Nel corso dei nostri studi precedenti, abbiamo già avuto l’occasione di alludere, a proposito dei simboli del Centro, alle tradizionali dottrine dell’estremo-oriente, e più specialmente al Taoismo, che ne è la parte propriamente metafisica, il Confucianesimo, molto più comunemente conosciuto, concerne unicamente le applicazioni d’ordine sociale [1].
Questa divisione della dottrina in due rami nettamente separati, l’uno interiore, riservato a un’élite abbastanza ristretta, e l’altro esteriore, comune a tutti senza distinzione, è uno dei tratti caratteristici della civiltà cinese, almeno a partire dal VI secolo prima dell’era cristiana, epoca in cui, da un riadattamento della tradizione anteriore a nuove condizioni, nacquero al tempo stesso queste due forme dottrinali che sono solitamente designate con i nomi di Taoismo e Confucianesimo.
Anche nel Confucianesimo, l’idea di Centro gioca un ruolo tutt’altro che trascurabile: frequentemente, infatti, vi si parla dell’“invariabile mezzo” (tchoung-young), che è il luogo dell’equilibrio perfetto, e, allo stesso tempo, il punto dove si riflette direttamente l’“Attività del Cielo”. Occorre notare, d’altra parte, che in tal caso non si tratta precisamente del Centro universale, essendo il punto di vista del Confucianesimo limitato a un ordine contingente; questo “invariabile mezzo” è propriamente il punto d’incontro dell’“Asse del Mondo” (secondo la direzione da cui si esercita l’“Attività del Cielo”) con il dominio delle possibilità umane; in altri termini, è solamente il centro dello stato umano, che non è che un’immagine riflessa del Centro universale. Questo centro del dominio umano, insomma, non è altra cosa che il Paradiso terrestre, o lo stato che vi corrisponde, quello che si può chiamare lo “stato edenico”.
La tradizione delle discipline dell’estremo-oriente attribuisce appunto un’importanza considerevole allo “stato primordiale”, altra designazione equivalente a quella.
D’altra parte, questo stesso centro può, sotto un certo rapporto, essere considerato come identificantesi, virtualmente o effettivamente secondo i casi, al vero “Centro del Mondo”, inteso in senso universale; ma questo esige una trasposizione che oltrepassa il punto di vista speciale del Confucianesimo. Per il Taoismo, al contrario, in ragione del suo carattere puramente metafisico, è del Centro universale che si tratta costantemente; pertanto è a questa dottrina che ci riferiremo da ora in modo quasi esclusivo.
Uno dei simboli più frequentemente impiegati dal Taoismo, così come da molte altre dottrine tradizionali, è quello della “ruota cosmica”, il cui movimento è la figura del cambiamento continuo al quale sono sottomesse tutte le cose manifestate [2]. La circonferenza gira attorno al suo centro, che solo non partecipa a questa rotazione, ma resta fisso e immutabile, simbolo dell’immutabilità assoluta del Principio, di cui l’equilibrio, così come lo considera il Confucianesimo, non è che il riflesso nell’ordine della manifestazione. Questo centro è l’equivalente del “motore immobile” di Aristotele; dirige ogni cosa con la sua “attività non agente” (wei wou-wei), che, sebbene non manifestata, o piuttosto perché non manifestata, è in realtà la pienezza dell’attività, poiché è quella del Principio dalla quale sono derivate tutte le attività particolari. È ciò che Lao-tseu esprime in questi termini: “Il Principio è sempre non-agente, e tuttavia tutto è fatto da lui” [3].
Il saggio perfetto, secondo la dottrina taoista, è colui che è pervenuto al punto centrale e che vi dimora in unione indissolubile con il Principio, partecipando della sua immutabilità e imitando la sua “attività non-agente”: “Colui che è arrivato al massimo del vuoto, dice Lao-tseu, questi sarà fissato solidamente nel riposo … Ritornare alla propria radice (ossia al Principio, al tempo stesso origine prima e fine ultima di tutti gli esseri) [4], è entrare nello stato di riposo” [5]. Il “vuoto” di cui si tratta qui, è il distacco completo riguardo a tutte le cose manifestate, transitorie e contingenti, distacco grazie al quale l’essere sfugge alle vicissitudini della “corrente delle forme”, all’alternanza degli stati di “vita” e di “morte”, di “condensazione” e di “dissipazione” (Aristotele, in un senso simile, dice “generazione” e “corruzione”), passando dalla circonferenza della “ruota cosmica” al suo centro, che è designato esso stesso come “il vuoto” (il non-manifestato) che unisce i raggi e ne fa una ruota” [6]. “La pace nel vuoto, dice Lie-tseu, è uno stato indefinibile; non la si prende e non la si dà; si arriva a stabilircisi ” [7]. “A colui che dimora nel non-manifestato, tutti gli esseri si manifestano … Unito al Principio, tramite lui è in armonia con tutti gli esseri. Unito al Principio, conosce tutto attraverso le ragioni generali superiori, e non usa più, di conseguenza, i suoi diversi sensi, per conoscere in particolare e in dettaglio. La vera ragione delle cose è invisibile, inafferrabile, indefinibile, indeterminabile.
