Si sente parlare di un universo vecchio di miliardi di anni, ma che senso ha parlare di così tanti anni? Fino a che punto il periodo di un anno ha senso? L’uomo e tutti gli esseri viventi, notoriamente, misurano le cose in base a se stessi ed alla loro esistenza. Un filo d’erba è piccolo per un uomo, ma è una sequoia gigante per una formica. Il concetto di anno sussiste e può essere scandito finché esiste una Terra che ruota intorno al suo Sole, con degli esseri umani (misuratori del tempo) che associano all’anno il suo peso e la sua importanza (ad esempio, un lungo anno di scuola, che ti fa passare da una classe all’altra), ma prima che un sistema solare prenda forma, che senso ha parlare di anni? Tutti quei miliardi di anni antecedenti all’era della Terra intorno al Sole possono razionalmente essere considerati come un singolo istante. Non c’era una Terra in rotazione intorno al Sole che poteva scandire questi (presunti) miliardi di anni. Un secondo ed un miliardo di anni fanno lo stesso effetto.
Ed è qui che il noumeno incontra e supera il fenomeno. Tutto ciò che è e che è stato (e che sarà) non è altro che un singolo istante: qui e ora. Vivere nel mondo dei fenomeni, immersi nel tempo e scandendo il tempo, equivale a voler assolutamente vedere un film, dall’inizio e con la curiosità di vedere come va a finire, di piangere ed emozionarsi. Nel mondo dei noumeni, lo spettatore conosce il mondo del cinema e sa già, dal titolo del film, come il film stesso si svolgerà e come andrà a finire; in altre parole, ogni film è un film già visto, dunque egli non necessita della visione del film stesso, ossia della scansione del tempo, pur possedendo già l’epilogo, dunque pur disponendo già del risultato massimo.
L’epilogo, che a livello temporale si completa alla fine, è in realtà presente sin dall’inizio, ed è questo concetto che neutralizza o vanifica lo scandire il tempo; ciò che è alla fine del tempo, in realtà è presente sin dall’inizio, facendo sì che tutto l’universo sia semplicemente un singolo istante, qui ed ora.
E tanto più si dà importanza ai dettagli, tanto meno questi concetti risulteranno chiari. Io non so se tra vent’anni andremo a lavorare in macchina o in pullman o in treno, ma è certo che noi siamo esseri che devono andare, che non godono dell’ubiquità e che devono recarsi da un posto all’altro; il resto son dettagli. Ciò è la virtù del vedere il generale nel particolare e non viceversa. Per dirla in un linguaggio un tantino più orientaleggiante, c’è chi raggiunge il Nirvana (colui che non necessita più di (ri)vedere il film, dall’epilogo scontato) e colui che non lo raggiunge (riavvolge sempre la pellicola e la riproietta). Invece, in termini un po’ più freudiani (ossia di importazione schopenhaueriana del tipo volontàrappresentazione) vi è l’inconscio, che vuole senza ragionare, in quanto ragionare significa far scaturire un qualcosa (mentre l’inconscio è noumenico, ossia esso “è” sin dall’inizio e dunque non scaturisce); e poi c’è la coscienza, la quale effettua ragionamenti e fa scaturire cose da altre cose. L’inconscio, notoriamente, è noumenico; infatti, esso è ciò che spinge il marinaio a buttarsi a mare e morire per la salvezza della nave con tutti i suoi passeggeri, così dimostrando di riconoscere il generale nel particolare, ossia la vita di tutti nella vita del singolo. Tornando a noi ed al concetto di tempo, ovvio che considerando un freddo parametro fisico come, ad esempio, il tempo impiegato da un raggio di luce per percorrere un metro, ci si può poi imbattere in tempi di miliardi di anni concepiti anche in ere in cui la Terra in rotazione a scandire l’anno non c’era, ma, ripeto, quei miliardi di anni fanno lo stesso effetto di un singolo istante. E senza contare che, in fisica, il tempo è comunque fisicamente relativo di per sé.
Ed il tempo non è niente altro che il nome che viene dato ad una relazione matematica di rapporto tra due spazi differenti; quando dico che per andare da casa al lavoro ho impiegato il tempo di mezz’ora, dico semplicemente che il percorrimento dello spazio che separa casa mia dall’azienda in cui lavoro è corrisposto allo spazio di mezza circonferenza orologio percorsa dalla punta della lancetta dei minuti. E’ dunque sempre e solo lo spazio tridimensionale che ci dà il senso della proporzione ed il senso fisico delle cose. Addirittura anche le grandezze elettromagnetiche sono subordinate allo spazio e traggono significato da esso: io constato che due elettroni si respingono nella misura in cui essi tendono ad incrementare lo spazio tra loro. E’ dunque la proporzione il noumeno; ed infatti essa è un concetto. Il fenomeno, ossia lo spazio fisico, è solo il suo “temporaneo” ed occasionale supporto.
Grazie per l’attenzione.
Leonardo Rubino
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