di Maria Grazia Lopardi
Concepito come il percorso iniziatico di uomo alla ricerca delle sue origini e dunque sulla Via del ritorno, quello della Divina Commedia è un linguaggio simbolico che cela segreti universali che riecheggiano ancora nei versi del Sommo Poeta.
La Divina Commedia è un testo iniziatico-alchemico? Possiamo ravvisarvi il mezzo attraverso cui Dante, il Sommo Poeta, volle codificare le sue conoscenze e la sua sapienza come altri prima di lui fecero?
“O Voi che avete gl’intelletti sani
mirate la dottrina che s’ asconde
sotto il velame delli versi strani”
Così si rivolge Dante al suo uditorio privilegiato capace di comprendere un insegnamento che si nasconde sotto il velo dei suoi versi, una dottrina che non è per tutti, ma solo per gli iniziati, per coloro che, appunto, hanno “gli intelletti sani”.
Una medaglia conservata a Vienna recante l’immagine di Dante e la scritta F.S.K.I.P.F.T. è stata interpretata come “Fidei Sanctae Kadosh Imperialis Principatus Frater Templarius” e vista come la verifica storica dell’appartenenza del poeta all’ordine dei Fedeli d’Amore, o Fede Santa, associato a quello dei Templari, ma la sua opera parla da sola e indica il cammino della trasmutazione dell’essere umano che la Divina Commedia illustra.
Dante compie il suo viaggio durante la settimana santa, all’equinozio di primavera, quando gli antichi misteri celebravano una morte e una rinascita, nella natura che esce dal gelo e nell’uomo-Dio vincente sulla cristallizzazione della materia: il candidato ai misteri, colui che ha acquisito consapevolezza di trovarsi in una dimensione pesante e innaturale per il figlio della luce, in una selva oscura e di aver smarrito la retta via, viene spinto a volgere gli occhi in alto, verso la montagna, simbolo del percorso iniziatico, dalla quale verrà l’aiuto.
Tre bestie tuttavia gli sbarrano la strada allorché si accinge ad affrontare la dura salita: esse rappresentano la natura bestiale dell’uomo da purificare e trasmutare in un cambiamento radicale di coscienza, in cui si sostanzia la morte iniziatica con l’abbandono dell’immedesimazione nelle energie dell’ego. Prima di salire, Dante inizia un percorso che lo conduce verso il basso, negli inferi interiori, nelle regioni oscure dell’inconscio dove c’è il ribollente magma del rifiuto, l’ombra in cui energie maligne e distorte si agitano richiamando la sua attenzione.
Il messaggio è noto alla tradizione: anche Enea nel VI canto dell’Eneide e Maometto in un testo islamico, di appena ottanta anni prima di Dante, compirono viaggi notturni attraverso un inferno che necessariamente precede la salita alle sfere, perché l’uomo deve svelare i suoi meandri più oscuri e negletti per permettere alla luce della coscienza di dissolvervi le tenebre, proprio come suggeriscono gli ermetisti: “Visita interiora tua (o terrae), rectificando invenies occultum lapidem”.
L’Inferno
Nel susseguirsi di personaggi che popolano l’inferno, Dante passa in rassegna le oscure tendenze dell’anima umana, quelle che le impediscono di volare, che lo rendono dualistico e privo d’integrità. Con umana compassione, l’iniziato sul cammino osserva senza giudizio ogni moto della sua anima, traendone il messaggio e davanti alla sua coscienza sfilano tutte le potenzialità inespresse e represse, tutti gli stati d’esistenza di un passato remoto, occultato nell’intimo e proiettato, come un fardello di altri, sull’intero creato.
Come negli antichi misteri, una guida accompagna il candidato: per Dante è Virgilio che già aveva offerto a Enea il ramo d’oro di Eleusi, a simbolo di resurrezione e immortalità, perpetuato nel cristianesimo nella palma della domenica che precede Pasqua, e in massoneria nell’acacia. La guida rappresenta la coscienza dell’uomo dialettico, la ridestata consapevolezza della necessità di raddrizzare le vie del Signore, come diceva il Battista, di compiere un processo di morte e rinascita, per recuperare una condizione divina che spetta per diritto ereditario e di cui il candidato ai misteri avverte una grande nostalgia che funge da pungolo: in una serie incessante di prese di coscienza, penetrando la natura umana, disgregandone la sua apparente compattezza sotto l’azione del calore infernale del crogiolo alchemico, Dante realizza l’opera al nero, la nigredo.
