Una nuova ricerca dell’Università di Lund svela la struttura dei segnali sonori emessi dai delfini per l’ecolocalizzazione: questo potrebbe avere importanti risvolti in tutti i campi nei quali vengono impiegati gli ultrasuoni.
ANIMALI – Da sempre l’uomo ha imparato a copiare dalla natura, a ispirarsi a piante e animali nella costruzione di nuovi strumenti, e a ragione: milioni di anni di miglioramenti e rifiniture meritano senza dubbio attenzione. Se i primi studi su ultrasuoni ed ecolocalizzazione animale vennero effettuati sui pipistrelli, ora è dai delfini che arrivano novità nel campo: una nuova ricerca dell’Università di Lund, in Svezia, mostra come i segnali da loro emessi siano più complessi di quanto si fosse mai pensato, e questa scoperta ha risvolti interessanti in moltissimi campi, primo fra tutti la medicina.
Josefin Starkhammar, ricercatrice in ingegneria biomedica all’Università di Lund, alcuni anni fa aveva scoperto che gli ultrasuoni emessi dai delfini per l’ecolocalizzazione non consistono in un unico segnale, ma in due componenti legate tra loro. I suoi calcoli più recenti mostrano come le due onde sonore non vengano emesse simultaneamente, ma vi sia un brevissimo lasso di tempo tra loro. Inoltre, ha realizzato che la frequenza del suono tende a essere maggiormente elevata più in sù lungo il segnale, producendo un’eco più lieve in quella parte.
“Le frequenze alte e basse sono utili per cose diverse. I suoni a basse frequenze si diffondono a distanze maggiori sott’acqua, mentre quelli ad alte frequenze possono fornire informazioni più dettagliate sulla forma di un oggetto”, spiega Josefin Starkhammar. Quanto trovato dalla scienziata suggerisce come i benefici per i delfini potrebbero essere molteplici: la piccola finestra temporale che separa le due componenti del segnale permetterebbe all’animale di fare una stima della velocità alla quale la preda si sta avvicinando o allontanando, mentre le variazioni di frequenza forniscono informazioni più dettagliate sulla posizione di un oggetto. Si tratta, però, ancora solo di ipotesi.
Per raccogliere i suoi dati, la ricercatrice ha costruito uno strumento di misurazione formato da 47 idrofoni – ovvero microfoni che possono essere utilizzati sott’acqua – in grado di catturare i suoni sottomarini con un ampio range di frequenze e su un’intera superficie, raccogliendo quindi tutte le emissioni sonar dei delfini. I suoni sono stati registrati al Kolmården Wildlife Park in Svezia e nelle riserve naturali nelle Bahamas, in Honduras e in California.
Josefin Starkhammar ha lavorato con Maria Sandsten e Isabella Reinhold, rispettivamente professoressa e dottoranda in statistica matematica; insieme, hanno sviluppato un algoritmo che è stato impiegato con successo per districare e leggere i segnali sovrapposti. Questo non ci permette solo di comprendere meglio la comunicazione tra i delfini, ma getta anche le basi per una migliore qualità delle immagini che riusciamo ad acquisire con gli strumenti che utilizzano gli ultrasuoni. Per esempio, in medicina, si potrebbe riuscire a misurare lo spessore delle membrane degli organi, più in profondità all’interno del corpo, operazione impossibile con i metodi attuali, che risultano insufficienti.
Anche sonar ed ecoscandagli potrebbero beneficiare di questa scoperta, per studiare l’ambiente sottomarino e seguire i banchi di pesci, oppure, in geologia applicata, sarebbe possibile “vedere” grazie ai suoni la struttura di una strada appena costruita senza bisogno di trivellare per ottenere dei campioni. Non è ancora chiaro, comunque, come i delfini riescano a emettere due diverse componenti quasi simultanee, pur utilizzando lo stesso organo, ma anche i cetacei beneficerebbero dei risultati di questa ricerca.
“Con una migliore comprensione, possiamo proteggerli dalle attività umane che potrebbero danneggiare, disturbare o mettere fuori uso questa abilità, come il rumore del trasporto marittimo, la palificazione in acqua, le esplosioni sottomarine, i potenti sonar delle imbarcazioni e la ricerca di petrolio sotto i fondali marini con metodi acustici”, sostiene Starkhammar.
Giulia Negri