra che i gemelli Hun-Hunahpu e Vucub-Hunahpu furono convocati a Xibalba (l’Oltremondo) dai Signori della Morte per avere fatto troppo chiasso giocando a palla, e che da questi vennero sconfitti e sacrificati. Una nuova coppia di gemelli, Hunahpu e Xbalanque, fu pertanto invitata una seconda volta a Xibalba dai Signori della Morte.
Questi due nuovi eroi, dopo avere superato numerose prove, si trovarono a dover fronteggiare la straordinaria danza del sacrificio, nella quale il vincitore venne costretto a decapitare e fare a pezzi il perdente. Ricevuto tale ordine, uno dei gemelli sacrificò l’altro ma lo riportò in vita conquistando l’ammirazione dei Signori della Morte, che chiesero di compiere uguale prodigio anche con loro. I gemelli acconsentirono, non riportando ovviamente in vita i Signori della Morte, in ciò dimostrando di potere vincere la morte con l’astuzia.
Tale mito suggerisce che, mentre agli umani è consentito accedere a Xibalba attraverso il sacrificio di sangue – unico portale d’accesso al mondo della visione -, tale privilegio non è riservato al soprannaturale, rappresentato dai Signori della Morte. Spetta dunque al re, manifestazione terrena degli Eroi gemelli, il compito di fare da tramite fra i due mondi attraverso il salasso rituale.
Per inciso: a proposito del “Gioco della Palla” è stato scritto che alla fine della partita venisse sacrificato agli dei il capo della squadra dei giocatori vittoriosi e non degli sconfitti. La cosa pare del tutto infondata, visto che il mito narra che fu l’Eroe gemello sconfitto, e non il vincitore, a essere sacrificato ai Signori della Morte.ùLa tradizione degli indiani Hopi del sudovest del Nord-America afferma che Techqua Ikachi, il “Quarto Mondo”, il nostro, sia già crollato nel 1987, e che tutti noi stiamo vivendo il duro “Tempo della Purificazione” che, secondo il calendario tzolkin dei Maya, avrà termine nel 2012.
E’ risaputo che i Maya solevano computare il tempo attraverso l’uso di due calendari – o per meglio dire, sincronari -, il primo dei quali, detto tzolkin, constava di tredici mesi di venti giorni ciascuno, per un totale di 260 giorni; mentre il secondo, detto haab, ne contemplava 365. Da grandi astronomi quali erano, i Maya subivano il fascino del moto di Venere che fissarono in 584 giorni. La moderna astronomia afferma che l’anno venusiano può durare da 581 a 587 giorni e che la sua media è per l’appunto di 584 giorni.
Con tale conoscenza essi furono in grado di stabilire che tredici baktun, ovvero 5126 anni, formavano un “ciclo grande”. Ora, la fine dell’attuale “ciclo grande”, iniziato il 12 agosto 3113 a. C., avverrà il 22 dicembre del 2012, momento che evidenzierà le connessioni cosmiche fra Venere, il Sole, le Pleiadi e Orione.
A tal riguardo, il programma “Skyglobe” rivela che per quella data, poco prima del tramonto del sole, Venere scenderà sotto l’orizzonte a occidente, da cui si leverà Orione, mentre le Pleiadi si leveranno a oriente. Tale aspetto, secondo i Maya, indicherà simbolicamente la nascita di una nuova era del mondo.
Il punto è che non si può comprendere a pieno il senso delle profezie relative al “crollo” del Quinto Sole a meno che non si comprenda la concezione del tempo dei Maya e di tutti i popoli originari d’America.
Se per noi uomini moderni, infatti, il tempo è, denaro, per i Maya esso era arte, trasformazione, ritmo, costante cambiamento ed evoluzione. Questo perché noi occidentali viviamo il “sotto” separato dal “sopra”, mentre l’indiano americano intuisce se stesso come parte di un’immensa dinamo che è l’intera Creazione.
Quel che si vuole porre in evidenza non è tanto il fatto che i calendari maya fossero più accurati del nostro, bensì che esprimessero una concezione del tempo olistica, comprensiva della comprensione, dove tutte le dimensioni dell’esperienza umana erano collegate fra loro: la biologia all’agricoltura, questa all’astronomia, e via dicendo.
