L’algebra nell’Apocalisse di Giovanni

Apocalisse di Giovanni
Illustrazione 1: Xilografia di Albrecht Dürer. I quattro angeli della devastazione.

I quattro angeli della devastazione

L’Apocalisse di Giovanni mostra di sé un fatto nuovo che non è stato mai rilevato sul conto della Morte.

Leggiamo il trafiletto AP 7,1-4 dall’Apocalisse C.E.I. Nuova Diodati che vi riguarda:

« 1 Dopo questo, vidi quattro angeli che stavano in piedi ai quattro angoli della terra, e trattenevano i quattro venti della terra perché non soffiassero sulla terra, né sopra il mare, né sugli alberi.

2 Poi vidi un altro angelo che saliva dal sol levante, il quale aveva il sigillo del Dio vivente; e gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso di danneggiare la terra e il mare, dicendo:

3 “Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché non abbiamo segnato sulla fronte, con il sigillo, i servi del nostro Dio”.

4 E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati di tutte le tribù dei figli d’Israele: … »

Ciò che sembra trasparire è un’imprecisione nella suddetta descrizione che appare irrilevante, ma se vista con occhio matematico fa sorgere ambiguità nella  soluzione dell’effettivo intervento dei quattro angeli in merito alla devastazione in corso ad opera dei quattro venti. Si tratta di una vistosa contraddizione in relazione al comando del quinto angelo che saliva dall’oriente.

Esaminiamo uno per uno i primi tre versetti, il quarto, per ora, non interessa sulla questione suddetta:

    1. I quattro angeli trattengono i quattro venti perché non soffiassero sulla terra, sul mare e sugli alberi (trascuriamo il né che sembra disorientare).
    2. Ai quattro suddetti angeli era stato concesso di danneggiare la terra e il mare (vi consegue che le piante vi sono escluse).
    3. il quinto angelo del sigillo del Dio vivente (quello in alto che regge una croce) ordina ai quattro angeli suddetti di «Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché non abbiamo segnato sulla fronte, con il sigillo, i servi del nostro Dio».

Cos’è che non torna?

Il punto è che il quinto angelo ha ordinato ai quattro angeli di fare una cosa che non potevano fare assolutamente, cioè di «danneggiare gli alberi».

Perché?

Occorre ragionare come se gli angeli siano delle macchine predisposte per operare con sole due funzioni, cioè danneggiare la terra e il mare e non con una terza ai danni degli alberi.

Questo è un primo aspetto della questione in corso, ma immaginando che la questione trovi soluzione, allora il programma informatico cui attendono i comandi dei quattro angeli è attuabile solo se l’algoritmo che vi riguarda, ragioni con codici secondo una procedura algebrica.

Infatti procediamo in questo modo ponendo dei segni + o ad ogni funzione usando questi codici per tutti e quattro gli angeli in modo che non devastino la terra, il mare e gli alberi:

 dev. Terra +

–  f  dev. Mare +

–  dev. Piante

Poi il quinto angelo dà il comando di devastare Terra, Mare e Piante, e per questo si devono invertire i segni, per cui il quadro delle nuove funzioni operative dei quattro angeli è il seguente:

 dev. Terra

 dev. Mare

 dev. Piante +

Ecco che con sorpresa, emerge una situazione che non ci si aspettava, riscontrando che sono gli alberi ad essere devastate dai quattro angeli.

Potrà sembra inverosimile ma c’è modo di capire che a questa ipotesi sia giunto anche il famoso Artista e alchimista Albrecht Dürer, esaminando attentamente la sua xilografia dei quattro angeli della devastazione mostrata all’inizio con l’illustr. 1. Questo artista, come tanti altri artisti del suo tempo predisponevano un telaio strutturale su cui poi sviluppavano l’opera. Mostrerò ora in che modo Dürer deve aver sviluppato il suddetto telaio, con la nuova illustr. 2.

(clicca l’immagine per ingrandirla e vedere i dettagli a colori) Illustrazione 2: Xilografia di Albrecht Dürer. I quattro angeli della devastazione. Telaio della geometria strutturale.

Non sapremo mai su che basi Albrecht Dürer sia giunto ad ipotizzare che siano gli alberi ad essere oggetto della devastazione ad opera dei quattro angelo della morte, la stessa mia ipotesi suddetta appena espressa. Forse anche lui attraverso l’algebra? Ma c’è modo di capire in che modo l’artista abbia espresso questa ipotesi attraeverso la sua arte.

