Cari lettori, di seguito vi presento due esperimenti che ho fatto in passato, attraverso i quali ho potuto ridefinire la struttura ed il comportamento dell’atomo. Naturalmente con l’aiuto degli scritti di W.Russel e dei Phoenix Journals.
Valutare questi due esperimenti richiede un minimo di conoscenza dell’elettronica, non da scienziati, quelli sono presi dalla loro caccia alla conoscenza mediante giganteschi ed estremamente costosi apparati, ma da semplici studenti al primo anno della scuola di elettrotecnica o elettronica.
Gli esperimenti da me fatti sono molto semplici, è sufficiente un piccolo banco di lavoro e qualche strumento da laboratorio, sono riproducibili, la loro presentazione non richiede nessuna equazione matematica.
E, sopra tutto, la dimostrazione non richiede né formule né conoscenze superiori a quelle necessarie per osservare e comprendere dei semplici diagrammi.
Alla fine potrete verificare come sia possibile ricavare energia direttamente dall’atomo, senza passare attraverso la combustione chimica o atomica e con dei procedimenti che sono sotto gli occhi di tutti, dai tecnici in su. Salvo che per i grandi scienziati perché sono resi ciechi dalla loro presunta superiorità e dalla loro appartenenza alla casta della scienza.
Si tratta di cosa succede usando dapprima n.1 condensatore e poi n.1 induttanza.
E, “en passant” si svela anche il mistero della anomalia di Lorentz. Anzi è da lì che ho cominciato e formulato il secondo esperimento.
Cominciamo a descrivere gli esperimenti, prima quello col condensatore, poi quello con l’induttanza.
Esperimento con il condensatore
Esaminando la figura 1, che rappresenta un semplicissimo esperimento che usa un condensatore, vediamo i seguenti componenti:
DC: un generatore di corrente continua a media tensione di 200 volt.
R1: una resistenza di alto valore tipo 100.000 ohm.
R2: una resistenza di basso valore non induttiva di 1 ohm.
C1: un piccolo condensatore di 1 nano farad.
S: un interruttore, costruito con un F.E.T. pilotato da un oscillatore ad impulsi.
I: un misuratore di corrente.
V: un misuratore di tensione.
In realtà è sufficiente misurare la tensione, perché, conoscendo la resistenza, mediante la legge di Ohm, si avrà la corrente e la potenza. La misura è facile da ottenere applicando sul capo caldo di R2 la sonda di un oscilloscopio sincronizzato con gli impulsi che pilotano S.
L’interruttore S viene chiuso per un breve periodo rispetto il tempo del ciclo, durante il quale ciclo il condensatore C1 si carica sino alla tensione nominale mediante la piccola corrente rilasciata mediante R1. Durante la chiusura di S1 la corrente accumulata in C1 si scarica su R2 e, salvo le perdite di commutazione del F.E.T. usato come interruttore, sul carico, che è R2, si manifesta un impulso di corrente elettrica con la tensione di circa 1 volt, che corrisponde a 1 watt di picco (I x V , 1). Ora sostituiamo l’interruttore S1 con uno scaricatore a gas a bassa tensione, diciamo attorno ai 50 volt e vediamo la figura 2.
In questo caso non pilotiamo l’interruttore S2 dall’esterno, in quanto è esso stesso a scaricare il condensatore quando raggiunge una certa tensione, producendo di conseguenza una oscillazione così detta “a dente di sega”. Ora osserviamo la tensione che si manifesta sul carico, R2. Possiamo vedere che l’impulso di tensione è ora di 30 volt. 30 Volt! Che vogliono dire 900 watt di picco (I x V2). Dato che la sostituzione di S1 con S2 è l’unica variante che abbiamo fatto, significa che è S2 a cambiare la resa del circuito. Cioè S2 viene a generare una potenza enorme che non proviene dal generatore, in quanto questo fornisce una potenza di 0,4 Watt medi. Non rimane che accettare che è la scarica dello scaricatore a fornire questa potenza, cioè la scintilla, perché se togliamo il condensatore C1 la potenza praticamente non cambia.