Nelle profondità del suo abisso interiore, lo attende Lucifero, la sorgente energetica dell’ego dialettico che, come il minotauro nel labirinto, deve essere affrontato dall’eroe solare che diviene consapevole di essere dominato da forze che lo governano, plasmando la sua fallace personalità in cui si immedesima, ma che lo separa dall’integrità del suo vero essere.
Abbandonati i pre-giudizi e smascherando il suo programma interiore originato da karma, educazione ed esperienze, l’iniziato sa che il sistema elettromagnetico che lo alimenta deve essere spento, un nuovo cielo e una nuova terra devono apparire. Per questo Dante, nel profondo del suo inferno, incontra Lucifero a tre facce: una nera, una bianca e una rossa, i colori dell’alchimia, perché anche le energie luciferine si convertiranno con il compimento della Grande Opera: “… conviene che di fortezza t’armi”, gli consiglia Virgilio mentre Dite-Lucifero, con le sue ali tutto ghiaccia, perché tale è la sua azione cristallizzante e Dante così descrive la sua morte iniziatica: “… io non morì, e non rimasi vivo”.
Ormai le energie luciferine sono domate, Virgilio e il poeta si aggrappano a Lucifero per uscire dall’inferno, vale a dire che la stessa natura dialettica, vinta dalle energie divine, diviene lo strumento per riscattare l’uomo. Non a caso Dante, volgendo lo sguardo indietro, vede Lucifero capovolto, evidente simbolo della conversione che avviene quando nel bacino dell’iniziato (raggiunto dalla luce entrata nel suo sistema attraverso il cuore) Cristo e Lucifero domato, qual unico flusso di energia, risalgono lungo il canale del serpente, lungo la spina dorsale realizzando l’abito di luce, il manto d’oro delle nozze. L’inferno finisce con il verso “… e quindi uscimmo a riveder le stelle”, la stella che appare nell’athanor alchemico dopo il fetore della sostanza sotto l’effetto del fuoco che la sollecita.
Il Purgatorio
“Per correr migliori acque alza le vele
ormai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sè mar sì crudele;
e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
e di salire al cielo diventa degno”.
Inizia così il Purgatorio, la fase alchemica dell’albedo, della purificazione, della caduta delle scorie sotto l’effetto del fuoco, in cui è finalmente possibile intraprendere la salita alla montagna che a ogni passo porta al distacco dai valori del piano orizzontale e alla conquista della libertà. Con Casella, Dante vede quanto leghi la stessa bellezza della terra, con Manfredi scopre l’effetto dei rancori, con Jacopo del Cassero constata come i ricordi possano pietrificare l’anima, con Bordello è la polemica politica a legare. Insomma con i personaggi mano a mano incontrati, Dante scorge i suoi legami interiori da sciogliere per aspirare alla libertà.
All’ingresso, un angelo su tre gradini, ancora una volta con i tre colori dell’opera alchemica, lo segna sulla fronte come i salvati dal Signore di biblica memoria: sette “P” sono tracciate sulla sua fronte, i sette peccati capitali come sostiene la critica, comunque sette ostacoli da sciogliere nel processo di purificazione per rendere possibile la visione, l’apertura del terzo occhio, l’accensione del candelabro dai sette bracci. Solo con il passaggio per le sette cornici – come i sette gradini dei misteri mitriaci e massonici – Dante può essere idoneo agli stati superiori dell’essere, alla trasformazione più radicale che lo porterà dal piombo all’argento e quindi all’oro.
Nel ricevere i doni delle sette forze dello Spirito, superando le prove a esse connesse, Dante purifica il suo essere e il suo fardello si alleggerisce preparandosi a una frequenza vibratoria superiore. La scala a sette gradini suggerisce altrettanti livelli d’iniziazione: la guida è ancora Virgilio, perché il suo strumento più elevato è la mente illuminata che lo induce a neutralizzare i legami con il mondo, senza reprimerli, vigilando, osservandoli obiettivamente, come Dante appunto fa con i personaggi che incontra.
Staccarsi dalle abitudini del sangue, dai pregiudizi, dal sentimentalismo oscurante, costituisce la base per quella trasformazione fondamentale che porta l’iniziato a liberare la vera facoltà del pensiero, a realizzare l’iniziazione di Mercurio, del potere del pensiero che porterà alla conoscenza di prima mano, alla vera saggezza. A Mercurio segue Venere, fonte di amore che guida l’iniziato a porsi al servizio di Dio per compassione verso il mondo.
