Energia e Informazione: La realtà dei bit, attraverso la fisica dei buchi neri

Fausto Intilla ci guida ancora una volta nel percorso di ricerca per comprendere e interpretare i misteri dell'Universo e della Realtà, a Fausto vanno i nostri ringraziamenti e a Voi doniamo questo lavoro molto stimolante e interessante.


di Fausto Intilla
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“La meccanica quantistica,
correttamente interpretata,
è una teoria dell'informazione”.
Anton Zeilinger

Massa, Energia, Informazione …tre nomi diversi per esprimere un solo concetto di Realtà; sono questi i tre aspetti tipici che può assumere la natura del mondo che ci circonda e guardando oltre, dell’intero Universo. Durante la prima metà degli anni ’70, un giovane (all’epoca aveva poco più di trent’anni) matematico e astrofisico britannico di nome Stephen Hawking, stava rivoluzionando la teoria classica dei buchi neri. Egli scoprì, insieme ad altri due collaboratori di fiducia (James Bardeen e Brandon Carter), che l’area dell’orizzonte di un buco nero, non può mai diminuire. Essi usarono la teoria della Relatività Generale, per ricavare un insieme di leggi che avrebbero dovuto governare il comportamento dei buchi neri.

Queste leggi, per di più, ricordavano molto quelle della termodinamica, ma la somiglianza era ritenuta una coincidenza. La regola dell’aumento dell’area dell’orizzonte, era l’analogo del secondo principio della termodinamica, il quale afferma che l’entropia di un sistema isolato, non può mai decrescere. Uno dei traguardi più importanti, al quale giunsero Hawking e colleghi, stava nell’aver individuato un’interessante correlazione tra la temperatura di un buco nero e la sua stessa massa. Tale correlazione, indicava semplicemente che la temperatura di un buco nero, doveva essere inversamente proporzionale alla sua massa. Stando a tale assunto quindi, un gigantesco buco nero astronomico grande come una stella, avrebbe una temperatura estremamente bassa, mentre i buchi neri microscopici, se esistessero, sarebbero incredibilmente caldi. La formula in cui si poteva osservare questa particolare proprietà, era la seguente:

T = (hc^3) / (16.pigreco^2 GMk)

Dove h è la costante di Planck, c la velocità della luce, G è la costante gravitazionale di Newton , M la massa del buco nero e k la costante di Boltzmann. Da questa equazione quindi (contenente solo le costanti più fondamentali della natura), era possibile accorgersi delle enormi implicazioni che essa comportava in ben tre settori della fisica (poichè tutti e tre venivano contemporaneamente toccati da questa semplice equazione), ossia: la Relatività Speciale (a causa di c), la Meccanica Quantistica (a causa di h) e la Termodinamica classica – che si occupa di calore ed entropia (a causa di k).
Hawking e colleghi comunque, non si fermarono a queste considerazioni, ma andarono un pochino oltre. Essi affermarono che tutti i buchi neri, col trascorrere del tempo, evaporano e finiscono con lo sparire. Durante questo processo, i buchi neri emanano una radiazione termica (in seguito chiamata radiazione di Hawking) che fa decrescere pian piano la massa stessa del buco nero in questione. Hawking quindi considerava i buchi neri come dei veri e propri [u]corpi neri (1)[/u], con temperature diverse dalla zero assoluto (in quanto ogni buco nero ha una temperatura che dipende dalla sua stessa massa, stando alla sua equazione).

Poichè un buco nero ha calore e temperatura, deve irraggiare onde elettromagnetiche (fotoni) e questo significa che [u]perde energia[/u] (2). Secondo la famosa equazione di Einstein, E=mc^2, massa ed energia sono in realtà la stessa cosa, dunque se un buco nero perde energia perde anche massa. Se la massa decresce, diminuisce anche il raggio del buco nero, dunque man mano che irradia energia, il buco nero si contrae fino a divenire non più grande di una particella elementare, dopodiché scompare.

1) Il termine tecnico con cui in fisica si indica un oggetto che assorbe completamente la luce é: corpo nero. La luce che incide sull’orizzonte degli eventi di un buco nero, viene completamente assorbita. Potrebbe quasi sembrare un paradosso, ma stando a questa definizione, persino la nostra stella, il Sole, è da considerarsi un corpo nero. Infatti la superficie del Sole irraggia una grande quantità di luce, ma non ne riflette affatto!

2) Una curiosità: Per recuperare solamente un singolo bit di informazione da un buco nero, occorre che vengano irraggiati metà dei fotoni di Hawking. Dato il bassissimo tasso di emissione di fotoni da parte dei buchi neri, occorrerebbero 10^68 anni per irraggiare la metà dei fotoni da un buco nero di massa stellare! Ossia un tempo di gran lunga superiore all’età del nostro Universo!