Il telaio della geometria strutturale che ho disposto sulla xilografia del Dürer ricalca le spade dei quattro angeli: tre di queste colorate in giallo concorrono in un punto comune e sono gli angeli col volto rivolto al quinto angelo del sigillo del Dio vivente. Ed è evidente che devono aver posto in atto il suo comando. Ma si vede che le loro spade con le quali si dà il via libera ai venti devastatori, sono inoperose. Come se disobbedissero al comando dell’angelo del sigillo del Dio vivente. Come si spiega?

La quarta spada colorata in rosso segue invece un’altra direzione. Fatto è che questo angelo non è rivolto all’angelo del sigillo e perciò non può nemmeno sentire il suo comando perché è tutto occupato a contrastare l’azione del vento devastatore, in più, involontariamente, la sua spada è rivolta verso il tronco della grossa pianta. Per rafforzare questa situazione la direzione della spada è rivolta verso una piccola pianta in basso che ho evidenziato in verde. Ecco che da qui sembra di capire che la sua spada, involontariamente, stia agendo contro le piante quasi a dar retta al comando del quinto angelo. E c’è di più da capire sul senso che il Dürer ha dato alla sua opera, perché ha cercato di far capire che i “centoquarantaquattromila” del sigillo, che ricevono la comunione, seguono la stessa sorte riservata alle piante.

Ho disegnato per questo scopo un telaio di linee tratteggiate che legano le geometrie del calice eucaristico, con la traiettoria della spada del quarto angelo. Non solo ma poi confluiscono alla firma di Albrecht Dürer per far capire la sua precisa intenzione di rivelare l’arcano appena messo allo scoperto da me. Senza contare che il telaio tratteggiato in questione passa per il braccio del quinto angelo del sigillo del Sacrificio. Come a far capire che tutto è avvenuto in modo occulto ed è l’algebra (attiva in modo involontario da parte degli 4 angeli) che ha operato per questo scopo, cioè del sacrificio degli alberi e dei “centoquarantaquattromila”.

Tant’è che dal versetto 7.9 in poi dell’Apocalisse se ne trova la spiegazione:

« 9 Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano.

10 E gridavano a gran voce, dicendo: “La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello”.

11 E tutti gli angeli erano in piedi intorno al trono, agli anziani e alle quattro creature viventi; essi si prostrarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio, dicendo: 12 “Amen! Al nostro Dio la lode, la gloria, la sapienza, il ringraziamento, l’onore, la potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen”.

13 Poi uno degli anziani mi rivolse la parola, dicendomi: “Chi sono queste persone vestite di bianco e da dove sono venute?”

14 Io gli risposi: “Signor mio, tu lo sai”. Ed egli mi disse: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione. Essi hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello.

15 Perciò sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio; e colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su di loro.

16 Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura;

17 perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” ».

L’alchimia del mistero del sale

Il processo appena spiegato sul mistero del sacrificio dei “centoquarantaquattromila” destinati a stare « davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio» trova modo di essere compreso attraverso l’alchimia attraverso la terminologia del “Sale”. Mi servirò per questo scopo di un interessante articolo presente sul web che spiega con acutezza e semplicità questo grande mistero dell’iniziazione del neofita che, nel caso suddetto dell’Apocalisse, sono i “centoquarantaquattromila” destinati al sacrificio. Si capisce che il tema sacrificale è allargato al livello di popolo.

È stato tratto dal libro di Mark Hedsel, L’iniziato, l’autore è Antonio Caporali.

In alchimia il sale è uno dei Tre Principi, presenti sia nel cosmo sia nell’uomo: una triade mistica, composta dal sale, dal mercurio e dallo zolfo. Benché si presenti come una polvere bianca, inerte, il sale è uno dei grandi misteri e simboli dell’iniziazione. Nella tradizione alchemica esso era l’emblema di un patto sacro che non poteva mai essere rescisso, simile a quello che il neofita stringeva con la sua scuola o il suo maestro. «Il patto di sale» di cui parla l’Antico Testamento potrebbe avere un significato diverso da quello che gli viene di solito attribuito. Il Nuovo Testamento è meno evasivo al proposito: in Matteo, infatti, «sale della terra» sono gli eletti, ossia gli iniziati e non, come si tende oggi a pensare, quanti sono poco più che semplici contadini. Nei secoli lontani gli eletti sedevano al posto d’onore, «più in alto del sale», perché avevano conquistato il sale che avevano dentro di sé. Come si spiegherebbe altrimenti tutta l’importanza che nei convivi medievali veniva attribuita al salinum, ossia alla saliera? […]