Solo lo spirito ristabilito nello stato di semplicità perfetta, può raggiungerla nella contemplazione profonda” [8]. Si vede qui la differenza che separa la conoscenza trascendente del saggio dal sapere ordinario o “profano”; e l’ultima frase deve in modo del tutto naturale ricordare queste parole del Vangelo: “Chiunque non riceverà il Regno di Dio come un fanciullo, non vi entrerà” [9].
Del resto, le allusioni a questa “semplicità”, vista come caratteristica dello “stato primordiale”, non sono rare nel Taoismo; e parimenti, nelle dottrine indù, lo stato di “infanzia” (in sanscrito bâlya), inteso nel senso spirituale, è considerato come una condizione preliminare all’acquisizione della conoscenza per eccellenza.
Posto al centro della “ruota cosmica”, il saggio perfetto la muove invisibilmente [10], con la sua sola presenza, e senza doversi preoccupare di esercitare una qualunque azione; il suo distacco assoluto lo rende maestro di ogni cosa, giacché non può più essere influenzato da niente. “Ha raggiunto l’impassibilità perfetta; la vita e la morte essendogli ugualmente indifferenti, lo sprofondamento dell’universo non gli causerebbe alcuna emozione. A forza di scrutare, è arrivato alla verità immutabile, la conoscenza del Principio universale unico. Lascia evolvere gli esseri secondo i loro destini, e si tiene, egli, nel centro immobile di tutti i destini [11] … Il segno esteriore di questo stato interiore è l’imperturbabilità; non quella del prode che si avventa solo, per l’amore della gloria, su un’armata schierata in battaglia; ma quella dello spirito che, superiore al cielo, alla terra, a tutti gli esseri [12], abita in un corpo al quale non tiene, non bada alle immagini che i suoi sensi gli forniscono, conosce tutto per conoscenza globale nella sua unità immobile.
Quello spirito, assolutamente indipendente, è maestro degli uomini; se gli piacesse di convocarli in massa, nel giorno fissato tutti accorrerebbero; ma non vuole farsi servire” [13]. L’indipendenza di colui che, liberato da tutte le cose contingenti, è pervenuto alla conoscenza della verità immutabile, è parimenti affermata nel Vangelo. “Voi conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi” [14]; e si potrebbe anche, d’altra parte, fare un accostamento tra ciò che precede e queste altre parole evangeliche: “Cercate per prima cosa il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù” [15].
Nel punto centrale, tutte le distinzioni inerenti ai punti di vista esteriori sono superati; tutte le opposizioni sono scomparse e sono risolte in un perfetto equilibrio. “Nello stato primordiale, queste opposizioni non esistevano. Tutte sono derivate dalla diversificazione degli esseri (inerente alla manifestazione e come essa contingente), e dai loro contatti causati dalla girazione universale. Esse cesserebbero, se la diversità e il movimento cessassero. Esse cessano di colpo d’influenzare l’essere che ha ridotto il suo io distinto e il suo movimento particolare a pressoché niente [16]. Questo essere non entra più in conflitto con alcun essere, poiché è insediato nell’infinito, cancellato nell’indefinito. È pervenuto e si tiene nel punto di partenza delle trasformazioni, punto neutro dove non ci sono conflitti. Mediante la concentrazione della sua natura, l’alimentazione del suo spirito vitale, la raccolta di tutte le sue potenze, si è unito al principio di tutte le genesi. La sua natura essendo intera, il suo spirito vitale intatto, nessun essere saprebbe scalfirlo” [17].
