“Il progetto “La città dei bambini” propone ai sindaci di modificare la filosofia di gestione delle città, assumendo il bambino come parametro. Non si tratta di realizzare iniziative, opportunità, strutture nuove per i bambini, di difendere i diritti di una componente sociale debole né di migliorare i servizi per l’infanzia. Si propone, invece, di abbassare l’ottica dell’Amministrazione fino all’altezza del bambino, per non perdere nessuno dei cittadini, di accettare la diversità che il bambino porta con sé a garanzia di tutte le diversità. Si ritiene che, se la città sarà più adatta ai bambini, sarà più adatta per tutti”.
Mario Flavio Benini – Negli ultimi decenni le città hanno subito radicali cambiamenti che impattano molto sulla vita dei bambini. Uno di questi riguarda gli spazi dedicati al tempo libero che si sono ridotti o specializzati. Ci aiuta a capire cosa sta cambiando?
Francesco Tonucci – Nella nuova città si può dire che i bambini abbiano perso il loro spazio e il loro tempo.
Gli spazi dei bambini, in casa e fuori, sono sempre stati gli spazi non utilizzati dagli adulti, come i cortili, le scale, le aree non costruite, i cantieri dismessi, i marciapiedi, le piazze.
Questi spazi non erano dei bambini o per loro, ma potevano da loro essere utilizzati quando gli adulti li lasciavano liberi. L’uso di questi spazi avveniva nel “tempo libero”, un tempo dei bambini, una volta assolti i doveri della scuola ed eventuali faccende domestiche.
Un tempo che poteva essere amministrato con libertà e autonomia, senza il controllo degli adulti, purché si rispettassero alcune regole di orario, distanza, pericolo, ecc. In questo tempo e in questi spazi i bambini vivevano le loro esperienze di gioco, di avventura, di esplorazione. Una componente importante di queste esperienze era il rischio, l’eccitazione di provare sempre qualcosa di nuovo, di allargare lo spazio, di forzare i vincoli e le regole imposti dagli adulti. Con queste esperienze molto precoci i bambini mettevano le fondamenta che avrebbero dovuto reggere tutto lo sviluppo successivo.
MFB – Le esperienze che lei descrive sembrano mettere in primo piano il gioco, può approfondire questo tema?
FT – La ricerca scientifica dimostra che, prima che un bambino entri in un’aula scolastica, le cose più importanti sono già successe, gli apprendimenti più significativi, quelli sui quali tutta la conoscenza successiva dovrà costruirsi, o sono già acquisiti o difficilmente potranno essere recuperati. Come si può spiegare un fenomeno così sconcertante? Nei primi anni di vita non ci sono insegnanti, non si usano materiali didattici e non si fanno programmi: e allora a cosa possiamo attribuire il merito di una crescita così grande? Mi pare che non abbiamo alternativa dal doverlo attribuire alla più significativa attività di questi primi anni: il gioco.
MFB – Perché questa attività ha un potere così grande?
FT – Il bambino vive nel gioco un’esperienza rara nella vita dell’uomo, quella di confrontarsi da solo con la complessità del mondo. Lui, con tutte le sue curiosità, con tutto quello che sa e che sa fare, e con tutto quello che non sa e che desidera sapere, di fronte al mondo con tutti i suoi stimoli, le sue novità, il suo fascino. E giocare significa ritagliarsi ogni volta un pezzetto di questo mondo: un pezzetto che comprenderà un amico, degli oggetti, delle regole, uno spazio da occupare, un tempo da amministrare, dei rischi da correre. Con una libertà totale, perché quello che non si può fare o non è disponibile si può inventare. Nessun adulto potrà prevedere o misurare la quantità di apprendimento di un bambino che gioca e questa sarà sempre superiore a quello che noi potremo immaginare.
MFB – Ci sta dicendo che nella proposta educativa i bambini vengono privati dell’eccitazione dell’incontro con la complessità e del brivido della scoperta?
FT – Sì certo. È l’adulto che propone ai ragazzi una porzione di quel mondo complesso, tale che l’attività richiesta produca con sicurezza e nei tempi previsti gli apprendimenti voluti.
La complessità del mondo reale è sostituita con quella più controllabile della proposta didattica, dell’esercizio, del libro di testo. In genere il risultato è povero, quasi sempre inferiore alle aspettative. La scuola ha perso il rapporto con il piacere e deve ricorrere ad un motore molto meno potente ed efficace, quello del dovere.
MFB – Torniamo a parlare degli spazi specializzati per i bambini che in questi anni si sono moltiplicati. In che cosa consiste l’offerta?
FT – La prepotente presenza delle automobili e il pericolo da loro rappresentato ha privatizzato gli spazi pubblici e li ha resi impraticabili per i pedoni. L’assenza di persone che passeggiano, che stanno all’aperto, rende gli spazi urbani meno sicuri. La somma di queste condizioni negative costringe i bambini in casa o in luoghi protetti, e sotto la sorveglianza di adulti. Il loro tempo libero è stato sostituito dal tempo, sempre più lungo, passato in casa grazie alla televisione e ai videogiochi, agli smartphone e dalle tante scuole pomeridiane, interessanti per la varietà dei temi offerti, ma sempre scuole e sempre con adulti che insegnano, controllano, garantiscono.
Nascono così spazi dedicati e specializzati per i bambini: la cameretta in casa, il giardinetto fuori; e poi il nido, le colonie, la ludoteca. Ma al bambino non piace stare nella sua cameretta, preferisce stare in cucina a “dar fastidio” alla mamma, così come non gli piace il giardinetto dove si possono fare solo i giochi previsti e dove bisogna andare accompagnati dagli adulti. Sono spazi che rispondono più alle esigenze di sicurezza e di tutela degli adulti che ai bisogni del bambino. Sempre meno bambini vanno a scuola da soli, possono attraversare la strada, recarsi da soli nei luoghi di svago. Queste operazioni semplici vengono vissute sempre con l’accompagnamento e la responsabilità dell’adulto.
Francesco Tonucci, conosciuto anche con lo pseudonimo di “Frato”, (impiegato nei suoi lavori di satira) è un filosofo, uno psicologo e un disegnatore. È autore di numerosi libri sul ruolo dei bambini nel dell’ecosistema urbano, come “La città dei bambini” e “Se i bambini dicono: adesso basta!”, entrambi editi da Laterza. Si è laureato in Pedagogia all’Università Cattolica di Milano. Dopo la laurea ha lavorato come maestro elementare, e nel 1966 è entrato come ricercatore all’Istituto di Psicologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Nel 1982 è diventato responsabile del reparto di Psicopedagogia dell’Istituto, dove ha iniziato un programma di educazione ambientale (ANDREA-Archivio Nazionale di Documentazione e Ricerca sull’Educazione Ambientale) che prevede una banca dati per i bambini, un database che verrà riempito dai bambini. Nel 1991 ha avviato nella città di Fano “La città dei bambini”, un progetto per ripensare alle nostre città a partendo dai bambini. Il progetto ha avuto molto successo e diffuso in oltre 40 città nel mondo. Sempre nel 1991 è stato nominato presidente del “Comitato Italiano per la televisione e Bambini. Ha contribuito alla nascita alla Città della Scienza di Napoli e al “Il Museo dei bambini” di Roma . È stato nominato professore honoris causa della Facoltà di Scienze dell’Educazione presso l’ Università Cattolica di Lima (Peru).
Nel sito internet de “La città dei bambini” è possibile scaricare alcuni testi che illustrano, metodo, teorie e pratiche del progetto.
Mario Flavio Benini