Gli alchimisti ponevano talora a emblema del sale il più semplice di tutti i sigilli: un minuscolo quadrato o un piccolo rettangolo. Con quelle quattro linee che descrivono uno spazio vuoto – come lo spazio fra l’Aria e l’Acqua – intendevano delineare i misteri dei quattro elementi o disegnare una bara? Il reverendo Brewer, un colto collezionista di idee curiose, totalmente ignaro di esoterismo, ci ricorda la consuetudine, tuttora esistente, di porre una manciata di sale nella cassa del morto.

C’è forse un nesso fra il sale e la morte? Un altro sigillo del sale – usato con frequenza nei gruppi alchemici rosacrociani – era un cerchio tagliato a metà da una linea orizzontale Θ . Quel sigillo deriva dalla theta maiuscola di Thanatos, che in greco significa «morte».

In numerosi testi alchemici il sale rappresenta il processo mentale, che è un processo di morte. Il sale è il residuo dell’attività spirituale che avviene nella nostra testa: come nelle triade alchemica, è la scoria che resta quando la vita è volata via, è il cranio, il caput mortuum, la polvere bianca residua dopo l’estrazione dell’oro. È la cenere del pensiero.

Quando la testa – o la sua attività spirituale che chiamiamo mente – raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l’ordine dell’universo sembra frantumarsi, allora produce lacrime salate.

Ma perché mai il pensiero – quel processo che ha prodotto la nostra tanto decantata civiltà di superficiale razionalismo – dovrebbe essere associato alla morte nei circoli arcani? Noi moderni non dovremmo invece sostenere che il pensiero è la nostra salvezza, la strada che ci condurrà alla terra promessa? Qualsiasi iniziato che abbia un granello di sale, inutile dirlo, contesterebbe questa interpretazione. L’autore anonimo di A discourse of Fire and Salt («Discorso del fuoco e del sale») spiega chiaramente che fra il sale e il fuoco avviene uno scambio mistico. Ci sono due sali, afferma questo adepto, l’uno nato dall’attività del fuoco e l’altro il residuo rimasto quando le fiamme si spengono, che è a sua volta «un fuoco potenziale». In questa perpetua interazione fra fuoco e sale che sta alla base del mondo fenomenico il sale rappresenta lo stato inerziale della morte. Nessun alchimista tuttavia sosterrebbe mai che una cosa può morire nel senso di essere esclusa per sempre dalla vita. La morte è un interludio fra una vita e l’altra.

Un tempo, però, esisteva il sale del vero pensiero, che non era neppure sfiorato dalla contaminazione della morte. Allora, anche le invenzioni delle menti più raffinate, come quelle dei poeti romani, erano saporite come il sale, erano salsae, ossia mordaci e facete. Di certo i versi sgorgavano di getto dalla mente dei loro autori; in latino salire significa «saltare», «guizzare fuori», da cui la parola saltatore: i latini sapevano che dalla sfera spirituale le idee penetravano d’un balzo nella mente dei poeti. Una parola dal suono così simile al nome di quel semplice condimento quotidiano non può che suggerirci qualche profondo significato riposto. Sono molti i misteri del mondo antico che la parola sale richiama: c’erano, per esempio, i Salii, quei «saltatori» splendidamente vestiti, danzatori dell’aria, che costituivano uno dei tanti collegi sacerdotali romani. Di loro sappiamo soltanto che cantavano e parlavano in una lingua incomprensibile, che erano votati al culto di Marte e formavano una confraternita esoterica. La lingua incomprensibile che parlavano era la Lingua degli Uccelli – ossia il linguaggio segreto dell’esoterismo – e i loro «salti» erano una forma di danza sacra.(1)

Si è notato che ho evidenziato in grassetto nel trafiletto che segue una parola che vi è contenuta?

«Quando la testa – o la sua attività spirituale che chiamiamo mente – raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l’ordine dell’universo sembra frantumarsi, allora produce lacrime salate

Ed ecco spiegato il passo dell’Apocalisse 7,17.

« “perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” ».