Il punto neutro dove tutti i contrasti e tutte le antinomie si risolvono nell’unità prima, è il luogo centrale che certe scuole dell’esoterismo mussulmano chiamano “stazione divina” (maqâmul-ilahi), e che rappresentano come l’intersezione dei bracci della croce, secondo un simbolismo al quale abbiamo già fatto qualche allusione [18].Questo punto centrale e primordiale è ugualmente identico al “Santo Palazzo” o “Palazzo interiore” della Kabala ebraica, che è al centro delle sei direzioni dello spazio, le quali, d’altra parte, formano anche una croce a tre dimensioni [19]. In se stesso, questo punto non è situato, giacché è assolutamente indipendente dallo spazio, che non è che il risultato della sua espansione o del suo sviluppo indefinito in tutti i sensi, e che, di conseguenza, procede interamente da lui: “Trasportiamoci in spirito, al di fuori di questo mondo di dimensioni e di localizzazioni, e non ci sarà più motivo di voler situare il Principio” [20].
Ma, una volta realizzato lo spazio, il punto primordiale, pur restando sempre essenzialmente “non localizzato”, si fa il centro di questo spazio (ossia, trasponendo questo simbolismo, il centro di tutta la manifestazione universale); è da lui che partono le sei direzioni (che, opponendosi due a due, rappresentano tutti i contrari), ed è ancora a lui che ritornano, attraverso il movimento alterno d’espansione e di concentrazione che costituisce le due fasi complementari di ogni manifestazione [21].È la seconda di queste fasi, il movimento di ritorno verso l’origine, che segna la via seguita dal saggio per pervenire all’unione con il Principio: la “concentrazione della sua natura”, la “raccolta di tutte le sue potenze”, nel testo che poco sopra citavamo, lo indicano nel modo più netto possibile; e la “semplicità”, di cui si è già trattato, corrisponde all’unità “senza dimensione” del punto primordiale.
“L’uomo assolutamente semplice flette con questa semplicità tutti gli esseri, … così che niente gli si oppone nelle sei regioni dello spazio, che niente gli è ostile, che il fuoco e l’acqua non lo feriscono” [22]. Infatti, si tiene al centro, dal quale le sei direzioni sono uscite per irraggiamento, e dove esse vengono, nel movimento di ritorno, a neutralizzarsi due a due, di modo che, in questo punto unico, la loro triplice opposizione cessa interamente, e che nulla di quel che ne risulta o vi si localizza può colpire l’essere che dimora nell’unità immutabile. Non opponendosi a niente, parimenti niente saprebbe opporsi a lui, giacché l’opposizione è necessariamente una relazione reciproca, che esige la presenza di due termini, e che, di conseguenza, è incompatibile con l’unità principiale; e l’ostilità, che non è che una conseguenza o una manifestazione esteriore dell’opposizione, non può esistere nei confronti di un essere che è al di fuori e al di là di tutte le opposizioni. Il fuoco e l’acqua, che sono il tipo dei contrari nel “mondo elementare”, non possono ferirlo, giacché, a dire il vero, non esistono neppure più per lui in quanto contrari, essendo rientrati, equilibrandosi e neutralizzandosi l’un l’altro nella riunione delle loro qualità complementari, nell’indifferenziazione dell’etere primordiale.
Per colui che si tiene al centro, tutto è unificato, giacché vede tutte le cose nell’unità del Principio; tutti i punti di vista particolari (o, se si vuole, “particolaristi”) e analitici, che non sono fondati che sulle distinzioni contingenti, e da cui nascono tutte le divergenze delle opinioni individuali, sono scomparsi per lui, riassorbiti nella sintesi totale della conoscenza trascendente, adeguata alla verità una e immutabile. “Il suo proprio punto di vista, è un punto dal quale questo e quello, sì e no, appaiono ancora non-distinti. Questo punto è il perno della norma; è il centro immobile di una circonferenza sul contorno della quale rotolano tutte le contingenze, le distinzioni e le individualità; da dove non si vede che un infinito, che non è né questo né quello, né sì né no. Vedere ogni cosa nell’unità primordiale non ancora differenziata, o da una distanza tale che tutto si fonda in uno, ecco la vera intelligenza” [23]. Il “perno della norma”, è quel che quasi tutte le tradizioni chiamano il “Polo” [24], ossia il punto fisso attorno al quale si compiono le rivoluzioni del mondo, secondo la norma o la legge che regge ogni manifestazione, e che non è essa stessa che l’emanazione diretta del centro, l’espressione della “Volontà del Cielo nell’ordine cosmico [25].
