Il cristianesimo trae le sue origini dalla personalità, dall’attività e dalla predicazione di Gesù, detto il Cristo, cioè Messia.
La nostra fonte, quasi unica, su questo momento capitale della storia religiosa dell’umanità, sono i quattro Vangeli, detti canonici, perché sono stati incorporati dalla Chiesa nel canone delle Scritture rivelate. Gli studiosi non tutti sono d’accordo, né sulle loro rispettive date di composizione, né sui legami di dipendenza reciproca, né sul loro valore storico.I primi tre, Matteo, Marco e Luca detti sinottici presentano precise somiglianze, troppo precise per essere fortuite. Il Vangelo di Marco, al secondo posto nel Nuovo Testamento, è il più antico e costituisce, insieme ad una raccolta di Lòghia o Detti di Gesù (fonte Q), una delle due fonti utilizzate da Matteo e da Luca.
I Vangeli Canonici
Il Vangelo di Giovanni, il quarto dei vangeli canonici, ha una spiccata originalità nell’ispirazione generale e nell’interpretazione della figura del Cristo. Tuttavia i numerosi aramaismi, la conoscenza approfondita dei metodi dell’argomentazione rabbinica, le precise affinità di pensiero con i documenti del Mar Morto (manoscritti di Qumran), escludono la possibilità di far i questo Vangelo il prodotto di un cristianesimo già notevolmente ellenizzato, per quanto l’influenza dell’Ellenismo sia in esso ugualmente chiara. Non si può considerare secondario questo Vangelo. Anzi su alcuni punti le sue informazioni sono anche più chiare di quelle dei sinottici e possiamo datare la sua redazione intorno all’anno 100; ma la sua attribuzione all’apostolo Giovanni, il discepolo prediletto, resta controversa. Nessuno dei sinottici sembra posteriore all’85-90, né anteriore al 70, a parte forse il Vangelo di Marco. Nei testi giunti fino a noi si intravedono tracce di redazioni più antiche.
I Vangeli sono scritti religiosi non documenti storici in senso stretto: il loro fine è quello di dimostrare, di edificare, oltre che di raccontare. Elaborati in seno alla Chiesa nascente, essi ne riflettono le preoccupazioni e ne alimentano le esigenze spirituali. Ciononostante, essi sono nati dalla realtà storica concreta. Pertanto non regge affatto la tesi che guarda ai Vangeli come ad una creazione puramente mitologica. A proposito…. I Vangeli non sono la storia di Cristo, narrano bensì la storia degli uomini con Cristo, dato che la storia è fatta dal genere umano.
Gli Atti degli Apostoli costituiscono il seguito del Vangelo di Luca ed il testo originario con ogni probabilità subì diversi rimaneggiamenti prima di giungere alla forma attuale. La composizione ed il valore storico dell’opera pone delicati problemi: infatti il racconto non è sempre dei più fedeli segue le vicende della comunità di Gerusalemme (Pietro e Giacomo)e poi l’opera missionaria dell’apostolo Paolo. Il racconto si arresta verso il 60, al momento della prigionia di Paolo a Roma, ma la sua data di composizione va collocata intorno alla fine del I secolo. L’autore non parla del martirio di Paolo, perché forse costituiva un’evidente smentita alla sua visione ottimistica dei rapporti tra l’Impero romano e la Chiesa nascente.
Nelle Epistole paoline, scritti di circostanza ma anche di solida dottrina, il racconto degli avvenimenti occupa uno spazio molto ridotto. Esse sono d’importanza capitale per la storia del pensiero e della teologia cristiana, ma lasciano nell’ombra la vita stessa di Paolo.
Cristo comparve nel mondo “nella pienezza dei tempi” (Gal. 4,4; Ef 1,10), cioè dopo che l’umanità, guidata da Dio, era stata predisposta ad accogliere la redenzione. Dio infatti si rivela nella creazione e nella storia (cf. Act. 14, 16s.).