La teoria di Hawking sui buchi neri, iniziò ben presto a rivelare il suo lato oscuro e paradossale, nel momento in cui (sempre nella prima metà degli anni ’70), egli dichiarò che nell’evaporazione di un buco nero, tutta l’informazione va perduta. Tale considerazione (che col tempo prese addirittura il nome di “paradosso dell’informazione”), entrava nettamente in contrasto con i fondamenti della Meccanica Quantistica ed accese un dibattito tra relativisti e fisici delle particelle che durò circa trent’anni (sino al 1996, quando il paradosso venne definitivamente sciolto con la teoria delle stringhe, grazie al lavoro di Vafa ed Andy Strominger). Ma cerchiamo di capire in cosa consisteva questo …“paradosso dell’informazione”.

C’è una legge della fisica, molto sottile, che può essere considerata addirittura più fondamentale della conservazione dell’energia. Questa legge è chiamata reversibilità, ma la si può chiamare anche “conservazione dell’informazione”. Se ad esempio prendiamo un fotone e lo facciamo andare al contrario, ritornerà alla sua posizione originaria oppure no? L’aleatorietà della Meccanica Quantistica comprometterà la conservazione dell’informazione? La risposta è a dir poco inquietante: dipende se osserviamo oppure no il fotone nel momento in cui invertiamo il moto. Se lo osserviamo, la sua posizione finale sarà casuale e l’informazione non sarà conservata; mentre se non lo osserviamo (ossia se non facciamo nulla per determinare la sua quantità di moto e posizione) e ci limitiamo soltanto ad invertire la legge del moto, il fotone riapparirà magicamente nella sua posizione iniziale al termine del tempo previsto. In altre parole, la Meccanica Quantistica, nonostante la sua impredicibilità, rispetta la conservazione dell’informazione.

La reversibilità matematica della MQ (detta unitarietà), è fondamentale per garantirne la coerenza interna. Senza di essa la logica quantistica non starebbe in piedi. Se Hawking avesse avuto ragione, nel sostenere che l’informazione che cade in un buco nero è informazione perduta, le leggi della natura avrebbero avuto un elemento aggiuntivo di aleatorietà, e le fondamenta dell’intera fisica sarebbero crollate.

Secondo il fisico israeliano Jacob Bekenstein, gettando un qualsiasi corpo in un buco nero (anche un semplice fotone o addirittura un solo bit di informazione), la sua energia aumenterebbe sensibilmente. Questo si traduce in un aumento della massa e delle dimensioni del buco stesso. Assumendo in ultima analisi che i buchi neri hanno un’entropia propria, l’aumento di quest’ultima (dovuto all’aumento della sua massa) sarebbe più che sufficiente a compensare la perdita di entropia all’esterno. Nel calcolare l’entropia dell’intero Universo (sommando l’informazione nascosta nelle stelle, nel gas interstellare, nell’atmosfera dei pianeti e via dicendo), bisogna assegnare una certa quantità di entropia anche a ciascun buco nero; e più questo è grande e maggiore sarà la sua entropia. L’entropia è una misura di quanta informazione è nascosta nei “dettagli”, ossia nelle porzioni di spazio-tempo che per un motivo o per l’altro, sono troppo difficili da osservare. Dunque l’entropia è informazione nascosta. Ma cosa si intende per informazione? Vediamo di scoprirlo…

Più piccolo di un atomo, più piccolo di un quark, più piccolo persino di un neutrino, il singolo bit potrebbe essere il vero mattone fondamentale della natura. Privo di struttura, il bit semplicemente c’è o non c’è. John Wheeler era convinto che tutti gli oggetti materiali siano composti da bit di informazione. Egli immaginò che un bit, essendo l’elemento più basilare di tutti, avesse anche le più piccole dimensioni possibili, e lo paragonò al quanto fondamentale di lunghezza, scoperto da M. Planck più di un secolo fa.

La filosofia del “tutto è bit”, con la sua descrizione di un mondo fatto di bit di informazione di dimensioni pari alla lunghezza di Planck, anche se assai intrigante, è comunque da ritenersi sotto certi aspetti, infondata (o comunque solo parzialmente corretta, dipende dai punti di vista). Infatti una delle più profonde leggi di natura che la fisica ha scoperto, afferma che la massima quantità di informazione che può essere immagazzinata in una regione di spazio, è proporzionale all’area della regione e non al suo volume.