Esperimento con l’induttanza
Esaminiamo dapprima il circuito in figura 3, che rappresenta la schematizzazione dell’anomalia di Lorentz.
Cosa è, intanto, questa anomalia? Sotto certe condizioni la potenza che si estrae da una induttanza dopo che è stata caricata è superiore a quella immessa, Quindi c’è una generazione di energia. Tra le circostanze note c’è il relè. Questo dispositivo consiste in un avvolgimento su un nucleo di ferro che possiede un circuito magnetico in cui è presente un ancorino mobile. Questo ancorino mobile determina il movimento di un pacco lamellare che apre o chiude un circuito elettrico esterno.
Se si esamina cosa accade si nota che in un primo momento la potenza immessa nella bobina (avvolgimento di filo conduttore attorno al nucleo) sale con una pendenza causata della componente induttiva della corrente. Poi la bobina diventa soltanto resistiva quando il nucleo si è saturato al tempo (t1). Ciò che avviene dopo il tempo (t1) è pura dissipazione resistiva. Quando cessa l’alimentazione della bobina al tempo (t2), questa, se si applica un carico, genera una potenza in risposta che è maggiore di quella spesa per caricare l’induttanza. Questa potenza è generalmente cortocircuitata da un diodo che la redirige verso il generatore, non ha quindi nessun utilità o impiego pratico ed il fenomeno viene per lo più trascurato.
Io, tuttavia, ho studiato un modo diverso per far manifestare questo fenomeno, osservando che l’unica cosa che differenzia un relè, salvo naturalmente il pacco lamellare, da una comune induttanza è il fatto che c’è un ancorino mobile. E che quindi questo fa variare la permeabilità di questa induttanza, variandone il così detto traferro. Ho immaginato quindi che una circostanza simile possa essere far lavorare una induttanza nella zona curva del diagramma vicina alla saturazione del nucleo, dove quindi, la permeabilità varia sotto la variazione di un flusso che tenda alla saturazione, come si può vedere nelle figura 6, più sotto, tra le posizioni (f1) e (f2).
Il semplice esperimento è configurato nelle figura 4, dove vediamo i seguenti componenti:
DC: generatore di corrente continua bassa tensione di 12 volt.
W1: misuratore di potenza prelevata al generatore.
W2: misuratore di potenza restituita verso il carico.
L: induttanza.
R: resistenza di carico.
S: commutatore, realizzato con un circuito formato da un F.E.T. pilotato da un generatore ad onda quadra con tempi di on off uguali ed un diodo.
Eseguendo il ciclo di carica e scarica in modo continuo e non considerando le perdite che introducono il F.E.T. ed il diodo, perché molto basse e comunque non rilevanti ai fini della riuscita dell’esperimento, vediamo che la potenza prelevata dal generatore DC è uguale a quella dissipata dal carico R. Per le note leggi del comportamento delle induttanze se i tempi di carica e di scarica sono diversi si ha una trasformazione corrispondente del rapporto di tensione e corrente. Ma questo esula dal nostro esperimento ed è irrilevante.
Ora osserviamo la figura seguente, la 5.
Qui vediamo che nella bobina della induttanza L è stato aggiunto un secondo avvolgimento, isolato dal primo, ma sovrapposto ad esso, in modo da influire sullo stesso nucleo. Poi è stata aggiunta un’altra induttanza L2 che ha lo scopo di rendere trasparente il secondo avvolgimento, cioè di disaccoppiare il secondo generatore di corrente continua DC2. E’ stato aggiunto il secondo generatore di corrente continua DC2 per iniettare un flusso di amperspire nel nucleo della induttanza L. Questo secondo generatore influisce sul nucleo dell’induttanza, portandolo a lavorare ad una densità di flusso magnetico regolata dalla corrente continua immessa.
Ora vediamo cosa accade, secondo il diagramma in figura 6.