Poco prima della nascita di Cristo, era sorto l’Impero romano, che, sotto Ottaviano Augusto (27 a.C.-14 d.c.) e i suoi successori, si espande sempre di più in Occidente ed in Oriente. L’Impero comprende tutti i popoli che si affacciano sul mar Mediterraneo, con in più la Gallia e parte della Britannia: il Reno ed il Danubio, il Tigri e l’Eufrate segnano i confini dell’impero sul continente eurasiatico. Il I e il II secolo d. C. (Alto Impero) segnano il culmine dell’espansione dell’Impero romano e, nel contempo, l’inizio della sua inarrestabile decadenza. Un Impero, quello romano, aperto all’influenza di tutte le civiltà mediterranee, ma soprattutto a quella ellenistica.
All’avvento del Regno di Dio, i principali popoli dell’Antichità avevano raggiunto altezze meravigliose nel campo della cultura profana, – soprattutto i Greci, come poeti, pensatori e artisti, ed i Romani come organizzatori, legislatori e dominatori del mondo -, purtuttavia il loro fallimento nel campo religioso-morale appariva ancor più evidente. Le antiche religioni popolari politeistiche ed i culti di Stato erano in pieno sfacelo ed avevano perduto ogni credito in vaste fasce della popolazione: il popolo ancora credeva, ma le persone colte vivevano nell’assoluto indifferentismo religioso, se non addirittura nel vero e proprio ateismo. L’imperatore Augusto aveva cercato in tutti i modi di restaurare la fede negli dei e di inculcare il nuovo culto per il Genio dell’imperatore.
D’altronde, già precedentemente erano penetrate in Occidente le religioni orientali ed i culti misterici, che esercitavano un fascino ed una forza di attrazione sempre maggiori sull’animo smarrito dei Romani; in particolare il culto della frigia, Magna Mater Cibele e di Attis, dei diversi Baalim della Siria, delle divinità egizie Iside e Osiride-Serapide, del dio persiano della luce Mitra. Inoltre, accanto a questi culti misterici orientali, prosperavano e si mescolavano superstizioni religiose disparate: astrologia, magia, necromanzia. Quindi la corruzione e il degrado morali dilagavano per ogni dove, ma soprattutto nelle classi sociali più elevate e nelle grandi città: basta rileggere l’analisi a tinte fosche compiuta dall’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani (Rom. 1, 24-32), il cui quadro e giudizio vengono sostanzialmente confermati da scrittori pagani come Seneca, Tacito e Giovenale.
Anche la filosofia era in dissoluzione. Platone ed Aristotele erano ormai un ricordo lontano. All’uomo del tempo non interessava più la metafisica, bensì la pratica della vita. Epicureo di Samo e la sua scuola, professavano un edonismo a sfondo materialistico e proclamavano che “il piacere è il bene supremo”. Zenone di Cizico, fondatore dello stoicismo filosofico, la filosofia più diffusa nel tempo immediatamente anteriore e posteriore a Cristo, considerava come scopo di ogni filosofia la perfezione morale; ma la sua dottrina sulla divinità era panteistico-monistica, con l’uomo in balia del potere cieco ed immutabile del Fato. Molti, seguendo la Nuova Accademia, inclinavano allo scetticismo, rinunciando addirittura alla possibilità di una conoscenza della verità. I Cinici sottoponevano ogni forma di religiosità a una critica molto frivola. Tutta la filosofia post-aristotelica è dominata dal pessimismo e finisce col riconoscere la propria impotenza. Quindi grande era la decadenza morale sia nella vita pubblica e politica sia nella vita privata, come già abbiamo detto.
Dall’altra parte, tuttavia, come segno positivo, inculcato dalle religioni e dai culti misterici orientali, c’è un profondo anelito alla salvezza dell’anima e all’unione immediata con la divinità. Inoltre, si riscontra, nell’uomo del tempo, una tendenza a spiritualizzare la concezione della divinità ed una inconsapevole aspirazione al monoteismo. Presso i Greci e gli orientali, si avverte viva l’aspettazione di un rivolgimento, di una rinnovazione del mondo, anzi l’avvento di un salvatore, di un grande profeta. In Oriente, il re è considerato da sempre figlio di Dio e predestinato dominatore del mondo. Anche all’imperatore romano si davano i titoli di Κυριοσ σωτηρ (Signore-Dio-Salvatore). Una concezione di tal genere è espressa nella famosa IV Egloga di Virgilio.
