I dottori dell’Università del Maryland hanno rivelato all’Accademia delle Scienze di New York di essere riusciti a porre un uomo in stato di “animazione sospesa” – una ibernazione temporanea.
Si tratta di un’ibernazione di qualche ora del paziente gravemente ferito, qualche ora che permette ai medici di operare e se possibile di salvare la vita.
Il termine esatto è suspended animation, animazione sospesa (da non confondere con la crioconservazione). Nella pratica la rianimazione viene ritardata, i vasi sanguigni riempiti di una soluzione che raffredda il corpo e ne blocca il metabolismo. Il paziente viene operato e quindi di nuovo riscaldato.
Finora era stato fatto soltanto su animali. Ma un gruppo medico del Centro medico dell’Università del Maryland, Stati Uniti, come rivelato dal New Scientist, per la prima volta ha sperimentato la tecnica su persone che altrimenti sarebbero andate incontro a morte certa. Se n’è discusso a un simposio dell’Accademia delle Scienze di New York, ancora però non è noto come l’ibernazione sia andata a finire. I risultati, infatti – sperano i medici – saranno annunciati entro la fine del 2020.
L’intero processo è ufficialmente noto con l’acronimo Epr, Emergency Preservation and Resuscitation. Non lasciamoci ingannare dalla parola inglese perché tradotto significa: conservazione d’emergenza e rianimazione. La tecnica si può impiegare su persone con arresto cardiaco e una grave ferita, dovuta a una pugnalata o una rivoltellata, e dunque copiose perdite di sangue, più della metà. In un caso del genere, i dottori hanno pochi minuti per intervenire e basse possibilità di garantire la sopravvivenza al ferito. Questo perché a normali temperature il corpo ha bisogno del ricircolo del sangue che fornisce ossigeno alle cellule. Se manca il sangue manca l’ossigeno e il cervello può resistere solo 5 minuti, prima di andare incontro a gravi danni irreversibili.
Per questo l’Epr, raffredda il corpo, portandolo a temperature tra i 10° e i 15° C gradi, con una soluzione salina gelida che viene iniettata nei vasi sanguigni, sostituendo del tutto il sangue. A quel punto, l’attività del cervello si ferma, come morto. Il corpo viene dunque sottoposto all’operazione. Ma i medici non hanno a disposizione qualche minuto bensì circa due ore. Una volta conclusa l’operazione, il paziente è riportato a temperature naturali, il sangue reimmesso e praticata la rianimazione.
Per verificare se la tecnica davvero funziona, l’equipe medica condotta da Samuel Tisherman confronterà dieci casi sottoposti all’ibernazione con dieci su cui non è stato possibile eseguire la tecnica. La Food and Drug Administration, ente statunitense supervisore, ha dato il suo nullaosta alla procedura senza consenso, poiché si pratica su pazienti per i quali l’unica alternativa sarebbe la morte. La comunità locale di Baltimora è stata informata ed esiste un sito dove gli abitanti possono comunque negare il consenso al trattamento, nello sfortunato caso che ci si trovi nella situazione che lo richiede.
Tisherman è da tempo che lavora alla possibilità dell’ibernazione. Come ha raccontato a New Scientist, l’idea arriva da lontano, quando un giovane arrivò in ospedale ferito al cuore da un coltello.
“Solo qualche minuto prima era un giovane uomo in salute ed eccolo improvvisamente morto. Avremmo potuto salvarlo se solo avessimo avuto abbastanza tempo”. Restano ancora però molti dubbi su cosa possa accadere una volta che il sangue torna a circolare. Potrebbero infatti verificarsi quelli che si chiamano danni da reperfusione (come dopo un’ischemia): il sangue, tornando a circolare, innesca delle reazioni chimiche che possono danneggiare gravemente le cellule.
Giancarlo Cinini
wired.it