In tale cosmovisione della realtà, il 21 dicembre del 2012 equivale a ciò che in termini astronomici viene definito l’allineamento del nostro sole con l’equatore galattico. Allineamento che, in accordo alla precessione degli equinozi, si verifica ogni 26.000 anni circa.
Cerchiamo di immaginare il sole muoversi sull’eclittica (il suo percorso apparente in cielo) rispetto alla Via Lattea, da un punto che chiameremo A (dove si trovava 3000 anni fa), a un punto che chiameremo B (dove si trovava 1500 anni fa), a un punto che chiameremo C, che nel 2012 lo vedrà perfettamente al centro dell’asse dell’equatore galattico, così da formare quella che viene detta “Santa Croce”, che si trova nella costellazione del Sagittario (l’altra si trova nei Gemelli), quella che gli antichi Maya chiamavano “Strada Nera”, Xibalba, l’Oltremondo, dagli astronomi definita “sporgenza nucleare” del centro della nostra galassia.
Torniamo ora indietro al “Gioco della Palla”. Il cortile ove esso si svolgeva era orientato verso l’orizzonte del solstizio d’inverno proprio perché il gioco era la rappresentazione simbolica della fine di un vecchio mondo, quello dei Signori della Morte, e dell’inizio di un nuovo mondo, quello degli Eroi gemelli, che avrebbe visto la luce nel solstizio d’inverno dell’anno 2012, durante il tempo dell’allineamento galattico.
Interessante notare che anche i Lakota del Nord-america parlano di una “Strada Rossa”, buona e diritta (l’asse verticale della croce dei Cristiani), contrapposta a una “Strada Nera (l’asse orizzontale della croce), la via dell’errore e della distruzione, quella – come afferma il wicasa wakan Alce Nero – che percorre “uno sviato, che si lascia dominare dai propri sensi e che vive per se stesso invece che per il suo popolo” (Alce Nero. La sacra pipa. Borla Ed. 1970).
I Nativi americani ci informano che stiamo già vivendo il tempo della profezia, visto che l’allineamento galattico copre un arco di tempo che va dal 1980 al 2016, e che culminerà solo nel 2012. Non è un caso che gli Hopi affermino che Techqua Ikachi, il “Quarto Mondo”, sia finito nel 1987 e che stiamo attraversando un periodo della durata di venticinque anni, che precede il “Giorno della Purificazione”, ovvero l’avvento del “Quinto Mondo” (previsto per il 21 dicembre del 2012), quello che i Maya chiamano il “Tempo dei Tredici Cieli”: un’epoca di luce inimmaginabile che si contrapporrà agli ultimi cinquecento anni di regno dell’individualismo più brutale, la cosiddetta “Valle dei Nove Inferni”.
– Cosa potrebbe accadere per quella data?
Edgar Cayce, il “profeta dormiente” predisse che all’inizio del terzo millennio vi sarebbero stati significativi “cambiamenti sulla Terra”. In proposito, alcuni ipotizzano che un abnorme aumento delle macchie solari influirebbe sul campo magnetico del nostro sole così da provocare un’inversione del campo magnetico terrestre, il che scatenerebbe devastanti terremoti, spaventose eruzioni vulcaniche, tsunami di forza inaudita.
A tal riguardo, la scienza ci informa che il campo magnetico della Terra sarebbe del 50% meno potente di quanto lo sia stato 1500 anni fa, e che a tale riduzione si starebbe affiancando un rapido aumento della frequenza sonora del nostro pianeta, la cosiddetta “Risonanza di cavità Schumann”. Per metà del secolo scorso il “cuore” del pianeta avrebbe pulsato a 7,8 hertz, ma oggi avrebbe raggiunto i 10 hertz. Se nel 2012 si raggiungessero i 13 hertz, il campo magnetico potrebbe collassare fin quasi a raggiungere il punto zero. Il che provocherebbe il pieno risveglio di tutta l’energia di cui sarebbe capace Madre Terra.
Dal canto loro, gli scienziati Terence e Dennis McKenna sostengono che l’universo sia una sorta di immenso ologramma fatto di 64 onde o scale temporali. Il che spiegherebbe, fra l’altro, la ragione per cui 64 sarebbero gli esagrammi dell’antico libro cinese de “I King”, 64 le chiavi dell’ “Albero della Vita”, e 64 i codoni del DNA. L’analisi condotta al computer dai due scienziati dimostrerebbe che tutte le 64 onde si fonderebbero così da raggiungere il punto massimo nel 2012.