Effettivamente la filosofia greca conteneva anche elementi validi di verità, che potevano servire da tramite e da ponte verso il cristianesimo: Dio = sommo Bene (Platone); Dio = motore immobile (Aristotele). La speculazione teologica dello stoico Posidonio di Apamea in Siria, l’etica stoica di Seneca, di Epitteto e di Marco Aurelio presentavano molti punti di contatto con la morale cristiana.
Clemente di Alessandria chiama la filosofia “dono dato da Dio ai greci” (Strom. 1,2,20) e sentenzia: “La filosofia educò il mondo greco come la Legge educò gli Ebrei (Gal. 3,24), indirizzandoli verso il Cristo” (Strom. 1,5,28).
Fra le circostanze esterne favorevoli c’è da registrare soprattutto l’unificazione politica e culturale del mondo antico nel1’Impero romano e, a partire dal tempo di Alessandro Magno, la sempre più accentuata penetrazione ellenistica dell’Oriente e di una parte dell’Occidente: lingua e cultura ellenistica (κοινη διαλεκτος ed Ellenismo); la pax augustea; il commercio mondiale; la caduta delle barriere nazionali ed il cosmopolitismo.
Melitone, vescovo di Sardi, nel 175, richiamava l’attenzione sul fatto che cristianesimo e impero romano erano apparsi nel mondo quasi nello stesso tempo (Eusebio, hist. eccl. IV,26). Ed Origene (contra Celsum II,30) dice: “Dio preparò i popoli e fece in modo che l’imperatore romano dominasse il mondo intero… perché l’esistenza di molti regni sarebbe stata di ostacolo alla propagazione della dottrina di Dio sulla terra”, vale a dire che l’unità politica dell’Impero ha favorito la diffusione del cristianesimo.
Al tempo della nascita di Gesù Cristo, la Palestina apparteneva all’impero romano. L’importanza storica del popolo ebreo era dovuta esc1usivamente alla sua religione, caratterizzata da un rigido monoteismo e dalla promessa di un Messia, duplice elemento, questo, che accompagna in tutta la sua storia il Giudaismo, il quale nei momenti critici delle sua esistenza usufruisce della parola ardente dei Profeti, inviati da Dio e guide del popolo d’Israele.
L’attesa del Messia si era fatta sempre più viva e diffusa, specialmente al tempo dei Maccabei, allorquando il re della Siria, Antioco IV Epifane (175-164 a.c.) cercò in tutti i molli di strappare ai Giudei la fede dei loro padri e di imporre loro la religione ed i costumi pagani, tentò cioè l’ellenizzazione del giudaismo. Il pericolo fu scongiurato grazie all’eroismo del popolo e dei suoi capi (il sacerdote Mattatia e suo figlio Giuda detto Maccabeo = martellatore), che, combattendo eroicamente, riconquistarono l’indipendenza politica (142 a.C.). Sotto i successori dei Maccabei, gli Asmonei (Asmone era il nonno di Mattatìa), la Palestina fu travagliata dalle guerre civili, che distrussero lo Stato teocratico ebraico.