Infine si riesce a capire come Albrecht Dürer abbia tradotto magistralmente il concetto del sacrificio degli alberi e dei “centoquarantaquattromila”, i potenziali uomini del “sale della terra”, nella sua xilografia dell’illustr. 2, ed io come sia pervenuto alla concezione algebrica dello stesso mistero dell’Apocalisse della devastazione delle piante. I risultati dell’iniziazione trovano sbocchi diversi attraverso i carismi di ogni neofita, che nel caso mio è la spiccata disposizione al disegno e la matematica, ma anche per il Dürer.

“Il Bagno di Diana” e le Purificazioni Mercuriali

Illustrazione 3: I bagno di Diana. Piatto firmato da M° Giorgio Andreoli il 6 aprile 1525 conservato dalla Wallace Collection.

Il “Bagno di Diana” raffiguarato nell’’opera mostrata dall’illustr. 3 è il piatto firmato da M° Giorgio Andreoli il 6 aprile 1525 e attualmente conservato tra i pezzi della Wallace Collection. L’oggetto, in Maiolica misura un diametro di 37,5 cm. e misura 2,8 cm. di altezza e fu effettuato a Gualdo Tadino verosimilmente intorno al 1928. Rilevo dal sito di Gianfranco Bertagni “in quiete” un approfondito commento su quest’opera che però non mostra Diana ma le sue ninfe e questo potrà disorientare il lettore abituato alle iconografie note, in cui si vede la casta Diana che trasforma in cervo l’intruso Atteone, ma nell’intento di trovare il nesso alchemico corrispondente nel sacrificio del “centoquarantaquattromila” dell’Apocalisse di Giovanni, vedremo che questo scopo si ottiene. Si tratta solo di intravedervi una fase avanzata del processo come se il loro “sale” sia incorporato dalle ninfe di Diana. Nel contempo si riscontra il nesso del sacrificio degli alberi attraverso il risvolto di Atteone trasformato in cervo e poi sbranato dai cani, con gli alberi.

Ma vedrete che strada facendo verso la fine, il commento di Bertagni  fa collezioni di parole chiavi evidenziate da me in grassetto per legare il tutto con gli alberi e lo scopo è fatto per far luce sui nessi iniziali tra i “centoquarantaquattromila” e il mondo degli alberi, entrambi del sacrificio da ricercare.

Il saggio di  Gianfranco Bertagni inizia con questa descrizione dello scenario offerto dal piatto dell’illustr. 3 e poi continua col suo commento.

“Il centro, entro un fondo circondato da ovoli e perle, quattordici ninfe si bagnano in una fonte, su sfondo di paesaggio; fra di esse è riconoscibile il gruppo delle Tre Grazie. Tutt’intorno, fascia a grottesche e trofei, filettature, teoria di motivi a forma di “S”, cordonature. Nel retro, sotto la base, è la scritta corsiva, che ripete quella dell’originale, “Mastro Giorgio da Ugubio. 6 aprile 1525” e la firma “Prof. A. Santarelli”. Colori: blu, verde, nero, giallo, lustro dorato, lustro rosso. Impasto rosato intenso”.

Il Bagno di Diana è strettamente legato al mito di Atteone trasformato in un cervo, tuttavia è interessante non fermarsi ad una descrizione puramente mitologica, in quanto l’occasione (?) fornisce seducenti analogie. Il mito narra della castissima Diana – ΑϱτεμήϚ – che innamorata della caccia e sempre seguita da uno stuolo di Ninfe decide un giorno di bagnarsi con esse, presso un lago che qui è singolarmente rappresentato da una interessante piscina. Atteone attratto dalla casta nudità della dea si avvicina a nuoto in modo a dir poco temerario ed ella lo trasforma prontamente in un cervo che morirà dilaniato da propri cani che non lo riconosceranno. Ma la cosa più singolare è che questo personaggio non appare sulla scena del nostro piatto, così come la stessa Diana, sempre accompagnata nell’iconografia dai suoi ermetici attributi. Né il crescente lunare, né l’arco e la faretra, né le alchimiche Colombe sembrano comparire nell’insieme: ch’ella sia la fanciulla di sinistra, voltata di schiena, con i capelli parzialmente raccolti intenta a togliersi la tunica stranamente ocellata?

Oppure si tratterebbe dell’altra fanciulla , quella seduta sempre a sinistra con la testa girata in prossimità degli alberi e il corpo semi-coperto dal drappo purpureo?