Si noterà che vi è, formulata in un modo particolarmente esplicito nell’ultimo testo che abbiamo appena citato, un’immagine molto più corretta di quella di cui si è servito Pascal quando ha parlato di “una sfera il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo”. A prima vista, si potrebbe quasi credere che le due immagini siano paragonabili, se non identiche; ma, in realtà, esse sono esattamente l’inverso una dell’altra; Pascal, infatti, si è qui lasciato trascinare dalla sua immaginazione di geometra, che l’ha portato a rovesciare i reali rapporti, quali devono essere considerati dal punto di vista metafisico. È il centro che non è propriamente in nessun luogo, poiché, come dicevamo sopra, è “non-localizzato”; non può essere trovato in nessun luogo della manifestazione, essendo assolutamente trascendente in rapporto a essa, pur essendo interiore a tutte le cose. È al di là di tutto quello che può essere raggiunto dai sensi e dalle facoltà che procedono dall’ordine sensibile: “Il Principio non può essere raggiunto né con la vista, né con l’udito … Il Principio non può essere udito; ciò che si sente non è lui.
Il Principio non può essere visto; ciò che si vede non è lui. Il Principio non può essere enunciato; ciò che si enuncia non è lui … Il Principio, non potendo essere immaginato, non può parimenti essere descritto” [26]. Tutto ciò che può essere visto, udito, immaginato, enunciato o descritto, appartiene necessariamente alla manifestazione; è dunque la circonferenza che, in realtà, è ovunque, poiché tutti i luoghi dello spazio, o, più generalmente, tutte le cose manifestate (lo spazio non essendo qui che un simbolo della manifestazione universale), “tutte le contingenze, le distinzioni e le individualità”, non sono che degli elementi della “corrente delle forme”, dei punti della circonferenza della “ruota cosmica”.
Ci siamo limitati a riprodurre e spiegare alcuni testi scelti tra molti altri dello stesso genere, e presi a prestito soprattutto ai grandi commentatori taoisti del IV secolo prima della nostra era, Lie-tseu e Tchoang-tseu. L’orientalista G. Pauthier, che, senza essere penetrato fino al senso profondo delle dottrine tradizionali, aveva almeno intravisto più cose di molti di coloro che sono venuti dopo di lui, chiamava il Taoismo “un Cristianesimo primitivo”; non era senza ragione, e le considerazioni che abbiamo esposto aiuteranno forse a comprenderlo. Si potrà, segnatamente, riconoscere che esiste una concordanza delle più sorprendenti tra l’idea del saggio che, tenendosi al “Centro del Mondo”, unito al Principio, vi dimora nella pace, sottratto a tutte le vicissitudini del mondo esteriore, e l’idea dell’“ambiente spirituale” nel Cuore del Cristo, di cui si è già parlato qui a più riprese [27]. È questa ancora una prova dell’armonia delle tradizioni antiche con il Cristianesimo, armonia che, per noi, trova precisamente la sua sorgente e la sua spiegazione nel “Centro del Mondo”, vogliamo dire nel Paradiso terrestre: come i quattro fiumi sono usciti dalla fontana unica che è ai piedi dell’“Albero della Vita”, così tutte le grandi correnti tradizionali sono derivate dalla Rivelazione primitiva.
* Pubblicato in Regnabit, No 12, 6e année, mai 1927, pp. 173-180.
1. Vedere L’Omphalos, symbole du Centre [L’Omphalos, simbolo del Centro], Regnabit, giugno 1926.
2. Vedere L’idée du Centre dans les traditions antiques [L’idea del Centro nelle tradizioni antiche], Regnabit, maggio 1926. – La figura ottagonale degli otto koua o “trigrammi” di Fo-hi, che è uno dei simboli fondamentali della tradizione estremo-orientale, equivale sotto certi aspetti alla ruota a otto raggi, come pure al loto a otto petali.
3. Tao-te-king, cap. XXXVII.
4. Il termine Tao, letteralmente “Via”, che designa il Principio (e ci si ricorderà qui che il Cristo ha detto: “Io sono la Via”), è rappresentato da un carattere ideografico che riunisce i segni della testa e dei piedi, ciò che equivale al simbolo dell’alpha e dell’omega.
