La Cosmologia di Halton Arp – Galassie Madri

La Cosmologia di Halton Arp – Galassie Madri

Una delle coppie di galassie peculiari studiate da Arp che sono chiaramente interagenti ma con redshift incompatibili lswn.it

La Cosmologia di Halton Arp - Galassie MadriLa scoperta fatta nel 1929 da Edwin Hubble che le galassie si allontanano l’una dall’altra seguendo una legge in base alla quale la loro velocità è propor­zionale alla loro distanza, sembrò dimostrare che gli oggetti più lontani sono anche quelli più vicini al momento della sin­golarità iniziale denominata “Big Bang”, ovvero alla grande esplo-sione che circa 15 miliardi di anni fa avrebbe fatto espandere il nostro universo nella forma che conosciamo.

Dal momento che per via del cosiddetto “effetto Doppler” tanto maggiore è la velocità di un oggetto celeste in allontanamento e tanto più la sua luce sarà spostata verso il rosso – ovvero soggetta a “redshift” – si è stabilito che oggetti con elevato redshift si troverebbero a distanza cosmologica da noi, ovvero molto vicini al punto di nascita dell’Universo.

Chiaramente la legge dì recessione delle galassie scoperta da Hubble aveva permesso, grazie alla linearità che lega la velocità di una galassia alla sua distanza, di ottenere un metodo molto comodo che permetteva di deter­minare la distanza delle galassie noto il loro redshift, il quale a sua volta è direttamente proporzionale alla distanza. Dunque si disponeva di una semplice formuletta magica in grado di descrivere l’universo su larga scala.

Alla fine degli anni ’60 gli astronomi scoprirono delle stranissime sorgenti extragalattiche a grandissima luminosità e con un valore del redshift estremamente elevato (almeno 100 volte superiore a quello delle galassie normali): questi oggetti furono battezzati “Quasar” (“quasi stellar objects”), per via della loro apparenza stellare.

Nonostante l’aspetto puntiforme di questi og­getti – per nulla somigliante alle tipiche morfologie appiattite delle galassie – per via del loro grandissimo redshift, e sulla base della legge di Hubble, si arrivò a stabilire che si trattasse degli oggetti più distanti mai scoperti fino ad allora, senz’altro gli oggetti extragalattici più vicini al momento del Big Bang.

Inoltre la loro enorme luminosità apparente, nonostante la sconfinata distanza, portò gli astronomi ad architettare un modello che la spiegasse: si tratterebbe di galassie estremamente compatte e la cui luminosità sarebbe generala da un buco nero iper-massiccio (oltre un milione di volle la massa del Sole) presente nei loro nuclei, che con la sua straordinaria energia gravitazionale creerebbe un “disco di accrescimento” di materia molto luminosa attorno a esso. Il modello che descrive sia la natura cosmologica che la struttura delle quasar resta valido ancora oggi e costituisce la bibbia osservativa dell’astronomia contemporanea.

La “vista lunga” di Halton Arp

Un astronomo dall’intelletto fino e dal perfezionismo osservativo come Halton Arp, evidentemente non l’avrebbe bevuta!… Osservare il cielo significa avere sotto gli occhi un immenso laboratorio naturale che ci permette di effettuare misure molto precise, le quali devono poi portare a una legge fisica in merito al fenomeno indagato. Questa è la realtà scientifica. Con questo principio rigoroso ben piantato nella testa, e anche con la curiosità dello scienziato vero, Halton Arp si mise a osservare strani accoppiamenti di galassie normali all’interno dei quali occasionalmente era presente anche una o più quasar.

Le misure spettroscopiche permettevano di misurare il redshift di tutti questi oggetti raggruppati e se ne deduceva che mentre le galassie avevano valori del redshift dell’ordine di z = 0.01-0.1, il redshift delle quasar era dell’ordine di z =1.00-3.00. Si trattava di valori enormemente discrepanti tra loro, eppure le galassie normali e le quasar si trovavano davvero accoppiate, anzi talmente vicine da toccarsi.

Quasi tutti gli astronomi hanno subito trovato valide scuse per spiegare la vicinanza delle quasar alle galassie, la più importante delle quali sarebbe che le quasar si trovano vicine solo angolarmente rispetto a noi che osserviamo lungo la linea di vista, mentre in realtà sarebbero separate dalle galassie da distanze incommensurabili. Ma Arp non si arrese e ben presto scopri che le quasar erano anche fisicamente unite alle galassie in oggetto da veri e propri ponti di materia.