In entrambi i casi i dati sono veramente pochi per poter formulare un’ipotesi il più possibile certa; inoltre la presenza delle Tre Grazie sembra presentarci una scena del tutto diversa da quella che il titolo dell’opera lascerebbe presagire.

Noi crediamo che, se l’originale non appare a favore del mito, la figlia della Principessa Latona sia rappresentata soltanto.

In secondo piano e che, al contrario, si voglia far luce su un punto capitale dell’Opera al forno che va ben oltre il procedimento tecnico delle Purificazioni cui abbiamo accennato velatamente nello studio della marca alchimica di M° Giorgio.

Il sapiente Jean Greter definisce Diana – Artemide (la nostra belle d’Argent) come la Regina delle Onde – REGINA UNDARUM, appellativo straordinario e assolutamente appropriato che rivela le virtù ormai acquisite del nostro Mercurio dei Saggi.

La sue eterna verginità, unita alla casta nudità dell’immagine indica senza ambagi il grado di eccellente purezza ormai raggiunto dal prezioso solvente filosofico, grazie alla triplice irradiazione attraverso il nitro celeste dispensatore e unico portatore della nitrazione universale.

Quest’ultima è rappresentata in modo eccellente dal complesso delle 14 Ninfe che ci riportano alla fanciulla ideale di Cyliani (2) (uscita dalla quercia per donargli il liquido capace di aprire la serratura del tempio: Ella, insieme ad importanti segnalazioni, gli rivela essere di essenza celeste e lo esorta a considerarla quale una deiezione della Stella Polare. Dietro l’abile velo dell’allegoria, l’alchimista autore dell’Hermès Devoilé – ERMETE SVELATO. Comunica un punto capitale dell’Opera che ben duecentonovantuno anni prima M° Giorgio Andreoli aveva citato e trasposto abilmente nella decorazione in oggetto. Il numero delle Ninfe è assolutamente rivelatore, formato com’è da due volte sette, espressione di pienezza e perfezione, costanza ed equilibrio realizzate in seno alle onde senza le quali non vi sarebbe elaborazione realmente filosofica. Questa comunicazione del fluido cosmico è una emissione costante e controllata, un vero dinamismo raggiante, corporificata in un liquido reale e ponderabile, il cui substrato è acquoso e il cui nome risponde a Rugiada dei Saggi (dalla canonicità indiscussa).

È infatti attraverso questo fluido prezioso, o meglio attraverso il preziosissimo sale che se ne estrae e nel quale è realmente corporificata l’emissione celeste, che il nostro Mercurio dei Filosofi è estratto e purificato. La virtù ignea del fuoco segreto penetra nelle interiorità intime della struttura agendo a livello del nucleo centrale e comunicando una forza metamorfosizzante e vegetativa, quella stessa evocata dall’abbondante colore verde che tinge non solo la verzura della foresta ma altresì l’acqua dell’affollato Bagno di Diana. Certamente! Proprio da quella forza chimica e trasformante originano le Acque in secco alle quali si formerà l’embrione metallico raggiante del suo splendore luminoso. Che esse siano riferite all’apporto costante del fluido universale, o alla vibrazione magnetica del magma centrale di cui il magnetismo terrestre non è che pallido riflesso, la sostanza, o intima essenza che la rilega è una sola e ad un tempo trascendente e immanente, materiale e spirituale. Essa è ben espressa dalle teste ricciolute unite dai festoni che riversano il fluido prezioso nella vasca sottostante. Questo meccanismo eminentemente evocatore non manca di essere riproposto dalla treccia di motivi a forma di “S”, con una chiara allusione al nocciolo sulfureo e al riflusso delle onde mercuriali; tuttavia ci è stato comunicato che nell’originale conservato al Victoria and Albert Museum di Londra questo particolare è assente, così come l’ocellatura sul velo sollevato dalla ninfa voltata di schiena sulla sinistra dell’immagine, particolare sul quale non ci fermeremo nel timore di rivelare un punto importante della pratica alchemica, ma che consideriamo una forzatura non solo decorativa. Inevitabilmente, in virtù di questa comunicazione d’etere cosmico il Mercurio dei filosofi è ormai carico della grandezza – MAGNITUDO, della luce spirituale ed è pronto a cederla nel bellissimo smalto verde di cui le acque della piscina sono un annuncio favorevole: come queste infatti rendono ricco il Bagno di Diana, così il sale vitriolico assimila la vibrazione ignea contenuta nel bagno mercuriale e si carica di ogni potenzialità vegetativa. Questa casta unione che muove la massa nel profondo dell’essenza è molto ben espressa dalla decorazione che circonda il tondo, ove OVOLI e PERLE si alternano in un gioco simmetrico armonioso. Se il prezioso frutto della materia madreperlacea è chiara prefigurazione della nostra Belle d’Argent (nell’originale di M° Giorgio paiono puntate nel mezzo, con chiara allusione alla possibilità di accogliere il Sole dei Saggi), a maggior ragione gli OVULI assumono una duplice valenza simbolica: da un lato la materia costitutiva, dall’altro lo scopo del nostro uovo filosofico, sul quale sicuramente torneremo. Per ora ci basti sapere che OVOLO indica spesso nel gergo botanico la gemma dell’ulivo, il quale nella sua etimologia francese rivela il gioco cabalistico del vetriolo filosofico.