5. Tao-te-king, cap. XVI.
6. Tao-te-king, cap. XI. – Cf. L’Omphalos, symbole du Centre, Regnabit, giugno 1926, pp. 45-46.
7. Lie-tseu, cap. I. – Citiamo i testi di Lie-tseu e di Tchoang-tseu nella traduzione del R. P. Léon Wieger, S. J.
8. Lie-tseu, cap. IV.
9. Luca, XVIII, 17. – Cf. anche Matteo, XI, 25, e Luca, X, 21: “Mentre avete nascosto queste cose ai sapienti e ai prudenti, le avete rivelate ai semplici e ai piccoli”.
10. È la stessa idea che è espressa d’altra parte, nella tradizione indù, con il termine Chakravartî, letteralmente “colui che fa girare la ruota”. – Vedere anche, a questo proposito, ciò che abbiamo detto in precedenza sullo swastika come “segno del Polo” (L’idée du Centre dans les traditions antiques, Regnabit, maggio 1926, pp. 482-485).
11. Secondo il commentario tradizionale di Tcheng-tseu sull’Yi-king, la parola “destino” “designa la vera ragion d’essere delle cose”; il “centro di tutti i destini”, è dunque il Principio in quanto tutti gli esseri hanno in lui la loro ragione sufficiente.
12. Il Principio o il Centro, in effetti, è prima di ogni distinzione, compresa quella del cielo e della terra, che rappresenta la prima dualità.
13. Tchoang-tseu, cap. V.
14. Giovanni, VIII, 32.
15. Matteo, VI, 33; Luca, XII, 31. – Occorre ricordarsi qui dello stretto rapporto che esiste tra l’idea di giustizia e quella di equilibrio e armonia (vedere L’idée du Centre dans les traditions antiques, Regnabit, maggio 1926, p. 481).
16. Questa riduzione dell’“io distinto” è la stessa cosa che il “vuoto” di cui si è trattato più sopra; d’altra parte, è manifesto, secondo il simbolismo della ruota, che il “movimento” di un essere è tanto più ridotto quanto più questo essere è prossimo al centro.
17. Tchoang-tseu, cap. XIX. – L’ultima frase si riferisce ancora alle condizioni dello “stato primordiale”: è l’immortalità dell’uomo prima della caduta, recuperata da colui che, ritornato al “Centro del Mondo”, si alimenta all’“Albero della Vita”.
18. L’idée du Centre dans les traditions antiques, Regnabit, maggio 1926, p. 481; Cœur et Cerveau [Cuore e Cervello], Regnabit, gennaio 1927, p. 157.
19. Vedere Le Cœur du Monde dans la Kabbale hébraïque [Il Cuore del Mondo nella Kabala ebraica], Regnabit, luglio-agosto 1926.
20. Tchoang-tseu, cap. XXII.
21. Vedere ancora L’idée du Centre dans les traditions antiques, Regnabit, maggio 1926, p. 485.
22. Lie-tseu, cap. II.
23. Tchoang-tseu, cap. II.
24. La “Grande Unità” (Tai-i) è rappresentata come residente nella stella polare, che è chiamata Tien-ki, ossia letteralmente “apice del cielo”.
25. La “Rettitudine” (Te), il cui nome evoca l’idea dell’“Asse del Mondo”, è, nella dottrina di Lao-tseu, quel che si potrebbe chiamare una “specificazione” della “Via” (Tao) in rapporto a un essere o a uno stato di esistenza determinato: è la direzione che questo essere deve seguire perché la sua esistenza sia secondo la “Via”, o, in altri termini, in conformità con il Principio (direzione presa in senso ascendente, mentre, in senso discendente, questa stessa direzione è quella dell’“Attività del Cielo”). – Questo può essere accostato a ciò che abbiamo indicato precedentemente a proposito del significato simbolico dell’orientazione rituale (L’idée du Centre dans les traditions antiques, Regnabit, maggio 1926, p. 485).
26. Tchoang-tseu, cap. XXII. – Vedere il “post-scriptum” del nostro articolo di Regnabit, marzo 1927, pp. 350-351.
27. A proposito di questa questione, abbiamo rilevato ancora ultimamente un riferimento interessante: nelle Révélations de l’Amour divin à Julienne de Norwich, recluse du XIVe siècle [Rivelazioni dell’Amore divino a Julienne di Norwich, reclusa del XIV secolo], di cui è appena stata pubblicata una traduzione francese da Dom G. Meunier, la decima rivelazione mostra tutta la porzione del genere umano che sarà salvata, posta nel “divino Cuore trafitto dalla lancia”.
René Guénon