Questo evidentemente implicava che la vicinanza non fosse affatto un effetto di prospettiva, ma una reale interazione. In decine e decine di casi, comprovati recentemente anche dalle osservazioni in raggi X con il telescopio spaziale tedesco “ROSAI”, la quasar è legata da una specie di strettissimo filo — una specie di cordone om­belicale – alla galassia normale. Allora come conciliare il redshift delle galassie e delle quasar che per via della loro enorme differenza numerica porterebbe a distanze cosmologiche diametralmente diverse? Fermo restando che le galassie normali sono relativamente vicine a noi, davvero le quasar sono lontanissime e vicine al momento del Big Bang? Evidentemente le osservazioni dì Arp facevano ben capire che i conti di Hubble qui proprio non tornavano.

Queste quasar risultano intimamente legate alle galassie, e non solo, ma certi oggetti simili alle quasar sembrano essere letteralmente espulsi dai nuclei delle galassie, seguendo delle progressioni molto precise, con valori del redshift tanto più grandi quanto minore è la distanza dalla galassia parente. Questo è stato rilevato in galassie come M 87, dove si osserva un vero e proprio getto di materia con all’interno delle condensazioni che diventano sempre più marcate all’aumentare dalla distanza dalla galassia parente.

Dunque Arp aveva scoperto che i quasar sarebbero baby-galassie, partorite da galassie madri dall’apparenza del tutto normale e relativamente vicine a noi, e non oggetti a distanza cosmologica.

L’universo è davvero nato da una grande esplosione?

La conseguenza di queste osservazioni è enorme, talmente grande da mettere in serio dubbio il paradigma della cosmologia standard, quello che asserisce che l’UniVerso sarebbe nato da una grande esplosione. Infatti il comportamento stesso delle quasar e la natura del loro legame parentale con la galassia madre dimostrerebbe che l’Universo stesso non sarebbe nato da una singolarità esplosiva circa 15 miliardi di anni fa. In realtà l’Universo non sarebbe mai nato, ma sarebbe sempre esistito, mentre le morti delle stelle e delle galassie verrebbero compensate con nuove nascite: il cuore delle galassie sarebbe il grembo per la creazione di nuova materia.

Questo processo, in tutto simile al parto, avverrebbe in continuazione, e conferirebbe eternità ad un universo sempre simile a se stesso. Abbia­mo detto che la ragione della connessione tra quasar e galassia madre sarebbe quella specie di cordone ombelicale che le unisce. In realtà è possibile spiegare anche la reale natura del redshift intrinseco delle quasar. In questo caso non si tratterebbe di effetto Doppler – ovvero quella causa puramente dinamica che convaliderebbe la legge di Hubble se fosse vera — ma avrebbe invece le sue basi nella fisica atomica.

Halton Arp non era e non è solo in quella rivoluzione che ha innescato un drastico cambiamento di paradigma in astronomia, ma ha accanto quattro grandi menti, in modo particolare l’astronomo anglo-statunitense Geoffrey Burbidge, il cosmologo britannico Fred Hoyle, padre della teoria dello stato stazionario dell’Universo, l’astronomo armeno Viktor Ambartsumian e l’astrofisico teorico indiano Jayant Narlikar.

È proprio grazie a quest’ultimo che si sviluppò nel 1977 una teoria, nata dalla soluzione rigorosa delle equazioni della relatività generale, la quale prevede che in un Universo statico la massa delle particelle non resta costante ma cresce col tempo. In tale scenario i quasar appena nati dalie galassie madri sarebbero composti di particelle la cui massa inerziale è estremamente bassa, ma che poi crescerebbe col tempo via via che il quasar si allontana dalla galassia dalla quale è stato espulso. Nel caso di quasar neonati la bassissima massa delle particelle di cui sono composti è in grado di produrre un enorme spostamento verso il rosso della lunghezza d’onda delle righe spettrali osservate, ovvero noi osserveremmo un redshift estremamente elevato.

Esso tenderebbe a decrescere col tempo non appena le nuove masse create iniziano a interagire con l’Universo circostante: ciò sarebbe dovuto a un’aumento della massa particellare e avverrebbe solo quando, dopo un certo tempo, il quasar si è portato a grande distanza dalla galassia da cui è stato espulso, ovvero quando il quasar è cresciuto in età. La teoria di Narlikar comproverebbe dunque le osservazioni di Arp. In tal modo il grande valore numerico del redshift di oggetti extragalattici come i quasar, sarebbe proporzionale non alla distanza a cui essi si trovano da noi (come previsto dalla legge di Hubble), ma alla loro età.