Al variare della corrente indotta nel nucleo dell’induttanza, mediante la variazione della tensione del generatore DC2, la potenza in uscita definita con (I x V) rimane stabile, come ci si può aspettare, ma oltre un certo valore di flusso (I x spire )comincia a salire sino a raggiungere un massimo per poi ridiscendere sino ad azzerarsi.
Questo avviene quando il flusso si trova nella zona tra (f1) ed (f2).
La potenza restituita sale, nell’esperimento, a 2,5 volte la potenza spesa, una resa del 250%, una potenza gratuita del 150%!
Facciamo quindi una analisi di cosa succede in questi due esperimenti e vediamo di giustificare questa generazione di energia. La scienza ufficiale di oggi non è in grado di fornire una risposta, ma nemmeno di tentare di ottenerla, una risposta. La prigione che costringe a considerare i vecchi modelli di comportamento dell’atomo impedisce di nemmeno scorgere da lontano una spiegazione. E’ anche chiaro che una risposta permette di superare la barriera che ci impedisce di ottenere l’energia direttamente dall’atomo, in forma non solo pulita, ma illimitata e di costo zero, una volta costruiti i congegni che la ricavano.
Dimostrazione
Per fare la dimostrazione che ci siamo prefissati, lo faremo per esclusione. Cioè, visto che con il tradizionale modello dell’atomo a particelle nessuno è mai riuscito a giustificare l’anomalia di Lorentz, allora io proverò a farlo utilizzando il modello a carica risonante. Se otteniamo la corretta giustificazione, dimostriamo la correttezza del modello. Nell’appendice 1 è descritto velocemente il modello di atomo risonante, mentre nelle appendici 2, 3 e 4 sono descritti i funzionamenti, secondo questo modello, della corrente elettrica, del condensatore e della induttanza.
Cominciamo dall’esame dell’esperimento con l’induttanza.
Cosa succede, quindi, se la permeabilità, cioè la capacità di concentrare le linee di flusso elettrico (ex magnetico), cambia in modo indipendente durante il processo descritto sopra? Durante la carica semplicemente viene a cambiare la quantità di corrente elettrica immagazzinabile nel solenoide, ma durante la scarica si verifica un interessante fenomeno.
In pratica, se le linee di flusso possibili contenute negli atomi del nucleo di materiale magnetico si riducono, questi libera il campo elettrico immagazzinato che va a riportarsi di nuovo attorno agli atomi del conduttore. Questi vedono modificare l’equilibrio tra la “pressione” causata dalle cariche ancora presenti che si stanno spostando verso il carico ed il supplemento di campo elettrico che viene a formarsi a causa dal rilascio supplementare, causato dalla riduzione della permeabilità e formano quindi una nuova carica elettrica per azzerare lo sbilanciamento.
Questa nuova carica viene generata dall’atomo del metallo che compone il solenoide, la bobina, che utilizza una parte dell’ energia del proprio interno per compensare lo sbilanciamento. Ecco quindi che la corrente elettrica, che viene restituita al carico, aumenta, rispetto a quella immessa, a causa del travaso di una parte dell’ energia contenuta all’interno dell’ atomo verso il carico esterno.
La vita dell’atomo subirà un leggero accorciamento, nel tempo il conduttore sarà disgregato, ma naturalmente i tempi sono lunghissimi. Quindi: l’effetto Lorentz si manifesta quando, durante il ciclo di scarica di un solenoide, avviene in modo indipendente una riduzione della permeabilità del nucleo, come succede ad esempio in un relè in cui l’ancorino si apre, riducendo quindi le linee di flusso nel nucleo, e come succede nel mio esperimento basato sullo spostamento del punto di lavoro del nucleo magnetico vicino alla saturazione. Ecco che abbiamo ottenuto energia direttamente dall’atomo, senza controindicazioni, energia “pulita”.
Ecco che abbiamo dimostrato come sia potuto funzionare l’esperimento descritto sopra e assieme abbiamo dimostrato che questo esperimento sia spiegabile solo se accettiamo il modello di atomo risonante.