Ma torniamo ora alla questione dei buchi neri e cerchiamo di capire in che modo, essi sono legati sia al concetto di entropia, che a quello di informazione. Immaginiamo dunque di far cadere un singolo bit di informazione, all’interno di un buco nero. Per cominciare, dobbiamo sapere di quanto cresce l’energia di un buco nero quando aggiungiamo un singolo bit di informazione. Ovviamente il sovrappiù di energia, è l’energia del fotone che trasporta il bit. Determinare l’energia del fotone è dunque il primo passo. In secondo luogo dobbiamo determinare di quanto aumenta la massa del buco nero quando viene aggiunto il bit supplementare. Per fare ciò ricorriamo alla famosa equazione di Einstein: E=mc^2 (letta al contrario, ci dice quanto vale l’aumento di massa corrispondente all’energia aggiunta). Una volta noto l’aumento di massa, possiamo calcolare l’incremento del Raggio di Schwarzschild usando la seguente formula:

Rs = 2 MG / c^2

A questo punto consideriamo un fotone da un bit, la cui lunghezza d’onda è abbastanza grande da rendere la sua posizione indeterminata entro i confini del buco nero. Ciò significa che tale lunghezza d’onda, dev’essere uguale al Raggio di Schwarzschild (Rs). Secondo la relazione di Einstein, un fotone di lunghezza d’onda Rs, ha un’energia E, data da:

E = hc / Rs

In questa formula h è la costante di Planck e c la velocità della luce. Dunque far cadere un singolo bit di informazione nel buco nero ne aumenta l’energia di hc / Rs. Il passo successivo consiste nel calcolare di quanto cambia la massa del buco nero. Per convertire energia in massa bisogna dividere per c^2, il che significa che la massa del buco nero aumenta di h / Rs c. La cosa più incredibile che si scoprì utilizzando queste formule per il calcolo di un bit di informazione aggiunto a un buco nero di massa pari a una massa solare, è che l’aumento dell’area dell’orizzonte degli eventi di tale buco nero, è di circa 10^-70 metri quadrati. Tale valore, apparentemente insignificante, a ben guardare nasconde qualcosa di molto speciale: 10^-70 metri quadrati, corrisponde ad una Lunghezza di Planck al quadrato!

Per cui, in ultima analisi, potremmo tranquillamente affermare che: Aggiungere un bit di informazione, fa crescere la superficie dell’orizzonte degli eventi di un buco nero di un’unità di Planck di area, cioè di una Lunghezza di Planck al quadrato.

Quindi, da qualche parte, nascosto nei principi della Meccanica Quantistica e della Relatività Generale, c’è un misterioso legame tra gli indivisibili bit di informazione e i minuscoli elementi di superficie (ossia dei bit un po’ particolari), alla scala di lunghezze di Planck. Da queste considerazioni, il grande Jacob Bekenstein dedusse che:

L’entropia di un buco nero, misurata in bit, è proporzionale all’area del suo orizzonte degli eventi, misurata in unità di Planck.

Area e informazione quindi, sono da considerarsi le due facce di una stessa medaglia. Ed ora torniamo al “paradosso dell’informazione”. Secondo Stephen Hawking e colleghi, come avevo già accennato all’inizio di questo articolo, qualsiasi bit d’informazione che fosse caduto oltre l’orizzonte degli eventi di un buco nero, sarebbe stato perso per sempre dal resto dell’Universo. Così, quando Hawking scoprì che i buchi neri evaporano, pensò che l’informazione non avrebbe potuto sfuggire assieme alla radiazione. Sarebbe rimasta li …ma li dove? Una volta che il buco nero fosse evaporato, non ci sarebbe stato più alcun posto in cui nascondersi.

Come abbiamo già visto in precedenza, ammettere l’esistenza di una perdita di informazione, ossia di una sua totale “cancellazione” (da ogni punto di vista) dalla “faccia dell’Universo”, comporta delle gravissime implicazioni negative in seno alla validità delle leggi di natura (in qualsiasi campo della fisica, dalla Relatività Generale sino alla Meccanica Quantistica). Ciò che in circa trent’anni di studi sui buchi neri, ha sempre lasciato interdetti parecchi fisici teorici, nel senso che in molti hanno provato a sciogliere questa matassa, questo paradosso, ma senza mai giungere ad alcun risultato positivo, era una sorta di “dato di fatto” che consisteva semplicemente nell’essere coscienti di una cosa: [u]qualsiasi bit di informazione, una volta attraversato l’orizzonte degli eventi di un buco nero, per poter ritornare nuovamente all’esterno attraverso la radiazione di Hawking, avrebbe dovuto superare la velocità della luce.[/u]

