DI JOHN GRAY
The Observer
Nuove superpotenze sono in competizione per le risorse in diminuzione, con l’Inghilterra nel ruolo di comparsa. Il risultato potrebbe essere mortale.
La Storia forse non si ripete, ma, come osserva Mark Twain, può per lo meno creare rime con se stessa. Le crisi e i conflitti del recente passato sono abbastanza simili anche se basati su condizioni differenti. Attualmente, la corsa per le risorse è già partita e rassomiglia al Grande Gioco che si svolgeva durante le decadi che hanno portato alla Prima Guerra Mondiale. Adesso come allora il premio più ambito era il petrolio e il rischio era che gli animi si scaldassero e non sarebbe finito tutto bene. Però questo non è un semplice ritorno alla fine del XIX e inizio del XX secolo. Oggi ci sono nuove potenze in corsa e il petrolio non è l’unico interesse.
Fu Rudyard Kipling che mise l’immagine del Grande Gioco nell’immaginario collettivo in Kim, la sua novella di avventura sullo spionaggio e la geopolitica imperiale nell’era del Raj britannico. Allora, i giocatori principali erano Inghilterra e Russia e lo scopo del gioco era controllare il petrolio dell’Asia centrale.
Oggi l’Inghilterra difficilmente può influire nel gioco mentre India e Cina, che nell’ultimo round del gioco erano messe all’angolo, ora sono emerse come giocatori chiave. La lotta però non rimane a lungo circoscritta al controllo del petrolio dell’Asia centrale. Ora spazia dal Golfo Persico all’Africa, dall’America Latina fino ai Poli e non riguarda solo il petrolio ma anche l’acqua e nuovi giacimenti minerari da sfruttare. Dopotutto, il riscaldamento globale sta incrementando la scarsità di risorse naturali. Il Grande Gioco che si sta svolgendo oggi è più incontrollabile e pericoloso dell’ultimo.
Il nuovo giocatore più importante è la Cina ed è proprio lì che il modello emergente è più chiaro. I governanti cinesi hanno puntato tutto sulla crescita economica. Senza migliorare adeguatamente gli standard di vita generali si potrebbe creare una onda di malcontento di grandi dimensioni, il che potrebbe rappresentare una minaccia al loro potere. Oltretutto la Cina sta nel mezzo del più grande e veloce processo di emigrazione dalla campagna alla città della Storia, che non può essere fermato.
Non c’è alternativa al continuare la crescita, però questo crea terribili effetti secondari. Usata in larga scala nell’industria e nell’agricoltura e sotto la minaccia del ridimensionamento dei ghiacciai himalayani, l’acqua sta diventando una risorsa non rinnovabile e limitata. Due terzi delle città cinesi già devono far fronte alla carenza d’acqua, mentre il deserto avanza conquistando terre coltivabili. L’industrializzazione selvaggia sta incrementando questo disastro ambientale, così come le molte centrali energetiche che funzionano a carbone, fortemente inquinante, che accelerano il riscaldamento globale. Si è entrati in un circolo vizioso e non solo in Cina. Visto che la crescita continua ha bisogno di grandi quantità di energia e minerali, le industrie cinesi stanno ripulendo le scorte globali con il risultato di un’inarrestabile crescita della domanda per le risorse, che non sono infinite.
Anche se le riserve petrolifere probabilmente non sono in via di esaurimento, i giorni in cui il petrolio era economico sono finiti per sempre. Gli Stati stanno reagendo cercando di accaparrarsi i pochi giacimenti rimanenti, anche quelli di risorse che sono causa del cambio climatico. Il Canada sta costruendo basi per contrastare le rivendicazioni russe sulla cappa polare artica in fase di scioglimento, parte della quale è reclamata anche da Norvegia, Danimarca e USA. L’inghilterra sta reclamando diritti di sfruttamento in varie aree del Polo Sud.
La corsa per le risorse sarà la maggiore causa dei conflitti che ci aspettano in questo secolo. Il pericolo non è solo un altro shock petrolifero che colpisca la produzione industriale, ma anche la minaccia di carestie. Senza rifornimenti di petrolio alle industrie sempre più meccanizzate molti degli scaffali dei supermercati rimarrebbero vuoti. Lontani da uno svezzamento dell’economia dal petrolio, dal quale è più dipendente che mai, difficilmente sorprende che le grandi potenze aumentino la marcia per accaparrarsi la propria quota.