L’esperimento con il condensatore ci dimostra le stessa cosa. Come è descritto nell’appendice 3 sul condensatore, quando si provoca la rottura del dielettrico, dell’isolante, questa fa fuoriuscire dagli atomi interessati un parte, o tutta, della loro energia, che quindi si trasforma in carica elettrica che va a dissiparsi nel carico. Ricordo qui, a proposito, che, per ciò che riguarda la scintilla, stiamo parlando della scintilla così detta “calda”. E’ bene fare questa precisazione perché i fulmini, sia quelli naturali che quelli generati in laboratorio, come con il rocchetto di Tesla, non sono scintille, ma traggono origine da un scintilla. Essi sono il percorso che un insieme di cariche elettriche, generate da una scintilla, cercano per trovare un carico che dissipi la loro potenza su cui scaricarsi. La scintilla originale è provocata dalla rottura dell’isolamento del gas dell’aria.
I fulmini che si formano nei temporali e, a volte, nelle eruzioni dei vulcani, sono quindi, a tutti gli effetti, una fusione dell’atomo. Per il verificarsi di particolari condizioni dovute ai vortici che si formano dalle particelle sottoposte alle forze del vento o dei gas in eruzione, si manifestano delle cariche elettriche che fanno rompere il dielettrico isolante costituito dagli stessi gas sottoposti al vortice. Quindi questi cedono la loro energia che si manifesta all’istante in “plasma”, che è una grande carica elettrica ad alta temperatura (scintilla “calda”). Questa carica si propaga, quindi, verso un carico, che può essere il suolo, una nube, un masso, un aereo, la stratosfera.
Conclusione
La natura ci insegna che la fusione dell’atomo può essere un fenomeno spontaneo e si libera una enorme quantità di energia, mentre noi abbiamo visto che questa tecnica può essere riprodotta in laboratorio molto semplicemente.
E’ oggi possibile costruire generatori di energia pulita ed illimitata usando questi approcci, magnetico o dielettrico, perché così agisce la materia. Perché la materia è energia e non la equivale, e se noi riduciamo la forza del guscio che blocca l’energia interna, la possiamo ottenere. Non occorre “rompere” l’atomo, esso possiede un resistenza enorme, occorre far sì che sia l’atomo stesso ad aprirsi per liberare la sua energia interna.
Ben Boux
Appendice 1, l’atomo
L’universo è elettrico. E’ composto di un solo componente, a cui sono associate alcune proprietà su più dimensioni, che ne caratterizzano il comportamento. Per parlare in termini esoterici l’universo è composto di Luce, innumerevoli componenti essenziali, e agisce tramite il Verbo, la caratterizzazione delle grandezze efferenti intrinseche. Tutte le manifestazioni della realtà, la materia ed i campi di forze che la accompagnano sono, in pratica, la stessa cosa. E’ inutile cercare particelle sempre più piccole e di geometria sempre più misteriosa ed immaginifica. Ciò che si immagina siano parti costituenti la materia è solo ciò che avviene quando la materia stessa è sottoposta a certe sollecitazioni, e non ciò che sia alla base della struttura della materia.
E’ come se noi prendessimo a martellate una biglia di vetro con striature di colore. Ricaviamo schegge di vetro sempre più fini e colorate quanto più forte diamo i colpi. Non è certo in questo modo che si potrà conoscere la struttura di cosa tiene assieme le componenti della biglia, sapremo solo quanta forza occorre per romperla. La gravità è una aspetto del magnetismo, come è un aspetto di ciò che governa l’equilibrio dell’atomo. E tutti sono un grandezza elettrica. L’universo è un immenso serbatoio di cariche elettriche o componenti essenziali, che presentano nelle loro dimensioni dei valori sempre positivi, diversi da zero, il quale rappresenta lo stato di quiete, di non esistenza. Non esistono valori negativi o materia negativa, cioè speculare, cioè antimateria.