In questo percorso evolutivo il redshift diminuirebbe a passi prefissati e periodici, ovvero secondo valori che sperimentalmente si è dimostrato essere “quantizzati”, secondo la formula empirica trovata dall’astronomo svedese K.G. Karlsson: z = 3.48; 2.64; 1.96; 1.41; 0.96; 0.60; 0.30; 0.06. Questo comportamento senza alcun dubbio ricorda una versione su larga scala di processi analoghi che avvengono ne! mondo subatomico. Le galassie creerebbero in continuazione nuova materia a impulsi intermittenti e quantizzati, del resto ben visibili nei “blob” di materia che si incontrano all’interno dei “jet” espulsi dalle galassie. Questa materia si concretizzerebbe in quasar.

A loro volta i quasar evolvendo diventerebbero galassie normali, passando attraverso stadi intermedi come le galassie compatte di tipo BL Lac e le galassie di Seyfert, e una volta mature diventerebbero esse stesse l’utero per la creazione di nuovi quasar. Ad esempio la bellissima galassia di Andromeda, altrimenti detta M 31, secondo le ricerche di Arp sarebbe la madre della nostra galassia (la Via Lattea) e di tutte le altre trenta galassie del gruppo locale dì cui la Via Lattea è parte. La ragione di ciò sarebbe che essa ha il redshift più basso di tutte queste galassie, mentre tutte le altre sembrano essere uscite dal grembo di M 31 in tempi graduali e a passi ben cadenzati da una espulsione quantizzata, che si esplica nei valori osservati altamente ricorrenti dei redshift e delle distanze dei blob di materia da! nucleo originario. Galassie come M 31 sarebbero dunque tra gli oggetti più vecchi dell’Universo.

La Creazione continua

Alla luce di lutto questo, allora la teoria del Big Bang, ovvero quella che prevede un’unica creazione a un tempo zero circa 15 miliardi di anni fa, sarebbe messa in dubbio per non dire completamente demolita. La creazione non sarebbe avvenuta una sola volta in un tempo lontano, ma avverrebbe in continuazione dai nuclei delle galassie. In tal modo l’universo evolverebbe in maniera tale da mantenersi in una struttura stabile e autoregolata.

Lo spazio entro cui esisterebbe l’universo non avrebbe alcuna necessità di essere incurvato, come previsto dalla teoria del Big Bang e da una delle soluzioni della teoria della relatività generale. In realtà questo nostro universo, che nelle sue microstrutture secondo Narlikar e Arp evolverebbe con massa particellare gradualmente in aumento, esisterebbe in uno spazio euclideo, uno spazio completamente piatto e non curvo.

L’origine della creazione della materia si situerebbe nel nucleo delle galassie mature, mentre la sorgente fisica primaria della creazione sarebbe la cosiddetta “energia di punto zero” che scaturisce dal vuoto quantistico, la quale garantirebbe non una creazione unica, ma una creazione ripetuta in eterno ovunque nell’Universo, nel grembo delle galassie e non in un solo punto singolare in un’epoca remota. L’enorme luminosità che si rileva nelle quasar lascia molto perplessi se si crede ancora alle enormi distanze a cui essi si troverebbero secondo il vecchio paradigma di Hubble:

non per niente i colleghi tradizionalisti di Arp hanno pensato bene di inventarsi l’esistenza di un mega-buco nero nei nuclei delle quasar per giustificare le enormi energie misurate. In realtà, senza ricorrere agli equilibrismi teorici coi buchi neri, la grande luminosità delle quasar si giustifica solo col fatto che essi sono infinitamente più vicini di quanto si voleva far credere. La cosiddetta “radiazione fossile”, rilevata nelle microonde a 2.7 °K, non sarebbe l’eco dell’esplosione del Big Bang, ma potrebbe essere spiegata da semplice emissione più o meno isotropica del mezzo intergalattico (gas e polveri).

Dunque se ci atteniamo rigorosamente a ciò che la realtà ci mo­tra, quella del Big Bang sarebbe solo una costruzione artificiosa senza reali riscontri sperimentali. Attorno a questa vecchia architettura piena di falle che, pur­troppo, costituisce ancora il paradigma ufficiale dell’astronomia extragalattica e della cosmolo­gia, sono ruotate centinaia di carriere e un enorme business delle riviste scientifiche. Essa ha costituito un vero e proprio dogma con caratteristiche tali da farla assomigliare a una vera e propria religione.