OLIVIER – OIL VERT

Quest’olio verde, o olio di vetro – VITRI OLEUM è sede dell’oro celeste e prezioso, vero oro degli Alchimisti, dispensatore di tutta l’energia attrattiva necessaria e della virtù coagulante e ritenente dello spirito (L’OR Y EST). Grazie a questo apporto quintessenziale il nostro Leone Verde potrà convertirsi in Leone Rosso, impegnandosi della fisicità specifica dell’anima dei metalli: gli angioletti dalle ali rosse posti appena sopra i festoni, tra le teste riversanti, non indicano altro che questa volatilità capace di fissarsi definitivamente in un corpo nuovo la cui struttura è assolutamente trasformata.

Come la casta Diana degli Adepti è capace di rivestirsi dell’Iride multicolore della vibrazione cromatica, così, in seno all’uovo, lo zolfo dei filosofi non smetterà di irradiare alla sostanza stessa dal suo ricettacolo la gamma sonora della via Regale pere eccellenza che si vuole a giusto titolo SECCA! Concluderemo ricordando che l’identificazione del ricettacolo appropriato si situa al livello di una corrispondenza tutt’altro che casuale. Il Bosco raffigurato dall’Andreoli e riprodotto a Gualdo Tadino rivela ad un tempo la fonte e l’utilizzo del prezioso sale raccolto al termine della Prima Opera: Bosco in francese è bois, con l’ulteriore accezione di legno, corna di cervo, e dell’insieme di alcuni strumenti a fiato quali l’oboe (hautbois), il clarinetto, ecc. Il carattere legnoso ci riporta immediatamente alla vecchia quercia cava di N. Flamel (4) dispensatrice del prezioso materiale di partenza, mentre l’arte di musica è intimamente collegata alla facoltà propria del nostro vaso di impregnarsi della scala cromatica dello spirito. Ancora bois è omofono di boîte, che indica una scatola o comunque un oggetto atto a contenere, il quale gioca cabalisticamante con boitte, esca, con chiara allusione all’azione di pescare di trarre dall’acqua un piccolo pesce.(3)

A questo punto ci si è allontanati molto dall’argomento d’inizio di questo saggio, il tema dell’Apocalisse di Giovanni e mi preme riavvicinarmi come per chiudere un cerchio e far contenti tutti, a cominciare dal Cristianesimo. Tanto più che si tratta appunto del sacrificio dei “Centoquarantaquattromila” legati con lo stesso destino al mondo degli alberi e vedremo fra poco il caso analogo trattato nel vangelo di Matteo.

Si tratta della strage degli innocenti, un episodio raccontato nel Vangelo secondo Matteo (2,1-16), in cui Erode il Grande, re della Giudea, ordinò un massacro di bambini allo scopo di uccidere Gesù, della cui nascita a Betlemme era stato informato dai Magi. Secondo la narrazione evangelica, Gesù scampò alla strage in quanto un angelo avvisò in sogno Giuseppe, ordinandogli di fuggire in Egitto; solo dopo la morte di Erode Giuseppe tornò indietro, stabilendosi in Galilea, a Nazaret.

Il Massacro degli Innocenti

La tavola che segue FL. XXI (illustr. 4), firmata J. Champagne e datata come il frontespizio già riprodotto dal 1910 e dedicato alla Santa Cappella di Parigi, vetrate Sud si intitola Il Massacro degli Innocenti.

Illustrazione 4: Il Massacro degli Innocenti. Santa Cappella di Parigi.

