Chi pensa che dopo la crisi di Internet e della new economy un po’ tutti stiano tirando i remi in barca, si sbaglia. In realtà, in questo momento, ad esempio, nel mondo (ma soprattutto in America) si stanno spendendo più di 100 miliardi di dollari all’anno in ricerca sui chips, gli elementi-base dei computer. E, di fatto, si è già entrati in una sorta di nuova era. Un’era in cui il silicio lascerà posto a altri materiali. L’obiettivo è quello di andare verso cose sempre più piccole e quindi sempre più potenti.
“Ci sarà inevitabilmente un periodo, anche di una decina d’anni, in cui le due tecnologie saranno entrambe presenti, ma si sta già lavorando nei laboratori per il dopo-silicio e l’obiettivo è quello di arrivare a padroneggiare le nano-tecnologie”.
Ernesto Hofmann, senior consultant per la ricerca Ibm, è una delle persone che in Italia segue più da vicino questi problemi e, quando parla, si sente una certa emozione perché effettivamente vi sta raccontando l’ingresso in una sorta di mondo nuovo, dove tutto è diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto fino a oggi e dove già si respira un po’ l’atmosfera della fantascienza (problemi matematici risolti dentro il brodo con pezzi di Dna, computer quantistici, ecc.).
“Il punto da cui partire – spiega Hofmann – è la necessità che ha l’industria di fare soldi e quindi di rinnovarsi. Ma c’è anche il fatto che la tecnologia del silicio è sempre più complicata da maneggiare. Può fare ancora dei progressi, ma siamo veramente vicini ai limiti possibili. Probabilmente nel giro di una decina d’anni (venti al massimo) si arriverà in fondo alle possibilità offerte dal silicio. Sia tecnologiche che economiche”.
Cioè?
“Dal punto di vista tecnologico diventa sempre più difficile “stampare” i circuiti sopra i chips al silicio. Occorrono laboratori sempre più complessi, sofisticati, isolati dal resto del mondo. Inoltre, tutta questa roba comincia a costare un occhio della testa. Oggi un laboratorio per la “stampa” dei chips costa non meno di un miliardo al metro quadro. Siamo di fronte, insomma, a investimenti che stanno diventando proibitivi. E, in più, in ogni caso non ci sono più molti margini per rimpicciolire i chips.
E questo per almeno due ragioni. Intanto, diventa proprio fisicamente complicato mettere migliaia di circuiti in spazi sempre più piccoli. Inoltre, tutta questa roba scalda e quindi, più se ne mette in uno spazio ridotto, più abbiamo il calore che sale. Si sarà accorto anche lei che i notebook sono sempre più caldi, quasi roventi: sono i chips piccolissimi che fanno funzionare la macchina e che, inevitabilmente, producono calore”.
Ma dopo i chips al silicio che cosa ci può essere?
“L’unica risposta possibile è questa: il mondo del nanotech, delle nanotecnologie”.
Di che cosa si tratta?
“Si dice che siamo nel mondo nanotech quando si va a lavorare su dimensioni che sono dell’ordine del miliardesimo di metro. Praticamente siamo alle dimensioni dell’atomo. Poi, più sotto, sarà impossibile andare”.
Quindi pensate di fare delle “macchine” le cui dimensioni si potranno misurare a atomi piuttosto che in centimetri?
“Esattamente. E per fare questo bisognerà imparare a lavorare con gli atomi, a spostarli uno per uno”.
Non è che siete diventati un po’ matti?
“No. Ci sono ricerche molto serie e che costano moltissimo. La nuova frontiera è proprio questa”.
Può chiarire un po’ di più?
“Sì. ma prima bisogna fare due o tre premesse. Una di queste è che dobbiamo fare dei computer nuovi, mai visti, perché quelli attuali, per quanto potenti e potenziabili hanno comunque dei limiti strutturali molto forti. Ci sono casi, importanti, in cui i nostri computer non riescono a fare assolutamente niente”.
Ma avete imparato a metterli in parallelo, state lavorando per metterne un milione a lavorare insieme …
“Tutto vero, e questa è una strada possibile. Ma rimangono delle cose che nemmeno tre milioni di computer di oggi riescono a affrontare”.
Ad esempio?
