Questa ipotesi, nota pure come plasticismo evolutivo, è una teoria dichiaratamente neo-evoluzionistica che, pur accettando il principio della selezione naturale e il ruolo della genetica, si sofferma soprattutto sul possibile meccanismo di induzione delle mutazioni evolutive, suggerendone una diversa spiegazione. Più in dettaglio, l’autore, che è dottore agronomo e botanico, ha provato a rispondere alle seguenti domande:
- In che modo l’insetto-foglia è riuscito a rendere il suo corpo del tutto simile, fin nei più piccoli particolari, alle foglie del suo habitat naturale?
- Solo grazie a mutazioni casuali e alla successiva selezione naturale?
- Oppure per azione di qualche importante meccanismo ancora ignoto?
- Oltre al fatto, già noto, che la selezione naturale agisce selettivamente sulla diffusione degli individui mimetici, è possibile che esista qualche altra correlazione, più diretta e ancora non studiata, tra il mimetismo e l’evoluzione delle specie viventi?
- La psiche degli individui può, oltre che influire sull’espressione dei geni, indurre anche la comparsa di geni del tutto nuovi?
Ebbene, in risposta a tali domande, questa teoria giunge a proporre che l’evoluzione degli esseri viventi possa essere dovuta a una presunta azione mutagena della psiche dei viventi che agirebbe direttamente sul genoma e sull’epigenoma delle cellule germinali (o, più in generale, delle cellule riproduttive). In particolare essa suppone che il meccanismo che induce le variazioni temporanee negli organismi rapido-mimetici (sepiidae) sia dello stesso tipo di quello che ha indotto le variazioni fissate geneticamente negli organismi cripto-mimetici come gli insetti-foglia (phasmidae), e che entrambi abbiano dei punti in comune con il meccanismo che consente l’acquisizione di nuove caratteristiche alle specie in evoluzione. Si distingue dal neo-darwinismo perché non accetta il caso come causa delle mutazioni evolutive e, al contrario, suppone che l’evoluzione sia orientata dalla volontà degli esseri viventi. Tuttavia, pur ridimensionandolo, accetta la fondatezza del meccanismo della selezione naturale.
Si distingue dal lamarckismo perché, pur ritenendo che le mutazioni siano indotte da una necessità vitale, non le spiega con l’azione di stimoli fisici (principio dell’uso e non uso) ma attraverso stimoli di natura psichica (azione ideoplastica), presumibilmente mediati da meccanismi di natura ondulatoria o, addirittura, non-locali.
Per cui, in definitiva, l’evoluzione non sarebbe altro che “una volontà che prende forma”. Inoltre, rispetto al lamarckismo riesce anche a spiegare la comparsa di caratteri non dipendenti dall’uso e non uso e l’ereditarietà dei caratteri acquisiti (spiegata dall’azione diretta della psiche sul genoma). Riconosce il fondamentale ruolo della genetica nell’espressione dei caratteri fenotipici, ma considera i geni più il veicolo che la fonte dell’evoluzione (non accetta, cioè, che mutazioni casuali nei geni possano condurre a mutazioni complesse e funzionali, ma solo a micro-mutazioni, spesso deleterie).
Suppone che tutti gli esseri viventi siano dotati di funzioni mentali e, per quanto riguarda i vegetali, fa anche riferimento alla neurobiologia vegetale, secondo cui anche i vegetali sarebbero dotati di consapevolezza e sarebbero in grado di reagire volontariamente agli stimoli esterni, e all’ipotesi della percezione primaria di Backster. Ipotizza, poi, che alcuni aspetti evoluzionistici possano essere spiegati secondo il paradigma olografico di Bohm. E, ancora, pur ammettendo di non conoscere le modalità con cui la psiche agirebbe sui geni, avanza l’ipotesi che il meccanismo coinvolto possa essere di tipo quantistico (poiché le conclusioni della fisica quantistica relative alla materia inanimata devono essere valide anche per i sistemi biologici). Tenta, infine, di conciliare posizioni diametralmente contrapposte, come quelle degli evoluzionisti e dei sostenitori dell’Intelligent Design, o di studiosi come Dawkins e Sheldrake.
Talora mettendo in evidenza come alcune teorie, spacciate per originali, trovino invece la loro origine in antiche tradizioni e concezioni filosofiche (come l’iperuranio di Platone, il monismo panteistico di Giordano Bruno e l’archivio Akashico degli Induisti) o in modelli di fisica quantistica, come l’implicate order del paradigma olografico di Bohm o negli studi di Alan Aspect. Ma è bene precisare che la teoria del plasticismo evolutivo si basa essenzialmente su osservazioni di tipo naturalistico (presunta mente collettiva degli insetti sociali e mimetismo) e su fenomeni normalmente accettati da altre discipline scientifiche (effetti placebo e nocebo, somatizzazioni da MPD) o in via di studio (presunta memoria degli organi dei trapiantati, azione ideoplastica delle pratiche ipnotiche, potenziali somatosensoriali evocati) e che li collega in maniera originale e stimolante con il mistero dell’evoluzione delle specie viventi fino a proporre una nuova ipotesi di studio.
Questa teoria è stata presentata per la prima volta nel 1999 nella prima stesura del romanzo Metamorfer. La gemma di Darwin e, successivamente, in una serie di saggi (E se Darwin si fosse Sbagliato?
Enzo Pecorelli