È in Le Dimore filosofali di Fulcanelli (Grimorio del castello di Dampierre, terza serie, cassone 4, Schemit, 1930) a pag. 58, che Fulcanelli consiglierà il discepolo di alchimia sull’importanza di questa allegoria del Massacro degli Innocenti: “che egli si sforzi (il discepolo) di comprendere l’allegoria del Massacro degli Innocenti, di Nicolas Flamel, così come la spiegazione chiara che ne dà Limojon, così chiaramente quanto può farlo un maestro dell’arte.

Sin dal momento che saprà ciò che sono, metallicamente, questi spiriti dei corpi designati con il sangue degli innocenti sgozzati, in quale modo l’alchimista opera la differenziazione dei due mercuri, avrà varcato l’ultimo ostacolo e nulla, in seguito, se non la sua impazienza, potrà frustarlo del risultato sperato”.4 Si nota nel disegno della vetrata un infante gattoni che sfugge al massacro, è il bambino Gesù che, con la sua famiglia, fugge verso l’Egitto, parimenti vale per l’alchimista fiducioso.

Ma non si nota un certo parallelo della vetrata del massacro degli innocenti con il piatto dell’illustr.  3 del Bagno di Diana?

È stato detto da Gianfranco Bertagna che tra le cose mancanti non ha ravvisato le colombe, ma sappiamo che anche loro sono sacrificate. Ma sono le 14 ninfe che sono al posto di altrettanti Atteoni del sacrificio in una fase successiva al cosiddetto “Bagno degli Astri” (5). A tal proposito dice Fulcanelli,

«Senza entrare nei dettagli circa la tecnica da seguire nelle varie operazioni, ‒ cosa che nessun Autore ha osato fare ‒ diremo che lo Spirito universale, corporificato nei minerali con il nome alchemico di Zolfo, [gli Atteoni del Bagno di Diana. ndr] costituisce il principio e l’agente efficace di ogni tintura metallica. Ma questo Spirito, questo rosso sangue dei fanciulli, può essere ottenuto solo scomponendo ciò che la natura aveva primo composto in essi. Quindi è necessario che il corpo perisca, che sia crocifisso e che muoia se se ne vuole estrarre l’anima, la vita metallica e la Rugiada celeste, [le Ninfe di Diana. ndr] ch’esso aveva tenuto rinchiusa. E questa quintessenza, travasata in un corpo puro, [il sacrificio delle Ninfe o Colombe di Diana. ndr] perfettamente digerito, farà nascere una nuova creatura, assai più splendente dei corpi da cui deriva. I corpi non hanno alcuna possibilità d’agire gli uni sugli altri; lo spirito è attivo e agente.

Per questa ragione, i Saggi, sapendo che il sangue minerale di cui avevano bisogno per animare il corpo fisso ed inerte dell’oro non era altro che la condensazione, sotto forma umida, capace di penetrare e rendere  vegetative le misture sublunari, avveniva soltanto di notte, col favore delle tenebre, del cielo puro e dell’aria calma; sapendo, infine che la stagione in cui essa si manifestava più attivamente e più abbondantemente corrispondeva alla primavera celeste, i Saggi, per tutte queste stagioni, le diedero il nome di Rugiada di Maggio. […].»


1 il-mistero-del-sale.html

2 Carola Fiocco – Gabriella Gherardi, op. cit.

Citato in nota da E. Canseliet, L’alchimie et son Livre Muet (MUTUS LIBER) réimpression intégrale de léedition originale de la Rochelle, 1677. Introduction et commentaires par E. Canseliet F.H.C. disciple de Fulcanelli, J.J. Pauvert, Paris 1973

Cyliani, Hermès Dévoilé, dedié à la Posterité, Paris, imprimerie de F. Locquin, 16, Rue Notre-Dame-des-Victoires, 1832. Cf. anche la 2a edizione del 1915 della Maison Chacornac, come la terza e la quarta delle ed. Traditionelles.

  1. Flamel, Le livre des Figures Hieroglyphiques, le Sommaire Philosophique suivi de Le Désir Désiré, textes revus sur les éditions anciennes et suivis d’un glossaire et de notes bibliographiques por N. Préaud, S.P.G.P. Descoël , Paris 1971

gianfrancobertagni.it/materiali/alchimia/tonna1.htm

maxjulienchampagne.over-blog.it

5 Fulcanelli. Il Mistero delle Cattedrali. Pagg. 110-111. Edizioni Mediterranee.