La Gnosi penetrata nel sistema del candidato ai Misteri conquista i santuari della testa e del cuore, ma ora i nuovi potenziali sviluppati devono essere concretizzati al servizio del piano divino, attraverso una forte volontà nella quale si esprima la potenza creatrice, il fiat lux: è l’iniziazione di Giove, il dio del fuoco, del mago che tutto può perché saggio, pieno d’amore e fornito di volontà divina, è il sacerdote che collega le terra al cielo e che ripristina il piano divino. Quando non vi è purificazione e non viene compiuto il giusto procedimento alchemico, si rischia di divenire maghi luciferini che hanno acquisito poteri per accrescere il proprio ego e non per eseguire la volontà di Dio.
Non a caso, nella fase dell’albedo, gli alchimisti pongono la prova del drago, dell’anima liberata dal corpo che si trova ad affrontare una forza tremenda pronta a destarsi per prendere il sopravvento e imprigionare l’anima, se solo l’attenzione dell’iniziato si indebolisce, soggiogata dagli antichi legami: il rischio di tale fase è di perdersi nell’ingannevole mondo tenebroso, nel divenire operatori dell’occulto, al servizio di Lucifero.
La forza saturnina
Il processo continua il suo sviluppo sotto l’effetto del fuoco dello Spirito: ora è Saturno, responsabile del processo di cristallizzazione della struttura fisica, a essere dominato per lasciare il posto al nuovo Saturno che, dopo aver eliminato con la falce gli impeti passionali della vita inferiore, le forze della personalità dialettica, segna il passaggio tra una vecchia e una nuova dimensione. Dal nuovo Saturno, nascerà l’uomo celeste. Aperta la porta di Saturno al limite della dimensione dialettica, l’uomo divino inizia a manifestarsi e diviene esso stesso sorgente d’amore, di un amore impersonale che abbraccia l’intera umanità.
Nel Purgatorio, dunque, l’iniziato domina gli aspetti inferiori dei pianeti, per consentire a quelli superiori di manifestarsi, al fine di conseguire il Paradiso. Alla settima cornice Dante attraversa un cerchio di fuoco (in greco pur), estrema prova di purificazione possibile solo per chi ha già compiuto un graduale, consapevole processo di liberazione dell’anima dai legami della materia. L’iniziato è pronto per la Gnosi: “…tra Beatrice e te è questo muro”, dice Virgilio.
Con il supremo sforzo di volontà, spinto dal desiderio del divino, Dante realizza l’albedo, l’opera al bianco: “Non aspettar mio dir più nè mio cenno: libero, dritto e sano è il tuo arbitrio, e fallo fora non fare a suo senno: per ch’io te sovra te corono e mitrio”. La creatura già in balia del karma e di autorità esteriori, diviene rex pontifex, Cavaliere Kadosh che riunisce in sé corona e mitra, potere temporale e spirituale, per cui è libero e finalmente responsabile, capace di ascoltare la saggezza che può acquisire solo l’anima, non più condizionata dai legami della materia, grazie alla luce divina che non incontra più ostacoli nell’inondare l’intero essere trasformato.
Ora Dante incontra Beatrice, di cui darà la definizione nel VII canto del Paradiso: “… il santo rivo ch’esce da fonte onde ogni Ver deriva”. È la Gnosi, l’intelligenza dei trovatori, la donna, la sapienza divina, la luce di Dio, la Grazia. Il viaggio per il Purgatorio è concluso e l’iniziato è “…rifatto sì come piante novelle rinnovellate di novella fronda, puro e disposto a salir alle stele”. “Novelle, rinnovellate, novella”, una triplice esaltata sottolineatura dell’Uomo Nuovo che è nato dalla vecchia natura, ormai nel fondo dell’athanor.
“Nel ciel che più della sua luce prende fu’ io…”, qui Dante si sente trascendere i limiti della condizione umana e s’innalza attraverso la sfera del fuoco. L’iniziato oltrepassa la natura umana, è rinato nella luce nella quale fissa lo sguardo: la trasfigurazione è compiuta e, non a caso, il poeta passa nel cielo della luna, simbolo alchemico della fase al bianco.