Nel 63 a.C. il condottiero romano Pompeo Magno conquistò la città di Gerusalemme, ma ne affidò il governo a sovrani nazionali: l’Idumèo Erode il Grande (37-4 a.C.) fu unico signore. In realtà, però, la Giudea divenne Stato vassallo dei Romani e nel 6 d. C. fu incorporata nella provincia della Siria, dove il governo era affidato ad un Procuratore con residenza a Cesarèa. La rivolta degli Zeloti contro il dominio romano (66-70 d. C.) provocò la distruzione di Gerusalemme da parte dell’imperatore Tito ed ebbe come conseguenza la scomparsa del Tempio e del sacerdozio. Un’altra rivoluzione, scoppiata sotto l’imperatore Adriano, fu guidata da Bar Kokheba (132-135) e portò alla completa distruzione e alla scomparsa di Gerusalemme sul cui luogo sorse la città pagana di Aelia Capitolina. Il dogma giudaico si può ridurre a due affermazioni essenziali: Unità di Dio ed Elezione di Israele. Nel libro del Deuteronomio (6, 4) si dice:
“Ascolta Israele, il Signore nostro Dio è l’unico Signore”
Il Dio così proclamato è il creatore dell’universo: si manifesta nelle sue opere ed i cieli annunciano la sua gloria (Ps. 19,1). E’ un Dio personale ed onnipotente; un Dio giusto e misericordioso, che deve perciò essere temuto ed amato. Se infatti il timore del Signore è l’inizio della sapienza, l’amore per Lui è il comandamento fondamentale, che ha come corollario l’amore per il prossimo; il prossimo è l’umanità nel suo complesso, poiché tutti sono fatti a somiglianza di Dio, ma in modo speciale il giudeo, membro della comunità santa: il Dio di tutta l’umanità è, nello stesso tempo, il Dio d’Israele, che Egli ha prescelto fra tutti ì popoli della terra. Di qui l’Alleanza fra Dio ed Israele e la consegna della Legge sul monte. Sinai: il vero Israelita crede fermamente in Dio ed osserva i suoi comandamenti = ortoprassi a servizio di Dio.
Il tempio di Gerusalemme, santuario unico, senza immagini, del Dio unico ed invisibile, fu ricostruito dopo l’esilio babilonese ed ampliato da Erode il Grande. Esso evocava il regno glorioso di Salomone ed il tempo dell’indipendenza politica e religiosa di Israele: era il santuario nazionale ebreo. Una casta sacerdotale presiedeva a tutte le cerimonie del culto: i sacerdoti, discendenti di Aronne, erano assistiti dai Leviti, membri della tribù di Levi. Al vertice del sacerdozio, c’era il Sommo Sacerdote,cui una volta all’anno era concesso di entrare nel “Sancta Sanctorum”. In qualità di presidente del Sinedrio, egli appariva come il capo della nazione giudaica. Ma al tempo di Gesù, il sacerdozio era in decadenza, nel Sinedrio ed in Palestina, di fronte all’autorità crescente degli Scribi e dei Dottori della Legge: la Sinagoga. di fronte al Tempio.
Le origini della Sinagoga sono legate alla Diaspora (=dispersione) e coincidono con l’esilio babilonese. La Sinagoga risponde, nel suo fondamento, alla necessità di dare a tutti i Giudei dovunque si trovino, l’occasione di riunirsi per praticare insieme il culto della loro religione. Essa ha strutture e forme diverse dal Tempio: niente sacrifici soltanto Bibbia. La Sinagoga è il luogo, santuario e scuola insieme, in cui il Libro è letto, meditato e commentato: in essa non vi sono sacerdoti, ma saggi, Rabbini, dediti allo studio dei libri santi; non vi si offrono sacrifici, ma vi si pratica un culto tutto spirituale, in cui si alternano preghiere, canto dei Salmi, letture e commenti biblici. Sorta in sostituzione del Tempio, la Sinagoga si affermò al momento della distruzione del Tempio e rese palese la rivalità esistente tra sadducei e farisei.
Lo storico Giuseppe Flavio elenca quattro sette giudaiche Sadducei, Farisei, Esseni e Zeloti.Le prime due costituiscono il giudaismo ufficiale; le altre sono più marginali e più vicine a ciò che noi intendiamo con il termine “setta”. Ma lo storico giudaico applica a tutti questi gruppi; la denominazione di ςιρησις = eresia (in latino secta): essa però in origine non aveva alcun significato peggiorativo ed indicava solo la scelta l’opzione, la scuola filosofica o religiosa. I Sadducei provengono essenzialmente dall’aristocrazia sacerdotale. Il loro nome sembra modellato su quello di Sadoq, grande sacerdote all’epoca di Salomone. I Sadducei escono di scena in seguito alla distruzione del Tempio, nel 70, ad opera di Tito. Ma al tempo di Gesù, essi erano in forte declino.