La materia è in continua trasformazione. Quando le grandezze che caratterizzano le dimensioni dei suoi componenti essenziali si azzerano tutte, questo quid si annulla, ma uno nuovo si forma per mantenere l’equilibrio totale. Attenzione, però. Parlare di componenti essenziali non significa parlare di particelle, delle particelle che ipotizza l’attuale modello dell’atomo. Le componenti essenziali sono tutte uguali e non si può parlare di dimensione fisica in senso stretto, o di massa o di energia. Sono di una una natura ineffabile e le proprietà che noi definiamo come dimensioni o energia o altro sono solo il valore delle componenti dimensionali che ne caratterizzano l’esistenza e che sono sempre assoggettabili a delle variazioni.
Per dare un’idea, le comunissime dimensioni altezza, larghezza, profondità, sono solo dei vettori che agiscono per comparazione con altri atomi nelle vicinanze, non sono un valore assoluto. Le dimensioni di un atomo o di una parte di materia possono essere variate senza che la natura dell’atomo e della materia cambi. Così come avviene con il calore e il magnetismo, ecc.
E, nello stesso tempo, quando l’energia dell’atomo si modifica oltre un certo valore, ed il cui equilibrio con le parti di spazio adiacente cambi, si assiste alla trasformazione delle proprietà di quel certo atomo, che cambia, quindi natura. Trasmuta in un altro elemento, in quanto è il rapporto tra le componenti essenziali dell’atomo e le componenti essenziali dello spazio a determinare le proprietà di un certo elemento, e non la presenza di svariati tipi di particelle. Come potrebbe un elemento trasformarsi in un altro senza alterare violentemente la struttura interna, rimescolando le particelle, le cui posizioni sono rigide, secondo la scienza ufficiale?
Gli atomi hanno una loro vita. Cedono naturalmente una parte della loro energia per la presenza di un estremamente piccolo, tuttavia presente, attrito con lo spazio, ne cedono quantità più consistenti per l’interferenza con altri campi di forza. Quindi tutti gli atomi trasmutano naturalmente sino a dissolversi, quando sono scesi alla consistenza di “raggi”. Ma i loro componenti essenziali sono ancora presenti, hanno perso solo l’energia e questa viene ricreata nel continuo ciclo della creazione che rinasce e muore ad ogni istante.
Possiamo raffiguraci questo pensando ad un cubetto di ghiaccio gettato in una bacinella d’acqua. Il ghiaccio è acqua, come l’altra, ma è caratterizzato da un certo valore nella “dimensione” temperatura che lo distingue dall’altra acqua e lo rende un corpo differenziato. Il cubetto si muove liberamente sull’acqua, ma ne imprime un’onda, una marcatura, muovendosi, ed infine la temperatura decresce un pò per volta sino allo scioglimento, quando il cubetto ritorna ad essere acqua come quella che lo circonda. Le dimensioni dell’universo sono sei, tre maggiori e tre minori. Questo perché i componenti essenziali sono così dotati. Le tre dimensioni minori sono da noi percepibili come le tre dimensioni fisiche. Le tre dimensioni maggiori non sono da noi percepibili e si diramano in sotto vettori e sono il tempo, l’energia e la “vibrazione”.
Quando ad un certo numero di componenti essenziali vengono attribuite delle grandezze a questi vettori dimensionali, essi cominciano ad interagire con gli altri componenti. La carica di energia mette in movimento questo “grumo” che comincia a muoversi in tutte le direzioni, essendoci dei valori definiti in quei vettori. Ma incontra la resistenza dei componenti adiacenti, quindi si forma una oscillazione di questo “grumo” tutto attorno ad un centro fittizio, come un vortice. E questa oscillazione è bloccata dallo spazio circostante, che, quindi, confina l’energia in uno spazio ben definito, dando vita all’atomo.