“Tutto il vastissimo campo delle equazioni non polinominali, certi calcoli di biologia, i calcoli necessari per le previsioni meteo”.
Qui siamo un po’ sul difficile.
“Le farò allora un esempio elementare. Supponga di avere alle sue dipendenze un rappresentante di commercio che debba visitare quattro città. Naturalmente vorrà calcolare il percorso che questo signore deve fare nel modo più efficiente possibile, in modo da rendere minimi gli spostamenti e quindi il costo. Ebbene, con i computer normali, di oggi, il problema non è risolvibile. Ci può impazzire sopra notti intere. Non è risolvibile. Non le dico che cosa succede se poi le città invece di quattro diventano venti. Le conviene non cominciare nemmeno”.
E allora, che cosa si fa?
“Bisogna immaginare computer 10 mila, 100 mila volte più potenti di quelli di oggi. Bisogna immaginare un mondo nuovo”.
Ma è come andare sulla Luna o su Marte.
“Sì e no. Vede, la cosa buffa è che questi computer già esistono in natura, ognuno di noi ne ha addosso centinaia, migliaia, e funzionano tutti benissimo”.
Cioè?
“Sono gli enzimi, che sanno leggere benissimo e con grande efficienza pezzi di Dna e che poi sanno emanare gli ordini per costruire questa quella proteina. In un certo senso, queste sono le macchine che cerchiamo e che ci servirebbe saper fare. Sono assolutamente piccolissime, non scaldano, consumano pochissima energia. Rispetto ai nostri computer sono avanti in una misura che non è nemmeno quantificabile”.
La natura, quindi, è molto più brava dei nostri scienziati?
“Sì. Ma tenga conto che la natura ha avuto alcuni miliardi di anni per elaborare i suoi “computer” e che li ha potuti testare su alcuni miliardi di individui. Noi, invece, lavoriamo sui computer da una cinquantina d’anni e certo non ne abbiamo costruiti miliardi. La natura, rispetto a noi, ha avuto a disposizione un tempo infinito. Noi molto meno e per di più adesso abbiamo anche fretta”.
Non potreste semplicemente “rubare” alla natura i suoi computer, gli enzimi?
“C’è stato un esperimento famoso. Il problema del rappresentante che deve girare per quattro città è stato effettivamente risolto con pezzi di Dna immersi in una sorta di brodo. Questi pezzi di Dna si sono ricombinati fra di loro e alla fine hanno fornito la soluzione del problema. E certo questa è una strada interessante, ma è anche, almeno per ora, molto complessa”.
Però si punta comunque sul molto piccolo.
“Sì. E per capire quanto questa strada è difficile pensi che “lavorare nel nanotech” significa poter disporre di martelletti, trapani, ecc., fatti di pochissimi atomi, 56 al massimo. In un granello di sabbia, tanto per intenderci, abbiamo dieci alla venti atomi (cioè 1 seguito da venti zeri, cento miliardi di miliardi). D’altra parte è evidente che il molto piccolo, il biologico, ci attrae. Pensi che in un grammo di Dna (il Dna che ognuno di noi si porta dietro) c’è tanta informazione quanta noi oggi ne possiamo stipare in mille milioni di CdRom”.
Mi sembra che siate assolutamente affascinati da queste nano-macchine naturali.
“Pensi alla grandiosità di un ragazzo o una ragazza che sta al sole, su una spiaggia. I raggi ultravioletti arrivano e rompono un sacco di cose. Ma nello stesso momento una quantità enorme di “motori”, di computer, intervengono, fanno l’inventario dei danni, emanano gli ordini per le riparazioni, le riparazioni vengono eseguite e rieseguite se il nostro soggetto continua a stare al sole. E le posso garantire che si tratta di operazioni molto, ma molto complesse. Le ripeto: computer come quelli che la natura ha messo dentro di noi, ce li possiamo sognare. Sono assolutamente fantastici. Come è fantastica la capacità della natura di concentrare e conservare miliardi e miliardi di informazioni in spazi piccolissimi. E’ ovvio che gli scienziati guardino a tutti ciò con grandissimo interesse”.
E qui arriva la notizia che la Ibm sarebbe pronta a costruire dei chips talmente sottili e piccoli che in un capello ce ne potrebbero stare 100 mila.