È scienza questa?

Sicuramente Halton Arp deve essersi sentito un po’ come Galileo quando, dopo aver dimostrato coi fatti e non con le chiacchiere che la Terra ruota attorno al Sole e non viceversa e che esso e solo uno dei tanti pianeti dell’Univer­so, la “santa inquisizione” gli proibì di rimettere occhio al telescopio e si rifiutò di verificare quello che Galileo aveva scoperto. Purtroppo ad Halton Arp, sicuramente uno dei più grandi astronomi dell’era moderna, è toccato un destino simile. Dopo che incominciò a mostrare puntigliosamente le sue scoperte, la nomenclatura accademica del suo paese non solo gli proibì di avere accesso ai suoi telescopi, ma gli impedì perfino di pubblicare nuovi articoli tecnici in cui lui potesse presentare l’evoluzione delle sue ricerche.

E a nulla è valso l’appoggio dei suoi importanti colleghi Burbid-ge, Hoyle e Narlikar. Sembra proprio che l’establishment astronomico sia un mostro incrollabile e incontrollabile, ma sicuramente un mostro senza faccia, se non quella (spesso, anche se non sempre) della sfacciata propagazione della menzogna. Non potendo più esplicare il suo lavoro negli USA, Arp è stato costretto a cambiare nazione e tuttora lavora (si dice: come “ospite”, ma senza stipendio!) presso il Max Planck lnstitut di Monaco in Germania, dove alla seppur veneranda età di 79 anni continua ad analizzare dati instancabilmente e sistematicamente, utilizzando ora i più avanzati telescopi spaziali in grado di vedere l’universo nell’infrarosso e nei raggi X, con i quali sta espandendo di almeno un ordine di grandezza ciò che aveva già ben capito 20 anni fa.

Gli “astronomi di regime” che per paura di essere sopraffatti lo hanno cacciato dall’istituto dove lavorò per quasi 30 anni, continuano a bluffare sulle foto di ammassi contenenti galassie e quasar (oggi ancora meglio visibili con lo Space Telescope), facendo di tutto per tagliare via i ponti di materia e facendo i salti mortali nel cercare di spiegare che certe associazioni quasar-galassia sono una pura coincidenza… E intanto Arp riesce a scoprire che esistono anche quasar in ammassi di galassie in cui la quasar si trova esattamente davanti a una di queste galassie (ci si chiede in che modo esso dovrebbe essere più lontano della galassia stessa), e anche quasar gemelli con lo stesso valore del redshift, simmetricamente allineati entro 20 gradi dall’asse minore di certe galassie: almeno 1 probabilità su 10.000 che l’associazione sia casuale.

Bibliografia essenziale

II sito web di Halton Arp, http://www.haltonarp.com/ Arp, H. (1989), La Contesa sulle Distanze Cosmiche e le Quasar, Jaca Book. Arp, H. (1999), Seeing Red: Redshifts, Cosmology and Academic Science, Apeiron, Mon­treal. Narlikar, J. & Arp, H. (1993), Fiat spacetime cosmology – A uni­fied framework for extragalactic redshifts. Astrophystcal Journal, Voi. 405, n. l, pp. 51-56.

Chi e’ Halton Arp

Da oltre 30 anni Halton Arp (1927) e senza alcun dubbio l’eretico tuttora vivente più famoso e rivoluzionario nel mondo dell’astronomia. Forte del suo Ph.D. in astronomia ottenuto con lode nel 1953 al prestigioso California lnstitute of Technology, Arp si mise a lavorare con il famoso Edwin Hubble assieme al quale si dedicò alla ricerca di stelle novae nella galassia M 31. Poi, dopo aver ricevuto premi scientifici per il talento da lui dimostrato come uno degli astronomi più promettenti dell’epoca, egli passò ben 28 anni nello staff degli astronomi degli osservatori di Monte Palomar e Monte Wilson, dove si dedicò interamente all’osservazione delle galassie irregolari.

Questo lungo lavoro presso quelle che erano un tempo le cattedrali mondiali dell’astronomia, lo portarono ad acquisire una formidabile esperienza nell’osservazione delle galassie, cosa che gli permise di mettere a punto il suo famoso Catalogo delle Galassie Peculiari, usato a tutt’oggi da tutti i suoi colleghi del mondo.

Massimo Teodorani

mednat.org