Fondamentalmente conservatori, in religione come in politica, i Sadducei si preoccupavano di salvaguardare l’ordine pubblico, fosse anche romano, e, si attenevano solo alle Scritture canoniche e ad un’interpretazione letterale della Legge. Essi non credevano alla risurrezione dei morti e rifiutavano anche l’angelologia, entrata nel giudaismo dopo l’esilio babilonese. In netto contrasto con i sadducei, i Farisei (separati) erano sorti con l’insurrezione maccabaica (167-142 a.c.). All’inizio erano un piccolo gruppo, ma in seguito estesero gradualmente la loro influenza su tutta la vita religiosa di Israele, in Palestina come all’esterno. Dopo la catastrofe del 70 d.C., scomparse le altre tendenze, fariseismo e giudaismo diventarono sinonimi: ai Farisei il giudaismo deve la sua sopravvivenza. Nei Vangeli i Farisei, per bocca di Gesù, vengono presentati come ipocriti, schiavi di un formalismo pedante, incapaci di distinguere l’essenziale dal marginale: si aggrappano alla lettera della legge e ne trascurano lo spirito, ponendo sullo stesso piano i grandi comandamenti della legge morale ed i minimi particolari delle prescrizioni rituali.
Tuttavia ci sono, in questa setta, anche elementi positivi da sottolineare: 1a vita religiosa dei Farisei è fondata sulla meditazione e sulla pratica della Legge, da applicare alle diverse situazioni: questa tradizione interpretativa, nel tempo, viene codificata per iscritto nella Mishnah e nel Talmud. I Farisei credono nella risurrezione di tutti gli uomini oppure dei giusti soltanto, ed insegnano un’angelologia molto precisa e complessa, nella quale sono evidenti le influenze straniere, specialmente iraniche. In politica assumono un atteggiamento riservato, ma nel fondo del loro cuore detestano l’occupazione straniera ed attendono con fiducia l’ora della liberazione, pur non teorizzando espressamente il ricorso alla violenza.
La setta degli Zeloti nacque con Giuda il Galileo, che, nel 6-7 d.C. fomentò un’insurrezione subito repressa. Essi rappresentano il nazionalismo giudaico nella sua forma estremistica e più violenta; rifiutano ogni potere umano a favore di una teocrazia, da instaurare con la forza, onde predicano l’odio contro gli stranieri ed incitano all’azione violenta, contribuirono a creare quello stato di tensione che sfociò nella rivolta del 66 e nella catastrofe del 70. Gli Zeloti provenivano soprattutto dagli strati più miserabili del proletariato rurale palestinese.
Secondo Giuseppe Flavio, gli Esseni erano dei pacifici obiettori di coscienza. Alla luce della recente scoperta dei manoscritti del Mar Morto (1947-1956), in realtà gli Esseni rappresentano una forma molto originale del giudaismo: vivono ai margini della vita religiosa ufficiale, lontano da Gerusalemme, in pieno deserto, a Qumran, sulle inospitali rive del Mar Morto. Essi si sentono di essere il solo autentico Israele, la piccola schiera degli eletti, e diffidano degli altri giudei, considerati impuri quasi come i pagani. L’etimologia del nome è controversa: risalgono anch’essi. come i Farisei, all’insurrezione maccabaica. Nei manoscritti di Qumran, essi si attribuiscono il titolo di “Figli di Sadoq., come i Sadducei, e ciò sta ad indicare che le due sette si richiamavano al sommo Sacerdote del tempo di Salomone.