“Queste ricerche esistono e siamo già a buon punto. Diciamo che ci servono ancora due anni per capire se tutto ciò può essere industrializzato e, se la risposta sarà positiva, poi serviranno altri 810 anni per vedere veramente questi prodotti in commercio”.
Ma come si fa a immaginare 100 mila chips, circuiti, nello spazio di un capello?
“In effetti si tratta di una tecnologia che rompe con il passato e che è decisamente nanotech. La storia è questa. Prima si fa un “foglio” di atomi di carbonio. Nel senso che il “foglio” è spesso un atomo di carbonio e ne contiene in orizzontale un certo numero, fino a fare appunto un “foglio”. Per arrivare a questo si sono dovuti usare degli strumenti straordinari che consentono appunto di spostare gli atomi uno a uno e di sistemarli esattamente dove si vuole. Poi questi fogli sono stati arrotolati, esattamente come lei può fare con un foglio di carta. Si sono fatti, cioè, dei tubi. Si è scoperto che questi tubi erano dei buoni conduttori. Poi si sono “strizzati” questi tubi (proprio come torcere un tubo di carta). E si è coperto che in queste condizioni i nanotubi diventano semiconduttori. E quindi si possono trattare appunto come chips”.
Sarà, però, 100 mila di questi tubi nello spazio di un capello.
“Tenga conto che questi “fogli” di carbonio sono fatti da 6 atomi per 200 atomi. Abbiamo insomma sei file di 200 atomi. Come vede non stiamo più parlando di centimetri o di millimetri, ma di atomi”.
E tutto questo esiste veramente?
“Nell’aprile di quest’anno la Ibm ha annunciato di essere riuscita a fare la “tramatura”, cioè dei circuiti. E in settembre ha annunciato di aver realizzato dei chips con questa tecnica dei fogli di carbonio. Questi fogli, peraltro, hanno anche una qualità accessoria straordinaria. Sono cioè freddi, non scaldano. E quindi se ne possono usare quanti se ne vogliono”.
Ma lei pensa che si arriverà davvero a fare dei computer con questa tecnica?
“Oggi penso che le probabilità siano 50 e 50. Però ci si sta lavorando sopra con tanto di quell’impegno che un fallimento mi sembra difficile”.
Naturalmente, questa stessa tecnologia consentirà di fare delle “memorie” straordinarie.
“Si può arrivare a stipare 500 miliardi di caratteri nello spazio di un pollice quadro, insomma 78 centimetri quadrati. In pratica siamo a una densità di informazione che è da 10 a 100 volte quella che si può ottenere con un supporto di tipo magnetico. Penso che poi più avanti di così sia molto difficile andare: qui siamo quasi alla densità di informazioni che abbiamo nel Dna”.
Altre applicazioni di queste tecniche?
“I fogli di carbonio consentono, ma con tecniche molto più semplici, di fatto analoghe a quelle della stampa di un manifestino, di produrre schermi sottilissimi, che si possono arrotolare, mettere in tasca, in un cassetto. E il bello è che queste cose sono molto economiche. Il difficile è stato imparare a costruire i fogli di carbonio”.
E quindi avremo questi computer velocissimi?
“Sì, anche dieci mila volte, o più, rispetto a quelli attuali, con capacità di calcolo che oggi ci riesce difficile immaginare”.
Ma questa, se ho capito bene, non è ancora proprio l’ultima frontiera.
“La frontiera più interessante sarebbe quella di imparare a far lavorare i “motori”, i computer naturali per noi. Ma qui siamo su un terreno molto complesso. Invece si sta andando avanti sui computer quantici”.
E qui siamo alla fantascienza.
“No, no. I computer quantistici si possono fare. Non è un lavoro semplice, ma si può fare. E i computer quantici sono assolutamente incredibili, straordinari. Hanno un piccolo difetto: possono funzionare solo se completamente isolati dal mondo esterno”.
E come si fa?
“Per ora si tratta di un problema quasi irrisolvibile. Ma ci si può lavorare intorno. Bisogna tenerli a temperature molto basse, isolarli, schermarli …”.
Ma nel mondo esiste qualche computer quantico?
“Io non l’ho visto. Ma secondo me in qualche laboratorio supersegreto c’è qualcosa del genere … E’ una tecnologia troppo affascinante per non provarci …”.