Cosa che provocherebbe grandiose trasformazioni di coscienza che culminerebbero nell’ultima frazione di secondo (pari a 0,0075 secondi), in cui si verificherebbero altre tredici straordinarie trasformazioni.
0,0075 secondi: il tempo forse necessario al nostro “risveglio”, a quella che il Buddismo definisce “illuminazione
Anche le profezie degli Hopi ci pongono dinanzi a uno scenario inquietante. Da una parte ci informano che la nostra attuale condotta sarebbe sul punto di condurci a un terzo conflitto mondiale che vedrebbe l’impiego delle armi atomiche; dall’altra ci preannunciano il ritorno della “Stella Blu”, ovvero dei Kachinas, i “Messaggeri del Popolo delle Nuvole”, che in un tempo lontano concorsero all’evoluzione del genere umano.”Quando la Stella Blu Kachina farà la sua apparizione nei cieli, il Quinto Mondo vedrà la luce”
recita la profezia.
Capire cosa sia la “Stella Blu” non sembra essere cosa facile. C’è chi simbolicamente vuole vedervi Sirio – Iside per gli antichi Egizi -, ovvero un’esplosione del femminino, una rinascita della consapevolezza. Il colore blu sottintenderebbe infatti l’elettricità, i bambini indaco, le Pleaidi, il chakra connesso all’ipofisi.
Gli Hopi sono chiari nell’affermare che la “Stella Blu” sia un vero e proprio corpo celeste, allontanatosi da noi molto tempo fa e ora in procinto di tornare nel nostro sistema solare, composto di entità incorporee in grado di assumere forma umana.
La seconda parte della profezia afferma:
“(La sua apparizione) verrà preceduta dall’ultima grande guerra, un conflitto spirituale che si combatterà contro il materialismo. Materialismo che verrà distrutto da esseri spirituali che resteranno fra noi per dare vita a un solo mondo e a una sola nazione, sotto un solo potere, il potere del Creatore.”
Si deve perciò pensare a una stella di colore blu – che solchi i cieli in un regolare moto ciclico – che sia la risultante di elevatissime energie spirituali – angelos, messaggero -, preposte all’accrescimento della nostra spiritualità.
Esiste forse un solo corpo celeste che abbia queste caratteristiche: la cometa Hale-Bopp, un “ospite” che nel corso della storia del nostro pianeta ci ha fatto visita più volte, come ci dice l’astronomia. Hale-Bopp era “qui” 54.000 anni fa, quando con ogni probabilità, si verificò una dislocazione della crosta terrestre; 12.500 anni fa, a segnare la fine di Atlantide e il Grande Diluvio; 2.000 anni fa, ad annunciarci la nascita di un “messaggero” il cui compito era quello di rammentare all’uomo la sua natura divina.
Hale-Bopp è sempre comparsa in momenti speciali, momenti di transizione, momenti di cambiamenti epocali.
E come non ritenere epocale il cambiamento che si attuerà nel 2012?
Al di là del fatto che non si possa affermare con certezza che la “Stella Blu” di cui parlano gli Hopi possa essere la cometa Hale-Bopp, ci pare di avvertire l’urgenza dei tempi, il vento di nuovi cambiamenti che ci riguardano tutti.
I Nativi americani ci invitano a riflettere sulle scelte del nostro immediato futuro, poiché è ormai necessario che comprendiamo che l’idea di “successo” che ha sempre contraddistinto il nostro stile di vita, l’egoismo, l’avidità, il materialismo hanno fatto il loro tempo; e che in vista del grande cambiamento che si sta attuando per noi, impariamo finalmente a usare la compassione, la comprensione, la condivisione, il rispetto per ognuno e per ogni forma di vita, essendo queste le sole armi capaci di armare la pace.
Maya, Hopi, Cherokee, Lakota, ogni popolo che ancora vive ai margini del nostro mondo, ci dicono che al centro dell’universo c’é un luogo dal quale hanno avuto origine tutti gli esseri viventi, la galassia delle “Nazioni delle Stelle”, i nostri antichi padri che attendono di ricongiungersi a noi.
Stiamo dunque entrando nel “Quinto Mondo”. Sta solo a noi, e a nessun altro, decidere di voltare la schiena una volta per tutte alla “Valle dei Nove Inferni” per iniziare a vivere il “Tempo dei Tredici Cieli”. Buon viaggio.
Enzo Braschi