In questo passaggio l’iniziato richiama l’attenzione di chi è in grado di comprendere il suo discorso:
“O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi di ascoltar, seguìti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, chè, forse,
perdendo me, rimarreste smarriti”.
Il Paradiso
L’esperienza del Paradiso è per pochi ed è necessariamente coperta dal segreto iniziatico, essendo del tutto straordinaria. Inizia la fase culminante dell’opera alchemica: la rubedo. Dante rivolge la sua preghiera al dio sole Apollo e, perennemente accompagnato dalla Luce divina, dalla Saggezza, da Beatrice, attraversa le sfere celesti corrispondenti a Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno, alle stelle fisse, all’Empireo, viaggiatore tra mondi e dimensioni.
Come nel Purgatorio i pianeti hanno rappresentato il loro aspetto inferiore di cui disfarsi, con la purificazione che consegue al distacco dal potere del pensiero egocentrico, responsabile primo della separazione da Dio, dall’amore umano che lega al mondo, dall’azione al servizio del mantenimento del mondo dialettico, dalla volontà guidata dall’egoismo e dal potere, dalla cristallizzazione del vecchio Saturno che chiude la porte all’energia divina, compiuto tale processo nel Paradiso gli stessi pianeti rappresentano le mutazioni legate al procedimento alchemico nella sua fase finale.
Di sfera in sfera Dante passa in un processo di esaltazione ed estasi che spesso si esprime con momentanee cecità, con il sonno o con svenimenti, nel tentativo di spiegare a parole la trasformazione della coscienza sotto l’effetto del fuoco divino.
Dal nuovo Mercurio nasce la capacità di cogliere il piano divino, di acquisire la conoscenza che è sapienza e saggezza. Dalla nuova Venere nasce la capacità d’indirizzare l’amore verso l’esterno, al servizio di Dio e del creato. Dal nuovo Marte nasce la volontà, riflesso di quella divina. Dal nuovo Giove nasce il sacerdozio, l’essere strumenti della luce realizzando la Giustizia secondo la volontà di Dio. Non a caso, nel cielo di Giove, Dante accusa il papa e si appella al primo verso del libro della sapienza: “… diligite iustitiam, qui iudicatis terram”, la M finale si trasforma in aquila, simbolo di quell’impero che ha la sua fonte nella mitica terra bianca, nel regno del prete Gianni, in Shamballa, per designarlo con nomi di diverse tradizioni. Il cielo di Saturno, degli spiriti contemplanti, esprime l’ingresso in una nuova dimensione, lì ove le forze cristallizzanti del vecchio Saturno non hanno accesso, si manifesta l’Uomo divino accolto da una scala d’oro, un ampio passaggio verso il compimento dell’opera.
Nell’ottavo cielo delle stelle fisse, l’Uomo Nuovo appare in tutto il suo splendore, tanto che a Dante appare la Luce del Cristo: il sorriso di Beatrice, la forza irradiante della Gnosi diviene tale che Dante sviene, la sua coscienza non è più umana. Segue la visione della Vergine, dell’anima nuova di natura divina, è l’anima mundi degli alchimisti che genera l’essere divino e che è generata dalla personalità trasmutata nel procedimento alchemico.
Il processo continua e, negli occhi di Beatrice, Dante scorge un punto luminosissimo: Dio circondato da nove cori angelici e oltre l’empireo, il cui splendore acceca: è il momento conclusivo della rubedo, la visione del Paradiso dove, nel fiume di acqua viva, appare la candida Rosa della più pura tradizione esoterica, il simbolo per eccellenza del divino, la meta agognata da ogni cercatore della Verità, cantata dai trovatori e cercata dai cavalieri, come il loto dell’oriente, espressione di una fioritura che, con lo stelo, attraversa le acque del divenire, per aprire i suoi petali alla luce del Sole.
La rosa è fiorita lì dove i due bracci della croce umana si uniscono nell’unità. Beatrice lascia Dante accolto da S. Bernardo, colui che ha dato la regola all’ordine dei Templari, la coscienza divina che ormai guida l’iniziato e che gli consente di “ficcar lo viso per la luce etterna”, dove il lungo viaggio attraverso il molteplice si conclude con il ritorno all’unità: “nel suo profondo vidi che s’interna, ciò che per l’universo si squaterna”.
La natura umana, mortale e fallace si è trasformata nell’oro splendente del corpo di gloria della resurrezione.
Fonte: http://www.enricobaccarini.com/?p=1685#more-1685