Questa nuova partita del Grande Gioco non è cominciata ieri. Cominciò con l’ultimo grande conflitto del XX secolo, che non fu niente altro che una guerra per il petrolio. Nessuno pensava di dichiarare che la prima Guerra del Golfo era in atto per combattere il terrorismo o per esportare la democrazia. Come ammisero al tempo il Presidente George Bush Senior e John Major, era finalizzata a mettere al sicuro le riserve di petrolio, né più né meno. Nonostante le smentite di una classe politica ancor meno onesta delle precedenti, non c’è ombra di dubbio che il controllo del petrolio iracheno fu uno degli obiettivi principali dell’ultima invasione del Paese.
Il petrolio rimane dunque al centro del gioco e, forse, è ancor più importante di prima. Con il loro complesso logistico e la forte relazione con la forza aerea, gli eserciti moderni sono estremamente dipendenti dall’energia. Secondo un rapporto del Pentagono, il fabbisogno giornaliero di petrolio per ogni soldato è quadruplicato tra la II Guerra Mondiale e la I Guerra del Golfo ed è ulteriormente quadruplicato tra quest’ultima e l’ultima invasione dell’Iraq. Recenti stime affermano che il fabbisogno sia ancor più aumentato negli ultimi 5 anni di occupazione.
Anche se i Paesi occidentali hanno dominato l’ultimo round del gioco, questa volta devono contare su Paesi produttori sempre più sicuri di sé. Il sottile disprezzo di Putin per l’opinione pubblica mondiale può infastidire l’Europa, però siamo fortemente dipendenti dalla sua energia. Hugo Chavez può essere oggetto di odio da parte di Gorge W. Bush, però il Venezuela vende agli USA circa il 10% del totale delle importazioni americane. Il Presidente Ahmadinejad è spesso dipinto come l’incarnazione del demonio, però con il petrolio a 100$ il barile, ogni tentativo occidentale di farlo cadere potrebbe essere realmente rischioso.
Mentre le potenze occidentali sono in declino, le potenze nascenti sono ai ferri corti tra di loro. Cina e India sono rivali per il petrolio e il gas naturale nell’Asia Centrale. Taiwan, Vietnam, Malaysia e Indonesia sono in contrasto per le reserve sottomarine nei mari della Cina del Sud. Arabia Saudita e Iran sono rivali nel Golfo Persico, quest’ultimo sta buttando un occhio sull’Iraq insieme alla Turchia. Una grande cooperazione internazionale sembrerebbe la soluzione più ovvia, ma la realtà è che le risorse cominciano a scarseggiare e il mondo è costantemente sempre più diviso e frammentato.
Siamo lontani dal mondo fantastico di solo qualche decennio fa, quando affascinanti guru parlavano saggiamente dell' economia del sapere. Allora, si parlava pensando che le risorse materiali non sarebbero stati un problema, erano le idee guidavano lo sviluppo economico. I cicli dell’economia erano stati lasciati alle spalle ed era cominciata un’era di crescita senza fine. In realtà, la teoria economica del sapere si rivela un’illusione creata da petrolio e denaro a modico prezzo e i boom infiniti finiscono sempre tra le lacrime. Questa non è la fine del mondo o del capitalismo globale, è soltanto Storia, come sempre.
Quello che è realmente differente questa volta è il cambio climatico. L’innalzamento dei livelli del mare riduce le scorte di cibo e acqua, il che potrebbe portare a una migrazione di larga scala dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa. Il riscaldamento globale minaccia direttamente le fonti di energia. Mano a mano che i carburanti fossili del passato divengono più cari, gli altri, come la sabbia bituminosa, diventano economicamente sfruttabili, però questi sono ancora più inquinanti dei precedenti.
In questa partita del Grande Gioco, la carenza di energia e il riscaldamento globale si rafforzano l’un l’altro. Il risultato può essere solo un crescente rischio di conflitti. C’erano circa 1.65 miliardi di persone sulla Terra quando fu giocato il primo match. All’inizio del XXI secolo, ce ne sono 4 volte di più, in lotta per assicurarsi un futuro in un mondo che sta cambiando imprevedibilmente a causa del cambiamento climatico. Sarebbe saggio fare piani per avere delle rime della Storia in più.[/size=12]
John Gray è l’autore di “Black Mass: Apocalyptic Religion and the Death of Utopia” (Massa Nera: Religioni apocalittiche e la morte dell’utopia), pubblicato da Allen Lane il 24 Aprile.
Titolo originale: “Those who control oil and water will control the world”
Fonte: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=4497 – http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2008/mar/30/fossilfuels.water