Uomini in rosso che corrono in giro con forbici giganti, donne vichinghe che danzano sinuose e Saddam Hussein addetto alle scarpe da bowling, queste, sono solo alcune delle tante cose che, il protagonista de “Il grande Lebowski”, vede durante il viaggio onirico indotto dall’LSD. Era il lontano 1967, quando i Jefferson Airplane cantavano dei trip da acido nella loro White Rabbit, eppure, ancora oggi, le sostanze psichedeliche rappresentano nell’immaginario collettivo la trasgressione, lo sballo più estremo.
Ecco perché, il posto in cui meno ci si potrebbe aspettare di trovare un studio clinico che preveda la somministrazione di Psilocibina (principio attivo dei famosi funghetti magici) è un’istituzione britannica che, tra le altre cose, vanta la scoperta della penicillina. Eppure, quello appena descritto, è uno studio clinico controllato attualmente in corso al Centre for Psychedelic Research, il primo centro di ricerca al mondo sulla scienza psichedelica aperto dall’Imperial College di Londra nel 2016.
Letteralmente, il termine psichedelico, significa “manifestazione della mente”, coniato nel 1956 dallo psichiatra Humphrey Osmond, identifica un gruppo di sostanze, appartenenti alla vasta famiglia degli allucinogeni, capaci di alterare i nostri sensi e di farci “viaggiare”. La dietilammide dell’acido lisergico (LSD), Psilocibina, DMT e Mescalina, sono gli esempi più famosi di queste sostanze che agiscono come agonisti competitivi della serotonina e devono la loro principale azione farmacologica all’attivazione del recettore serotoninergico 5-HT2A.
Ampiamente utilizzati in ambito psichiatrico negli anni ‘50 e ‘60, gli psichedelici, vennero successivamente classificati nel 1967 come droghe dal massimo potenziale di danno e dipendenza e proibite per qualsiasi uso medico. Agli inizi degli anni novanta, tuttavia, alcuni studi pubblicati in Germania e in America, aprirono la strada ad un possibile uso sicuro di queste sostanze in ambito psichiatrico in particolare per il trattamento della depressione.
Attualmente, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, più di 300 milioni di persone nel mondo sono affette da depressione, di queste, circa il 20%, risulta resistente a qualsiasi tipo di terapia attualmente approvata per questo tipo di patologia. Il particolare, circa il 30-50% dei pazienti a cui è stata diagnosticata una forma di depressione maggiore resistente al trattamento (DRT) non rispondein maniera soddisfacente al primo trial con gli antidepressivi attualmente in uso. Per questo motivo, una delle sfide-chiave per il prossimo futuro è lo studio di nuovi approcci terapeutici per la cura della depressione.
Come ha spiegato il dr. Robin Carhart-Harris, direttore del Centre for Psychedelic Research, ”I trattamenti standard per la depressione prevedono l’utilizzo di farmaci che inibiscono la ricaptazione della serotonina, questo attenua i sentimenti più debilitanti ma, smorza anche le emozioni positive”, gli psichedelici invece “sembrano agire determinando nei pazienti una sorta di rinnovamento psicologico”. Ovviamente, sottolinea, “gli psichedelici, sono sostanze estremamente potenti e per questo non devono essere usate per divertirsi”.
Dal 2016, il centro di ricerca dell’Imperial College si occupa principalmente di analizzare come gli psichedelici agiscono sul nostro cervello e di indagare su un possibile uso di queste sostanze per il trattamento della depressione. Uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), mostra come , in presenza della LSD, una porzione molto più estesa del nostro cervello contribuisce alla funzione visiva. Questa maggiore attività, secondo gli esperti, è certamente correlata alle visioni oniriche raccontate da chi fa uso di queste sostanze.
Carhart-Harris e il suo team hanno anche analizzano gli effetti della Psilocibina in pazienti affetti da depressione resistente al trattamento. Uno studio su piccola scala pubblicato su Scientific Reports nel 2017, da cui emergono spunti molto interessanti. Prima di tutto, la comunicazione nel nostro cervello sembra avvenire in modo totalmente diverso in presenza degli Psichedelici.
Dopo la somministrazione di Psilocibina, infatti, anche se il numero di connessioni neuronali resta invariato, la comunicazione risulta decisamente più diversificata e non confinata in percorsi specifici. Inoltre, lo studio suggerisce l’ipotesi che la Psilocibina riduca i sintomi della depressione in pazienti affetti da depressione resistente al trattamento e tale effetto sia dovuto ad una sorta di “reset” delle attività celebrali.
Carhart-Harris, ha precisato: “Non stiamo cercando di fare il lavaggio del cervello alle persone stiamo dando loro l’opportunità di vedere le cose in modo diverso”.
Ovviamente, “non diciamo ai nostri pazienti di mangiare qualche funghetto magico e incrociare le dita”, dichiara Robin Carhart-Harris durante il suo discorso al TEDx Warwick, “ogni paziente e preparato e supportato durante tutta la terapia da un team di psicoterapeuti e la somministrazione avviene solo previa autorizzazione legale ed etica”.
Attualmente, è possibile fare solo studi su piccola scale sugli Psichedelici ecco perché, nel 2017, il centro lancia uno studio che permetteva a chi fa uso voluttuario di queste sostanze di lasciare una testimonianza in forma totalmente anonima. Questa iniziativa, spiegano i ricercatori, ha permesso di raccogliere moltissimi dati utili sugli effetti di queste sostanze. Da gennaio 2019, inoltre, è iniziato uno studio randomizzato di controllo per analizzare i possibili benefici della Psilocibina in pazienti affetti da depressione maggiore. Lo studio confronterà il trattamento di sei settimane con Escitalopram (farmaco antidepressivo SSRI) con due dosi di Psilocibina mediante l’utilizzo della fMRI. Ospite recentemente al World Economic Forum di Davos, Carhart-Harris ha dichiarato, “non stanno proponendo cure miracolose e la soluzione definitiva alla depressione ma, crediamo fermamente nell’esigenza di indagare in modo più approfondito su queste sostanze”.
Quando fu inaugurato il centro, il comitato direttivo dell’Imperial College dichiarò in una nota ufficiale di aver deciso “rischiare” puntando su una ricerca pioneristica perché “la scienza psichedelica poteva portare ad un’autentica rivoluzione nella nostra comprensione della coscienza umana e del modo in cui trattiamo la malattia mentale”.Carl Sagan ha detto: “Da qualche parte, qualcosa di incredibile è in attesa di essere scoperto”, per l’Imperial College, questo luogo potrebbe essere il nostro inconscio, se hanno ragione, questo è solo il principio.
Mirella Orsi (Il Bo Live, il giornale dell’Università di Padova)