Lo spazio inerte è strutturato con le tre dimensioni fisiche uniformi, mentre il “grumo” cambia le proprie direzioni in modo vorticoso, dando origine ad un moto circolare. Le forze di “pressione” reciproche che si vengono a formare tra il moto circolare spiraliforme del “grumo” e lo spazio a struttura cubica, formano le proprietà dell’atomo. Che si differenzia poco con altri di gradiente energetico simile, gli isotopi, ma che muta di caratteristiche in presenza di una trasmutazione. Vediamo quindi che è un rapporto di “pressione” a manifestare le proprietà della materia. Non è la pressione che conosciamo nella struttura fisica del gas, per esempio, ma il concetto è simile.
Ebbene è questa “pressione” a dare luogo alla gravità ed al magnetismo, oltre che alla corrente elettrica.
Il “grumo” energetico, ruotandosi, o meglio risuonando dentro lo spazio di confinamento, determina una “depressione” nello spazio, perché non occupa più lo spazio che occupava quando era in riposo. Ora sta generando a sua volta una “pressione” contro lo spazio circondante. Di conseguenza questa “depressione” si espande in modo radiale dal centro dell’atomo verso l’esterno. Il magnetismo è una “pressione”, ma la sua direzione è ortogonale alla gravità. Ed è anch’esso presente, in maggiore o minore quantità, in modo naturale o imposto da forze esterne, in tutti i tipi di materia, in tutti gli elementi.
Appendice 2, la corrente elettrica
Per la corrente elettrica non c’è ancora, oggi come oggi, una spiegazione attendibile. Si parla genericamente di cariche elettriche, ma non si sa cosa siano e come si formino. Si sa come usarle, tutta l’elettrotecnica e l’elettronica usano la corrente elettrica nei modi più svariati. Le grandezze di misura sono la tensione, la corrente e la quantità di elettricità. Questa è una energia potenziale, cioè si manifesta solo nel suo stesso prelievo a mezzo di un “carico”. Rimane in attesa e la potenza trasportata dipende dal carico stesso sino a quando il generatore sia in grado di pompare della nuova quantità di carica.
La corrente elettrica è un impressione di energia nel mare dei quid che compongono lo spazio. Questo “grumo” somiglia agli stessi atomi, ma è così piccolo da non essere stretto dallo spazio stesso e risuonando attorno sé stesso tende a muoversi nello spazio nella direzione da cui è stato generato. La generazione della carica elettrica avviene sempre da qualche atomo che ha ricevuto un qualche stimolo a cedere una parte della propria energia verso l’esterno, sostituendola magari con altra, per compensare lo sbilanciamento.
La carica elettrica, una volta generata, cerca di legarsi agli atomi all’intorno, viene respinta dagli elementi conduttori o viene bloccata dagli elementi isolanti. Nei cristalli semiconduttori avvengono delle interazioni complesse che danno luogo alle proprietà dei componenti elettronici così detti attivi, come i transistor, ecc.
Appendice 3, il condensatore
In breve, il comportamento degli elementi isolanti spiega facilmente come funziona il condensatore, il materiale sottoposto alla pressione della corrente la immagazzina all’interno degli atomi, nel fare questo si produce un aumento di “pressione” mantenuta dal guscio. Nel momento che smettiamo di introdurre la corrente entrante, gli atomi liberano la loro pressione restituendo le cariche accumulate sotto forma di corrente elettrica di scarica.
Ma se invece continuiamo ad immettere altra corrente, cioè aumentiamo la “pressione”, sino al punto che la capacità di contenimento dell’atomo non è più sufficiente, il guscio dell’atomo si indebolisce e quindi la nuova energia accumulata all’ interno e la precedente energia che formava la parte interna dell’atomo fuoriescono e si diffondono all’esterno, provocando una reazione similare negli atomi adiacenti, sino ad esaurimento della “pressione”. Questo processo è la scarica attraverso il dielettrico, che avviene se la tensione in ingresso supera l’isolamento. Questa tecnica è alla base del procedimento “charge cluster” che può fornire consistenti quantità di energia, proprio demolendo la barriera di contenimento dell’atomo, con dei procedimenti non invasivi come il bombardamento dell’ atomo ad alta temperatura che propone la scienza oggi. (La scintilla, in pratica.)