La soluzione di questo enigma, arrivò ben ventiquattro anni dopo le prime analisi di Hawking sui buchi neri e sulla loro “perdita dell’informazione”. Infatti ci vollero ben due decenni di progressi nel campo della matematica delle stringhe, prima che qualcuno trovasse il modo di arrivare a delle conclusioni oggettive sulla questione, senza intaccare gravemente le fondamenta stesse della fisica. Ad avere questo “colpo di genio”, nel 1996, furono i fisici Cumrun Vafa (il padre della Teoria F, un ramo della Teoria delle Stringhe) e Andy Strominger. Combinando stringhe e D-brane, i due riuscirono a costruire un buco nero estremale con un orizzonte degli eventi di grandi dimensioni e inequivocabilmente classico. In quanto oggetto macroscopico classico, l’orizzonte avrebbe risentito in modo trascurabile delle fluttuazioni quantistiche. Essi usarono tutti i sistemi matematici concessi dalla Teoria delle Stringhe.

Il punto di partenza era un certo numero di D₅-Brane espanse in cinque delle sei direzioni compatte dello spazio. Immerse in queste D₅-Brane, i due fisici avvolsero un gran numero di D₁-Brane avvolte a loro volta attorno ad una delle direzioni compatte. Poi aggiunsero stringhe con entrambe le estremità attaccate alle D-brane. Ciò che alla fine emerse di molto importante, è che i “pezzettini” di stringa aperti, rappresentavano gli atomi d’orizzonte che contengono l’entropia. Raggiunto questo traguardo, il passo successivo fu quello di calcolare quanta entropia fosse esattamente stipata nelle fluttuazioni delle stringhe aperte. Come dulcis in fundo, dovettero poi risolvere le equazioni di campo di Einstein per questo tipo di buco nero estremale.

Strominger e Vafa, per concludere in bellezza, trovarono che l’area dell’orizzonte e l’entropia non erano semplicemente proporzionali; essi infatti scoprirono che l’informazione nascosta nei “punti filamentosi” attaccati alle brane, concordava esattamente con la formula di Hawking. Il fatto che l’entropia di un buco nero, si potesse spiegare con l’informazione stipata nelle increspature delle stringhe, andava contro il punto di vista di molti fisici relativisti, compreso lo stesso Hawking. Ma ormai il dado era tratto, un nuovo passo avanti era stato fatto, un nuovo traguardo era stato raggiunto nel campo della fisica. Col passare degli anni quindi, come accade spesso nelle fasi di transizione da un paradigma all’altro, quasi tutti i sostenitori di Hawking accettarono la “sconfitta”, e pian piano iniziarono anch’essi a considerare i buchi neri non più come dei “divoratori d’informazione”, bensì come degli enormi “serbatoi d’informazione” …totalmente recuperabile.

“Per me il concetto di informazione è alla base di ogni cosa che noi chiamiamo “natura”. La luna, la sedia, l'equazione degli stati, niente e tutto, in quanto non possiamo parlare di alcunché senza de facto parlare dell'informazione che noi abbiamo di queste cose. In questo senso l'informazione è il blocco costruttivo basilare del nostro mondo. Noi abbiamo imparato nelle scienze naturali che la chiave di lettura può essere spesso trovata se rimuoviamo certe linee di demarcazione nelle nostre menti. Newton ha mostrato che la mela cade al suolo in accordo a certe leggi che governano l'orbita della luna intorno alla Terra. E con questo ha reso obsoleta la vecchia differenziazione tra fenomeni terrestri e fenomeni celesti.

Darwin ha mostrato che non ci sono linee divisorie tra l'uomo e gli animali. Ed Einstein ha rimosso la linea di demarcazione tra spazio e tempo. Ma nelle nostre menti, noi ancora tracciamo una linea di separazione tra “realtà” e “conoscenza sulla realtà”, in altre parole tra realtà e informazione. E lei non può tracciare questa linea. Non c'è nessuna regola, nessun processo di distinzione tra realtà e informazione. Tutto questo pensare sulla realtà è pensare sull'informazione, che è il motivo per cui lei non può fare questa distinzione in una formulazione delle leggi di natura. La meccanica quantistica, correttamente interpretata, è una teoria dell'informazione”.

Anton Zeilinger (fisico austriaco)

Bibliografia:

“La guerra dei buchi neri” – Leonard Susskind (Ed. Adelphi, 2009);
“Buchi neri, comunicazione, energia” – Jacob Bekenstein (Di Renzo Editore, 2001);
“Dal Big Bang ai Buchi Neri. Breve storia del tempo” – Stephen Hawking ( BUR- Biblioteca Universitaria Rizzoli, 2007);
“Il velo di Einstein. Il nuovo mondo della fisica quantistica” – Anton Zeilinger (Ed. Einaudi, 2006).

Fausto Intilla – [link=http://www.oloscience.com/]oloscience.com[/link], maggio 2010