E’ probabile che il primo nucleo della setta degli Esseni fosse formato da famiglie sacerdotali passate all’opposizione quando gli Asmonei resero ereditaria la carica di Sommo Sacerdote, associandolo alla regalità. Forse il Maestro di Giustizia dei testi di Qumran morì martire, perseguitato dal Sacerdozio di Gerusalemme. Dopo il 70 gli Esseni scompaiono dalla scena. Dall’esilio babilonese in poi, un vasto movimento migratorio aveva portato alla formazione di importanti colonie giudaiche in tutto l’Impero romano, in Mesopotamia e in Persia. Centri principali di raccolta di questo flusso migratorio erano Antiochia, Alessandria, Cartagjne e Roma.
Una disposizione ufficiale, che in sostanza risaliva a Cesare, assicurava ai giudei della Palestina della Diaspora la libertà di praticare il loro culto sotto la protezione dello Stato romano, che garantiva loro gli stessi diritti delle popolazioni pagane. Questi privilegi, di cui godevano i giudei, spesso fomentavano tumulti antisemiti. Certo, Gerusalemme resta la città santa; il Tempio continua ad essere il centro del culto, anche se adesso domina la Sinagoga. Di qui una mentalità più aperta alle influenze dell’Ellenismo ed un sentimento nazionalistico meno forte, per cui la Diaspora non si associò agli Zeloti nella rivolta del 66-70, né in quella del 132-135.
La Diaspora subisce influssi della civiltà ellenistico-romana: lingua greca (κοινη διαλεκτς) e poi lingua latina. Nel III secolo a.C., sotto il regno di Tolomeo Filadelfo (285-247 a.C.), proprio nella Diaspora di Alessandria la Bibbia venne tradotta in greco da 70 dottori =Bibbia dei Settanta, che fu all’inizio di una grande operazione culturale, quella, cioè, di unire in una sintesi originale i fondamenti biblici della Rivelazione ed i principi della filosofia pagana. Filone di Alessandria compì questa sintesi, fra il giudaismo ed il pensiero greco-alessandrino. Egli era giudeo di stretta osservanza, ma avvertiva la necessità di rendere accettabile la Legge da parte della cultura ellenistica. L’opera di Filone si fonda rigorosamente sulla Bibbia in particolare sul Pentateuco, commentato ed interpretato secondo il postulato che si trovi in esso la sorgente di ogni vera conoscenza. La scrittura è la saggezza rivelata, di cui la filosofia profana è soltanto un riflesso: l’influenza di Platone, discepolo inconsapevole di Mosè, è fondamentale nel pensiero giudeo-alessandrino. Filone sottolinea la perfetta convergenza tra la tradizione biblica e quanto di meglio il pensiero greco ha prodotto nel campo della filosofia.
Per spiegare la Bibbia, Filone utilizza il metodo allegorico, che alcuni pagani già applicavano a Omero e alla mitologia: a1 di là del senso letterale è necessario scoprire il senso nascosto, profondo, spirituale, dove risiede l’essenza della Rivelazione. L’allegoria appare caratteristica di tutto il giudaismo alessandrino: principio fondamentale dell’esegesi. Per Filone i1 saggio, cioè il discepolo di Mosè, guidato dalla Rivelazione divina, dovrà liberarsi dalla schiavitù delle passioni, dei sensi e della materia, per elevarsi fino alla contemplazione delle realtà eterne e giungere fino a Dio. Tra Dio e l’universo materiale ci sta una gerarchia di esseri intermedi, simili tanto alle Idee platoniche quanto alle coorti angeliche del giudaismo, creature o emanazioni divine (Potenze o Λογοι). Al vertice di questa piramide di esseri celesti sta il Lòghos, il più vicino a Dio di tutti i lòghoi individuali, una specie di essere collettivo, fonte e organo della creazione, partecipe della natura divina, senza essere uguale a Dio.
Queste affermazioni filoniane trovavano riscontro in certi scritti, canonici e deutero-canonici, della letteratura sapienziale (Proverbi, Ecclesiastico, Sapienza), in cui la Sapienza divina personificata presenta analogie con le ipostasi filoniane. In questo modo Filone apriva la strada alla Teologia cristiana.
Antonio Cioppa