Appendice 4, l’induttanza
Gli elementi conduttori in presenza di una carica elettrica reagiscono opponendo alla nuova “pressione” una contro “pressione” che si dispone all’esterno dell’atomo formando un campo elettrico tutto intorno. Questo meccanismo è simmetrico, un atomo conduttore immerso in un campo elettrico reagisce formando una carica elettrica al suo esterno che bilancia la pressione che è stata indotta. Di conseguenza se continuiamo ad immettere cariche elettriche nel conduttore, le cariche nuove spingono le precedenti verso gli atomi contigui, che a loro volta reagiscono con la formazione di nuovo campo elettrico che si va ad aggiungere al precedente. Il campo elettrico generato si espande rimbalzando da un atomo all’altro sino alla fine del conduttore, perciò in un solenoide, od in una placca del condensatore, il campo elettrico si forma attorno tutto il conduttore istantaneamente per ogni singola carica che viene immessa.
Se continuiamo ad immettere cariche elettriche veniamo ad occupare tutti gli spazi disponibili nel metallo, al raggiungimento del massimo, che è il valore che definisce l’induttanza dell’avvolgimento, la nuova “pressione”, causata dall’immissione di ulteriori cariche elettriche, provoca un indebolimento del guscio dell’atomo con la fuoriuscita di parti dell’energia interna, e quindi il metallo comincia a scaldarsi, cioè interviene l’effetto resistivo. Una immissione di grosse quantità di carica in determinati metalli può provocare la demolizione degli atomi stessi che si riorganizzano in equilibri più stabili, cioè il metallo trasmuta in un altro elemento, come esempio tungsteno verso neon.
Vi sono elementi o composti che hanno la proprietà di concentrare al proprio interno il campo elettrico, come ad esempio il ferro e suoi composti. Questa azione di concentrazione permette al conduttore posto vicino di ospitare un maggior numero di cariche elettriche, perché mano a mano che si forma il campo elettrico di bilanciamento, questo viene assorbito dall’elemento che forma il nucleo, mantenendo l’equilibrio attorno agli atomi conduttori, che sarà perciò composto da tre componenti, carica elettrica, campo elettrico di bilanciamento dell’atomo e campo elettrico supplementare assorbito dal metallo adiacente, cioè il nucleo.
Se continuiamo ad immettere nuove cariche, mano a mano veniamo ad utilizzare tutta la capacità di assorbimento del nucleo, e quindi si ripresenta il comportamento invasivo dell’equilibrio all’interno degli atomi del conduttore, e quindi viene generato del calore: si è raggiunta la saturazione del nucleo. Il processo descritto è l’aumento dell’induttanza di un avvolgimento causato dalla presenza di un nucleo di ferro (o altro materiale simile) all’interno. Il processo è simmetrico, agli inizi della radio si usava inserire all’interno di bobine antenna per onde medie e lunghe dei nuclei in ferrite ( piccoli cristalli di ferro immersi in ceramica) per ottenere un segnale più forte. Il campo di onde radio era sempre lo stesso, ma la ferrite ne concentrava le linee di flusso inducendo nel solenoide un quantità di cariche elettriche molto più alta: questo è un esempio di concentrazione di linee di campo elettrico.
Ecco quindi come funziona un solenoide con nucleo in ferro: all’inizio viene immessa la corrente elettrica, questa riempie gli spazi disponibili nel conduttore, poi incomincia ad agire il nucleo assorbendo il campo elettrico generato, quindi la corrente può continuare a fluire sino alla massima carica possibile. Cessando di immettere corrente ed applicando un carico, la stessa comincerà a fluire nel senso inverso, scaricando man mano le linee di flusso accumulate nel nucleo esterno sino a completo stato di riposo delle “pressioni” all’interno degli atomi del conduttore e del campo elettrico circostante.
E’ evidente che tanta corrente elettrica immettiamo nel solenoide, tanta ne ricaviamo in uscita, perché il processo è lineare.