Tratto dagli studi di Alessio e Alessandro De Angelis – Una delle tre prove più determinanti della esistenza storica di Gesù – relativa alla citazione, da parte di Giuseppe Flavio, di “Giacomo fratello di Gesù detto il Cristo” – può essere considerata la meno discussa e allo stesso tempo la più drammatica per i sostenitori dei dogmi della verginità perfetta e della verginità perpetua di Maria (entrambi stabiliti nel secondo concilio di Costantinopoli tenutosi nel 553 d.C.). Consapevoli della importanza di questa testimonianza, ci accingiamo dunque ad analizzare quella che, a tutti gli effetti, può essere considerata la seconda e più importante prova della esistenza storica di Cristo.
Da Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 20.9.4:
“Venuto a conoscenza della morte di Festo, Cesare inviò Albino come Procuratore della Giudea. Il Re Agrippa poi allontanò dal sommo sacerdozio Giuseppe e gli diede come successore nell’ufficio il figlio di Anano, il quale si chiamava anch’egli Anano. Con il carattere che aveva, Anano pensò di avere un’occasione favorevole alla morte di Festo mentre Albino era ancora in viaggio: così convocò i Giudici del Sinedrio e introdusse davanti a loro un uomo di nome Giacomo, fratello di Gesù, detto Cristo, e certi altri, con l’accusa di avere trasgredito la Legge e li consegnò perché fossero lapidati. Ma le persone più equanimi della città, considerate le più strette osservanti della Legge (i Giudici del Sinedrio) si sentirono offese da questo fatto.
Perciò inviarono segretamente (legati) dal Re Agrippa supplicandolo di scrivere una lettera ad Anano dicendogli che il suo primo passo non era corretto, e ordinandogli di desistere da ogni ulteriore azione. Alcuni di loro andarono incontro ad Albino che era in cammino da Alessandria informandolo che Anano non aveva alcuna autorità di convocare il Sinedrio senza il suo assenso. Convinto da queste parole, Albino, sdegnato, inviò una lettera ad Anano minacciandolo che ne avrebbe espiato la pena dovuta. E il Re Agrippa, per la sua azione, depose Anano dal sommo pontificato che aveva da tre mesi, sostituendolo con Gesù, figlio di Damneo.”
Giuseppe Flavio ci racconta dunque che, approfittando del vuoto di potere venutosi a creare tra la morte del procuratore Festo e l’arrivo del nuovo procuratore Albino, il sommo sacerdote Anano raduna il sinedrio senza il consenso dell’imperatore e consegna Giacomo, fratello di “Gesù soprannominato Cristo”, e taluni altri “affinché vengano lapidati”.
Tuttavia gli “uomini più equanimi della città” si affrettano per andare ad informare Albino, il quale decide di deporre Anano sostituendolo con Gesù, figlio di Damneo. Secondo i moderni esegeti, il brano racconterebbe il martirio subìto da Giacomo (fratello germano di Gesù e dunque figlio di Maria e di Giuseppe – vedasi in proposito lo studio sui fratelli di Gesù di Alessio De Angelis) descrittoci dal vescovo cristiano del IV secolo Eusebio di Cesarea nella sua opera Storia ecclesiastica.
Innanzitutto bisogna rilevare che l’episodio differisce notevolmente dalla descrizione fatta da Eusebio relativa al martirio di Giacomo: in questo caso Giuseppe parla di una azione riferita a un gruppo di persone (Giacomo… e certi altri), mentre Eusebio di Cesarea descrive la morte di una sola persona (Giacomo il Minore, soprannominato “il Giusto”). In secondo luogo il capo d’imputazione delle persone fermate in stato di accusa è, secondo il testo, quello di “aver trasgredito la legge”, mentre nessuna accusa di trasgressione può essere imputata al Giacomo martire, che fu ucciso per intimorire la popolazione (Historia ecclesiastica 2.23.14).
Da una attenta lettura del brano di Giuseppe Flavio, risulterebbe inoltre che il Giacomo accusato assieme a certi altri di aver trasgredito la legge non sia stato ucciso. Giuseppe Flavio ci informa che i trasgressori “furono consegnati affinché fossero lapidati”; di fatto, però, la lapidazione non avviene. Infatti le “persone più equanimi della città” si affrettarono ad informare Albino “affinché Anano desistesse da ogni ulteriore azione”, vale a dire la morte di Giacomo. Albino si affretta dunque per deporre Anano e sostituirlo con Gesù figlio di Damneo.
Ne consegue che la locuzione “soprannominato Cristo” non può essere stata scritta da Giuseppe Flavio, perché il Giacomo fratello di Gesù condannato alla lapidazione da Anano non corrisponde al martire Giacomo fratello di Gesù Cristo.
Il primo, a differenza del secondo, non muore e quindi non subisce martirio. Gli episodi differiscono, inoltre, anche in altri aspetti particolari.
Tratto da Alessio De Angelis, La fine del Cristianesmo, Uno Editori:
“È possibile ipotizzare che il primo a ingenerare l’equivoco, scambiando il Gesù fratello di Giacomo per Gesù detto il Cristo sia stato Origene, apologeta cristiano, che, forse non conoscendo bene le opere di Giuseppe Flavio, in Commentario a Matteo 10.17 e in Contra Celsum 1.47 riportò in maniera esagerata – probabilmente citando a memoria – questo passo di Antichità giudaiche, aggiungendo a “Gesù” il particolare “detto il Cristo”; ma, come abbiamo visto, il Giacomo di Giuseppe Flavio nulla ha a che vedere con l’omonimo protagonista neotestamentario. Infatti nessuna citazione dei primi Padri della Chiesa, compresi san Girolamo e lo stesso Origene, è mai riportata in maniera diretta, in quanto gli autori parlano sempre in prima persona, quasi citando a memoria.
A tal proposito scrive Zvi Baras: Il parallelismo fra i due testi è già stato sottolineato da Chadwick, che ha provato che Eusebio citò il passaggio di Origene parola per parola, ma cambiandolo in discorso diretto (Josephus, Judaism and Christanity p. 345). È possibile ipotizzare che in epoca più tarda Eusebio, autore del Testimonium flavianum, leggendo questo riferimento in Origene, lo abbia riportato nella sua opera in maniera diretta, come se fossero le esatte parole di Giuseppe, e di fatto abbia deciso di introdurlo artatamente nell’opera dello storico.”